18: Aci, Galatea e Polifemo

Titolo dell’opera: Trionfo di Galatea

Autore: Raffaello Sanzio

Datazione: 1514

Collocazione:

Committenza: Agostino Chigi

Tipologia:

Tecnica: Affresco (295 x 225 cm)

Soggetto principale: Galatea

Soggetto secondario: tritoni, nereidi, amorini

Personaggi: Galatea, tritoni, nereidi, amorini

Attributi: manto, conchiglia carro (Galatea), buccine (tritoni), frecce, archi (amorini)

Contesto: paesaggio marino

Precedenti:

Derivazioni: Dipinto di Pietro da Cortona copia da Raffaello (cfr. scheda n. 47)

Immagini:

Bibliografia: Vasari G., Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, ed. 1568 a cura di Milanesi G., Sansoni, Firenze 1878; Cavalcaselle G. B.-Crowe J.A., Raffaello, la sua vita e le sue opere, Le Monnier, Firenze 1884; Golzio V., Raffaello nei documenti nelle testimonianze dei contemporanei e nella letteratura del suo secolo, Arti Grafiche Panetto & Petrelli - Spoleto, Città del Vaticano 1936; Ortolani S., Raffaello, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1942; D’Ancona P., The Farnesina Frescoes at Rome, Edizione del Milione, Milano 1955; Camesasca E., Tutta l’opera di Raffaello, Gli Affreschi, Rizzoli, Milano1956; Rivosecchi M., Variazioni sul tema della Galatea, in “Capitolium”, 33, n. 10, 1958, pp.14-15; Prisco M.-De Vecchi M.-De Vecchi P., L’opera completa di Raffaello, Rizzoli, Milano 1966; Berenson B., I pittori Italiani del Rinascimento, pp. 160-169, Ulrico Hoepli Editore, Milano 1968; Kinkead D. T., An iconographic note on Raphael’s Galatea, in “Journal of the Warburg and Courtald  Institutes”, 33,1970, pp. 313-315; Tantillo Mignosi A., Restauri alla Farnesina, in “Bollettino d’Arte”, LVII, 1972, pp. 33–43; Grayson C., Alberti, De Pictura, II, 35, Phaidon, London 1972; Lomazzo G. P., Trattato dell’arte della pittura scoltura ed architettura, Milano 1584, in Scritti sulle arti a cura di R. P. Ciardi, Centro Di, Firenze 1974, p. 512; Rosati F., Il gioiello della Farnesina, in “Capitolium”, 1975, L, n. 9-10, pp. 34-35; De Vecchi P., Raffaello Sanzio, la pittura, Giunti, Firenze 1981; AA. VV, La villa Farnesina, in I luoghi di Raffaello, catalogo della mostra, De Luca, Roma 1983, pp. 24-73; Thoenes C., Galatea: tentativi di avvicinamento, in Raffaello a Roma, Edizione dell’Elefante, Roma 1986, pp. 59-73; Gerlini E., La villa Farnesina alla Lungara, Istituto Poligrafico e zecca dello Stato, Roma 1990; Puccini D., Poliziano: Stanze, Orfeo, Rime, Garzanti, Milano 1992; The Oxford guide to classical mythology in the arts 1500–1990, University Press, Oxford 1993; Miarelli Mariani I., Roma – Villa Farnesina alla Lungara, in l’Arte delle Metamorfosi, Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, a cura di Cieri Via C., Lithos, Roma 2003, pp. 298–301.

