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NICCOLÒ degli AGOSTINI, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia (I ed.), XIV, f. 159
Della Scibylla Cumana
[…]
Io non son dea de sacrificii havere
ne incensi, o templi sacri figliuol mio
e per non farti in dubbio rimanere
ti diro il tutto, da che n’hai disio
perche da Phebo fui for del dovere
amata molto ilqual e immortal dio
& se l’havesse come el mi volea
tolto ei sposo, anch’io sarei ben dea.
Quel sperando tirarmi al suo disio
mi comincio a prometter doni assai
e disse chiedi a me quel che vuoi,
ch’io faro si ch’in un ponto l’haverai
perche troppo e stupendo il poter mio
come provandol meglio il saperai
allhor le man di polve udendo questo
chinandomi sul pian me n’impì presto.
Et risposi ad Apol poi che ti affanni
a chieder chio ti chiedi ogni gran dono
sicuramente senza temer danni
di gratia cheggio a te signor mio buono
che tu mi lasci anchor viver tanti anni
quanti grani di polve questi sono
& ei che sempre fu cortese, e ameno
adimpi tutto il mio disir a pieno.
Ma sciocca fui che quel che piu si apprezza
chieder non seppi a quel signor leale
perche s’io gli chiedea la giovinezza
che tanto al nostro mondo giova, & vale.
Non sarei hor condotta alla vecchiezza
come mi vedi cagion d’ogni male
ben c’ho da viver trecento anni appresso
Del tempo che mi fu d’Apol concesso.
Allegoria della Sibylla
Sibilla non è nome proprio ma è nome di ufficio, si come è a dire poeta & tanto vuol dire Sibilla in grammatica greca quanto in divina perche a quei tempi tutte quelle che indivinavano erano dette Sibille. Ma perche costei visse appresso mille anni furono ne suoi giorni altre dieci Sibille. Che Apollo l’amasse, questo s’intende perche Apollo, fu dio degli indivinatori & della chiarezza. Et perche costei sapeva indivinare dice Ovidio ch’ella amata da Phebo che è il proprio nome di Apollo. Vero fu che Enea capitò a quella Sibilla. Ma che quella gli mostrasse lo inferno s’intende ch’ella gli disse molte cose delle inferiori parti della terra.