Galfr11

1672

GIOVANNI BELLORI, Le Vite dei pittori, scultori et architetti:

 

POLIFEMO E GALATEA

 

Sentono affetti d’amore i più ferini petti: ecco il crudo Polifemo figliuolo di Nettunno il maggiore de’ Ciclopi siede sopra uno scoglio del mare Siciliano, fatto amante di Galatea; e quivi disacerba i suoi affanni, rauco cantando al suono di pastorali canne. In questa figura la mente di Annibale s’ingrandì con Homero, & espresse quanto la poesia finge della grandezza del gigante; anzi può dirsi che ingrandisse l’arte del disegno in una maniera la più terribile, havendo compreso in brevi linee la vastità delle membra. Tiene Polifemo con ambe le mani sospesa sotto le labbra la dispari sampogna, e nel piegarsi col braccio sinistro sopra il sasso, espone il petto, e’l seno, slungando la destra coscia col piede à terra, & incavalcando l’altra gamba su l’adunco bastone; poiché il gigante impiegando le mani al suono, ritiene appresso il pastorale tronco. In tanto Galatea siede in una conca tirata da Delfini, gode di udirlo, & appressandosi allo scoglio si piega; e si appoggia col destro braccio sopra il collo d’una Ninfa, che frena un Delfino. Questa immerge le coscie squamose nell’acque, & asconde mezzo il petto, e’l seno dietro Galatea, la quale seminuda allo spirar dell’aure con la sinistra ritiene la purpurea zona gonfia in alto sopra il capo; e del fianco appresso si vede il volto, e quasi una poppa d’un'altra Ninfa, la quale solleva la fronte verso Polifemo, esprimendo il piacere del canto.

Questa è l’ultima immagine che Annibale dipinse nel fregio, e nella volta; poiché sotto la sua cornice vi è scritto l’anno MDC.

 

LO SDEGNO DI POLIFEMO

 

L’amore di Polifemo agitato dallo sdegno s’accende in furore; poiché vide nel seno di Galatea, Aci suo rivale. Volgesi il formidabil gigante, e lancia uno scoglio contro il giovinetto, e ben furioso è l’atto: appunta un piede sopra un sasso, vibrando lo scoglio indietro, per fulminarlo avanti con maggior forza. Lungi il lido l’infelice fanciullo già volge le spalle in fuga, si torce, e si ripara con una mano avanti, e riguardando Polifemo, alza il profilo il volto; ma in vano procura sfuggire l’inevitabile percossa, pendendo dal braccio il manto avvolto su l’uno, e l’altro fiancho à mezze coscie, agitato dal vento. Più lungi Galatea spaventata declina al lido , mà il suo bel corpo oltre esser ombreggiato dallo scoglio, viene interrotto alla vista del corpo di Aci, che s’incontra e soprasta al lume. E ben si riconosce ch’ella corre in fuga al volto, & al braccio disteso avanti; né del tutto appariscono le gambe, abbassandosi al lido, per sommergersi in seno della madre Doride. L’impeto di Poliremo viene animato con lo stile il più grande, e’l più vehemente; e se ne forma l’atto terribile; ma oltre la gran maniera, Annibale ci lasciò l’essempio del moto della forza , descritto da Leonardo da Vinci, e più volte repetito nel suo trattato della pittura, discorrendo dell’apparecchio della forza, che vuol generare gran percussione. Quando l’huomo si dispone alla creatione del moto, con la forza, si piega, e si torce quanto può nel moto contrario à quello dove vuole generare la percussione, e quivi si apparecchia nella forza, che à lui è possibile.

E nel capitolo del movimento. Se uno debbe gettar dardi, ò sassi, havendo volti li piedi all’aspetto, quando si torce, e si piega, e si rimuove da quello in contrario sito, dove esso apparecchia la dispositione della potenza, esso ritorna con velocità e commodità al sito dove esso lascia uscire il peso delle mani.

Siche Polifemo nel torcersi, e piegarsi indietro con le braccia, e col piede avanti, acquista forza, e si prepara; la gamba destra posa, e si oppone alla gravità del peso, la sinistra avanti si oppone alle braccia, e si piega nel ginocchio; e questo fa per librarsi sopra il piede, che posa in terra, senza il quale piegamento, non potrebbe usar la forza, né tirare, come il medesimo Leonardo và insegnando.