Annotazioni redazionali: Fra gli artisti chiamati a decorare nel 1510-1511 la villa Farnesina di Agostino Chigi, non poteva mancare anche il giovane Raffaello, che nella loggia ad est (poi loggia di Galatea), dipinse il trionfo della ninfa Galatea.La mancanza di documenti ha reso difficile la datazione dell’affresco. Per questa ragione, la critica ha utilizzato come punto di riferimento la lettera di Raffaello a Baldassar Castiglione. Nella lettera si dice: “Signor Conte, ho fatto disegni in più maniere sopra l’invenzione di V. S. e soddisfaccio a tutti, se tutti non mi sono adulatori, ma non soddisfaccio al mio giudizio perché temo di non sodisfare al Vostro. Ve gli mando. V. S.  faccia eletta di alcuno, se alcuno sarà da lui stimato degno. Nostro Signore con l’honorarmi m’ha messo un gran peso sopra le spalle. Questa è la cura della fabrica di S. Pietro. Spero bene di non cadervici sotto, et tanto quanto il modello ch’io n’ho fatto piace a Sua Santità, et è lodato da molti belli ingegni. Ma io mi levo col pensiero più alto. Vorrei trovar le belle forme degli edifici antichi, né so se il volo sarà d’Icaro. Me ne porge una gran luce Vitruvio, ma non tanto che basti. Della Galatea mi terrei un gran maestro se vi fossero la metà delle tante cose che V. S. mi scrive. Ma nelle sue parole riconosco l’amore che mi porta, e le dico che per dipingere una bella mi bisogneria veder più belle, con questa condizione che V. S. si trovasse meco a far la scelta del meglio. Ma essendo carestia et di buoni giudici et di belle donne, io mi servo di certa idea che mi viene nella mente. Se questa ha in sé alcuna eccellenza d’arte, io non so, ben m’affatico di averla. V. S. mi comandi. Di Roma”. La missiva non è datata, ma potrebbe essere stata scritta nella seconda metà del 1514, perché Raffaello nominato architetto alla Fabbrica di S. Pietro il 10 aprile 1514, comunica qui il compimento del modello della Basilica; considerando poi che il Castiglione si era recato a Roma nel 1513, per assistere all’elezione di Leone X, è probabile che in quella occasione abbia avuto la possibilità di visitare la villa di Agostino Chigi e di ammirare la Galatea che doveva essere stata appena compiuta. Fonti  letterarie identificano la figura raffaellesca con Galatea, dal Vasari che nel 1568 scrive nella vita di Raffaello “con dolcissima maniera …una Galatea nel mare sopra un carro tirato da duo dolfini”, al Borghini che nel 1584 scrive nel “Riposo” “Haveva egli prima dipinto in una loggia ad Agostin Chigi mercatante ricchissimo del suo palagio in Trastevere una Galatea nel mare sopra un carro tirato da due Delfini con Tritoni, et altri Dei marini”. Ulteriori notizie vengono fornite  nel dialogo “L’Aretino” di Lodovico Dolce, scritto nel 1577 dove viene citata  pure la fonte letteraria dell’affresco raffaellesco. Si tratta della “Giostra” di Poliziano, dove nella 118a stanza è descritto il passaggio di Galatea con le sue ninfe davanti a Polifemo: “Et è cosa iscambievole che i pittori cavino spesso le loro invenzioni dai poeti et i poeti dai pittori. Il simile vi potrei dire della sua (Raffaello) Galatea che contende con la bella poesia del Policiano, e di molte sue leggiadrissime fantasie, ma savrei troppo lungo e voi le potete avere vedute altre volte e vedere quanto vi piace a Roma”. Degli affreschi romani di Raffaello, la Galatea è l’opera meno documentata e la sua datazione oscilla fra il 1511-1512 e il 1513- 1514.Per quanto riguarda i primi due termini cronologici, c’è da ricordare il testo di Egidio Gallo “De Viridario Augustini Chigii, Patritii Senen,..libellus”, scritto nel 1511, nonché quello di Blosio Palladio “Suburbanum Augustini Ghisii”, uscito nel gennaio del 1512, ma composto verso la fine del 1511. L’interesse per questi due componimenti è da ricollegare al fatto che di questa loggia, vengono menzionate solo le lunette di Sebastiano, ma non ancora la Galatea. Quindi essa può esser stata eseguita non prima della fine del 