61: Apollo e Dafne

Titolo dell'opera: Apollo e Dafne

Autore: Pieter Paul Rubens

Datazione: 1636-1638

Collocazione: Bayonne, Musée Bonnat, giàdi proprietà del duca di Infantado; quindi del generale Victor-Bernard Derrecagaix; dono di Madame Derrecagaix alla Municipalità di Bayonne nel 1921.

Committenza: Cardinal infante Ferdinando d’Absburgo, fratello di Filippo IV, re di Spagna 

Tipologia: schizzo

Tecnica: olio su tavola (28,5 x 27,5 cm)

Soggetto principale: Dafne e Apollo          

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Dafne

Attributi: faretra, aureola (Apollo); piede sinistro in forma di radice, mani in forma di rami d’alloro (Dafne)

Contesto: paesaggio campestre, con fiume (?)

Precedenti:

Derivazioni: scuola di Rubens, Apollo e Dafne, Madrid, Prado, 1636-1638 (Cfr. scheda opera 62)

Immagini: 

Bibliografia: JafféM., Esquisses inédites de Rubens pour la Torre de la Parada, in "La Revue du Louvre et des Musées de France", XIV, 1964, pp. 314, 316, 318; Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, pp. 510-511; Alpers S., The decoration of the Torre de la Parada,in Corpus Rubenianum Ludwig Burchard, vol. IX, Bruxelles 1971, p. 176; Held J.S., The oil sketches of Peter Paul Rubens. A critical catalogue, Princeton University Press, Princeton 1980, n. 168; Jaffè M., Rubens: catalogo completo, Rizzoli, Milano 1989, n. 1234; Davidson Reid J.-Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 329

Annotazioni redazionali: Fra il Novembre e il Dicembre del 1636 il cardinal infante Ferdinando d’Absburgo, fratello del re Filippo IV di Spagna, commissionò a Rubens la decorazione della Torre della Parada, un casino di caccia sulla cima di una collina della grande distesa di terreno che circondava il Palazzo del Pardo. Sopravvivono cinquantanove schizzi e dipinti mitologici degli originari sessantatré soggetti commissionati a Rubens, ed uno degli schizzi preparatori giunti sino a noi dell’artista, per un dipinto che sarebbe poi stato realizzato da un suo collaboratore, è proprio questo raffigurante il mito di Apollo e Dafne. Sembra che l’artista abbia qui preso a modello, o comunque si sia rifatto, alle incisioni delle edizioni illustrate delle Metamorfosi di Ovidio, stampate nella seconda metà del Cinquecento. In particolare, le due raffigurazioni ideate da Bernard Salomon per Les Métamorphoses d’Ovide figurée (Lione 1557 - Cfr. scheda opera 52 e scheda opera 53), che illustravano la favola, dovettero particolarmente colpire l’artista, il quale, tuttavia, decise di fonderle qui in un’unica composizione. Salomon, infatti, aveva distinto i due momenti della narrazione ovidiana, quello della fuga-inseguimento e quello della metamorfosi, in due incisioni indipendenti, mentre Rubens ha raffigurato Apollo, caratterizzato dalla sua tradizionale faretra, e dall’aureola, ad evidenziarne la sua natura divina, mentre si lancia, a braccia aperte, ad afferrare l’amata Dafne che fugge, e che tuttavia già si sta trasformando in alloro. L’atteggiamento di Apollo sembra perfettamente derivato dall’incisione conclusiva del mito realizzata dal Salomon, ma qui Dafne era già quasi completamente trasformata in albero, e quindi immobile, mentre, ciò che più colpisce in questo schizzo del Rubens, è proprio la sua capacità di rendere il movimento della ninfa. Dafne sta ancora correndo, ha la gamba destra sollevata all’indietro, volutamente in contrapposizione alla sinistra del dio, la sua veste leggera è gonfiata dal vento, ed inoltre sembra ruotare assieme al busto, che si gira a sinistra a guardare dietro, così come fanno i suoi capelli. La ninfa si volta per accertarsi quanto sia distante Apollo, e già vede le mani del dio sfiorarle il corpo, per questo sul suo volto sembra di cogliere un’espressione di terrore, come se, preoccupata della fuga, non si rendesse conto che già il suo desiderio, espresso al padre Peneo, è stato esaudito. Dietro Apollo, infatti, l’artista ha voluto raffigurare un fiume, per suggerire come la metamorfosi della ninfa venne favorita dal dio-fiume Peneo, suo padre, che ebbe compassione di lei e della sua volontà di tener fede, ad ogni costo, al suo voto di castità. Dafne chiese addirittura di poter cambiar forma, per sfuggire al dio, Peneo perciò dovette sfruttare i suoi poteri per renderla un vegetale: qui, infatti, nonostante tenti di proseguire la sua fuga, il piede sinistro le rimane fisso a terra, perché si è già trasformato in radice, mentre le sue dita si allungano in rami d’alloro. Apollo, in realtà, non farà in tempo a raggiungerla in forma umana, e presto si troverà ad abbracciare solamente il tronco di un albero. Interessante è qui la scelta compiuta da Rubens di eliminare la figura di Cupido, presente nella seconda incisione di Salomon, dalla scena, mantenendosi in questo senso più fedele al racconto ovidiano, giacché il dio dell’Amore interviene quando, dopo la disputa con Apollo, lo colpisce per vendetta con la freccia che fa innamorare, e trafigge Dafne con quella che fa rifuggire l’amore. Al contrario l’artista ha giustamente deciso di inserire Cupido nello schizzo realizzato per illustrare il mito di Apollo e Pitone, sempre per la Torre de la Parada, in quanto in quel caso rappresentava sia a conclusione di quella vicenda, che l’antefatto del mito successivo, appunto quello di Apollo e Dafne. Dopo aver ucciso il mostro Pitone, Apollo si sente, infatti, particolarmente forte, e si vanta con Cupido delle sue qualità di arciere, deridendo invece quelle del dio dell’Amore, è a questo punto che Cupido, colpito nel vivo, decide di dimostrare ad Apollo la potenza del suo arco e delle sue frecce, e lo colpisce con la freccia d’oro che lo farà innamorare di Dafne, ma a questo punto l’osservatore doveva passare da questo dipinto a quello immediatamente successivo per conoscere la conclusione della vicenda.

Elisa Saviani