1511. Infatti nella seconda metà dell’11, Raffaello finisce la Stanza della Segnatura. Forse nell’intervallo fra la stanza della Segnatura e l’inizio della Stanza d’Eliodoro, Raffaello trova il tempo necessario per dedicarsi all’opera richiesta dal Chigi. Tale ipotesi può trovare supporto nell’analisi della distribuzione delle masse che sembra indicare un momento di transizione fra gli schemi statici, ponderati della stanza della Segnatura e il movimento continuo, fluido e spazioso, che osserviamo nella Cacciata di Eliodoro. Inoltre il periodo combacia con le speranze, poi deluse del matrimonio di Agostino Chigi con Margherita Gonzaga, figlia di Francesco II, marchese di Mantova. Nel settembre giunge a Mantova la richiesta ufficiale della mano di Margherita da parte di Agostino, per cui si suppone che l’incarico a Raffaello sia dello stesso autunno. Le singole fasi non si conoscono, ma da una lettera del novembre 1512, sappiamo che Agostino non ebbe successo. Importante  è anche l’ipotesi proposta dalla Tantillo Mignosi, che propone la realizzazione della Galatea come successiva a quella del Polifemo di Sebastiano. Una soluzione che si scontra con l’ordine cronologico proposto dal Vasari nella Vita di Sebastiano del Piombo, e interrompe la soluzione più logica del mito, così come viene raccontato dal Poliziano. L’anticipazione del Polifemo, rispetto all’affresco di Raffaello giustificherebbe la discordanza che si registra tra le due opere, sia nelle dimensioni delle figure principali che nell’impostazione prospettica, tanto che l’orizzonte del Polifemo risulta di molto ribassato rispetto a quello della Galatea. Inoltre nella sua analisi del restauro degli anni ‘70, la Tantillo Mignosi ha dimostrato come qui si scontrino due concetti decorativi opposti: il quadro autonomo, ritagliato nella parete, privo di relazioni formali e prospettiche col resto e basato tutto sul disegno figurale di Raffaello, contro l’illusionismo paesistico-pittoresco di Sebastiano. In seguito a queste riflessioni l’intervento di Raffaello si collocherebbe dopo la realizzazione del Polifemo di Sebastiano, dipinto presumibilmente nel 1512.L’affresco, eseguito in 13 giornate, secondo la Tantillo è opera di una sola mano, confutando l’ipotesi sostenuta dal Cavalcaselle nel 1890 e ripresa dal Camesasca nel 1956, che circoscriveva l’intervento del maestro alla parte superiore della Galatea, e il resto a Giulio Romano e ad allievi. Il Thoenes, nel 1977, sottolinea il caso della Nereide in primo piano e dell’amorino con le frecce in alto, che nella resa pittorica si staccano un po’ dalle altre figure; secondo lo studioso la minor qualità “è dovuta al minor impegno e al poco tempo che Raffaello dovette dedicare alla Farnesina, rispetto agli affreschi che contemporaneamente realizzava in Vaticano”.Galatea, è rappresentata in piedi al centro dell’opera, sopra un carro fatto a conchiglia. La scena si svolge in mare, e assistono alla sua avanzata vari personaggi: a destra dietro Galatea una bionda nereide cavalca la groppa di un centauro marino, mentre nella parte sinistra, davanti la ninfa un’altra nereide è in braccio al suo compagno, e viene trattenuta dai fianchi; ai lati due suonatori: a destra un tritone, a sinistra un altro personaggio seduto su un ippocampo. Entrambi soffiano a piena bocca dentro una buccina, per chiamare gli abitanti del mare al passaggio di Galatea. La giovane banda di amorini assiste alla scena in cielo, uno emerge da un ammasso di nuvole, nell’angolo sinistro con un fascio di dardi per assistere i compagni che visitano la ninfa; un altro, trascinato da un onda, tiene le redini del delfino.  Indiscussa protagonista della scena  è la ninfa Galatea, investita dal vento che fa ondeggiare il suo velo rosso. Nessuna delle figure sta in piedi, tranne Galatea e questo conferisce alla scena un senso di azione e di movimento rapido e continuo che si protrae come suggeriscono le figure tagliate ai margini laterali, anche oltre i limiti dell’affresco. Il modello letterario dovrebbe rintracciarsi nella Giostra del Poliziano, dove nella 118a stanza è descritto il passaggio di Galatea con le sue ninfe davanti a Polifemo. La descrizione è inserita da Poliziano nel racconto di una serie di immagini, raffigurate sulle porte del palazzo di Venere a Cipro, al quale Amore torna dopo la sua vittoria su Giuliano de’ Medici. Fonte del Poliziano sono le Immagini (II, 18) di Flavio Filostrato. Raffaello tuttavia arricchisce la descrizione del poeta con particolari come quello della carrozza a conchiglia, non nominata né da Poliziano, né da uno dei suoi predecessori classici; inoltre Poliziano non descrive altri personaggi se non Galatea e le sue ninfe, e soprattutto nessun uomo, nessun mostro marino, nessun amorino e nessuno degli episodi erotici che Raffaello ci mostra. A questo punto è utile riprendere il paragone con l’opera di Sebastiano, in particolare su due modi diversi di intendere la propria arte. Mentre Sebastiano segue alla lettera la descrizione del Poliziano, Raffaello si sente poeta lui stesso e gareggia con i mezzi del pittore per creare una “historia”. Ancora da prendere in considerazione è la tematica moralistica di Galatea, che ha avuto vasta fortuna nella letteratura Europea del tardo ‘500 e del ‘600. Per questo filone c’è nel dipinto un particolare che potrebbe accennare a questo aspetto: il polipo che sta per essere divorato da uno dei delfini, da intendere forse come allegoria dell’amore casto trionfante sulla libidine. Nell’immediato primo piano dell’affresco, un putto sfiora la superficie dell’oceano, tenendo nella mano destra la coda del delfino del cocchio di Galatea. L’interesse per questo dettaglio si è concentrato sul motivo dell’enigmatica azione del Cupido che guarda dietro, fuori dall’affresco ed è usato per convogliare l’attenzione di chi guarda verso il delfino a cui si aggrappa, che sta uccidendo un polipo. Così come le briglia del delfino di Galatea che incrociate riportano all’incidente. L’azione del delfino è abbastanza inusuale se si considera il fatto che i delfini non sono i nemici naturali dei polipi e che il polipo non è la principale fonte di nutrimento dei delfini. Il significato è svelato nella Halieutica di Oppiano; questa storia poetica naturale del III secolo a.C, contiene un unico riferimento al polipo per opporlo alle descrizioni del delfino, al fine di far capire che questi due animali segnano gli estremi della fauna marina. Oppiano, come molti altri scrittori antichi, tesse le lodi dei delfini, li definisce “signori del mare”, come l’aquila è la signora dell’aria e il leone il re della terra. Afferma che è immorale cacciare i delfini e dichiara che gli dei detestano quelli che lo fanno. Questo panegirico contrasta notevolmente con le valutazioni morali che Oppiano fa sul comportamento dei polipi, mettendone in evidenza la loro animosità. La similitudine di Oppiano della conquista dei polipi è unica, paragona gli attacchi e gli stratagemmi usati dai polipi, che definisce furbi, a quelli di un uomo che dopo aver dormito il giorno, esce la notte ed incurante della legge e della giustizia, si nasconde aspettando di rapinare un passante uscito dalla taverna ubriaco e non in se, per poi uccidere. La distinzione morale tra i due animali,  è accentuata paragonando i loro atteggiamenti verso l’amore. Il delfino dopo gli uomini è il primo nell’amore per i suoi piccoli. Per il polipo l’accoppiamento è mortale, consumare l’unione è consumare la morte, l’amore va di pari passo con la distruzione, fino a che egli è spento e la forza e il vigore abbandonano i suoi arti e lo stesso cade esausto sulla sabbia e muore (Kinkead). Quindi il dettaglio del delfino che uccide il polipo nella Galatea di Raffaello si rivela come un emblematica amplificazione del tema dell’affresco, una riflessione simbolica del rifiuto delle profferte amorose del bestiale pretendente Polifemo, da parte di Galatea.

 Marisa Libertino