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NICOLO’ DEGLI AGOSTINI, Tutti li libri de Ovidio, p. 150:                        

DE CARIBDI ET SCYLLA

 

L’altra la qual Scylla nominata

Fu gia una molto bella giovinetta

Et hor si vede in scoglio esser cangiata

C’ha la forma di donna itiera, e schietta

Costei gia fu da molti al mondo amara

E rifiutava ogniun la simplicetta

Per il che spesso le nimphe del mare

la soleano vennir a visitare

Et gli narravan la lor pena rea

che per amor portavano tutte quante

ma Scylla di lor beffe si facea

et cosi dogni suo leggadro amante

sin chuna nimpha detta Galathea

del mar uscendo a lei venne danante

et gli capeli si levo dal viso

si bel che parea fatto in paradiso

 

Poi salutolla, e con gentil loquella

Disse Scylla pudica, & gratiosa

Se ognun desidra la tua faccia bella

E se ad ogniun sei cruda, e disdegnosa

Habbi pieta di la mia sorte Silla

Per chio non posso  la fiamma amorosa

Fuggir di Poliphemo il gran gigante

Che esser mi vuol cotra mia voglia amate

 

Non te sia noia udir i miei dolori

Chio son de stirpe nobile, e gentile

Sciesa di Dei del mar Nereo, & Clori

Pero il mio ragionar non te sia vile

Poi comincio lassar del petto fuori

Molti suspiri tal, che con umile

Atto, gia Scylla de pieta ripiena

Seco si dolse di la sua gran pena

 

E disse alei che molto volentieri

Come sorella sua lascolteria

Pur che li dichi la sua doglia intiera

Et se potessi anchor l’agiuteriando

Udendo Galathea con voce altera

La ringratio di tanta cortesia

poi comincio tu sai Scylla pregiata

che gia fui de acis molto innamorata

 

DI GALATHEA, ET ACIS

 

Questo di Fauno, e de simetis figlio

da qual amara fui for di misura

et gia si posea dun gran periglio

che Poliphemo orrenda creatura

si volea far di sangue suo vermiglio

e a sequitarlo pose ogni sua cura

ma il giovinetto che l’ingegno oprava

con prudentia da lui se riparava

 

Quel Ciclope crudel, aspro, e malvagio

che a questo passo solleva danneggiare

facendo a tutti li navili oltragio

li lasso un tempo con piacere andare

sicuramente a lor dritto viagio

perche haveva a sequirmi altro ch’fare

e tendeva a pulirsi, e petenarsi

le irsciute, & lunghe chiome, & bello farsi

 

Poi con la falza acuta si radava

la folta barba, & nelle lucide onde

del mar così polito si specchiava

qual vaga dama le sue chiome bionde

poi circando me sovente andava

lungo il lito del mar di varie fronde

ingirlandato fin chel buon Theleno

li disse entrado in marco volto ameno

 

O Poliphemo ti so dir novella

Che Ulisse ti torrà quel occhio c’hai

e ben che  la ti paia trista, & fella

pur ti l’ho detta, e non la crederai

rise il Ciclope, & con alta loquella

rispose indovinar mal saperai

pero ch’Galathea col suo bel volto

m’ha l occhio, l’alma, e il corp forza tol/

 

Poi sopra un duro scoglio il gradearmeto

chera vicino al mar ello guidoe

et la zampogna sua di canne cento

prese in man, sopra esso si assettoe

et li rapaci veltri in un momento

fra le terribil gambe raquetoe

et ripose il baston, si horrendo, & grave

che rassembrava un alboro di nave

Poi cominciò non con soave, & raro

ma con disciolto suon in abbandono

a suonar si, che l’onde ne tremaro

e i circostanti monti a quel gran suono

e i maritimi dei ne dubitaro

ondio mi scossi a quel terribil suono

chera con Acis del qual dubitai

et con lui dietro un sasso mi occultai

 

Ma Poliphemo poi c’hebbe sonato

ne la zampogna con piacer alquanto

sempre del mar guardado in ciascu lato

se mi vedeva uscir da qualche canto

comincio con un tuon di smisurato

a dar principio al suo malterso canto

ruvido, & rozzo, come richiedea

la condition di lui che lo facea

 

CANTO DE POLIPHEMO

 

Cosi con alta, & risonante voce

diceva o Galatea piu bianca sei

che i fior ligustri, ma tanto feroce

c’anchor non hai pieta di dolor miei

dun orsa pregna più strana, & atroce

tal che per minor biasimo tyo vorrei

da chio ti vedo si cruda, e sdegnosa

o che non fusti bella, over pietosa

 

In verita che tu sei piu fiorita

che non e il verde del prato a mezzo aprile

e se ben miro piu dritta, & polita

che l’albano fra noi gentile

e assai piu levese giove mi aita

et piu leggiadra dun cappretto umile

più amena, & grata se be chiar discerno

ch obra di estare, & sol nel freddo verno

 

Tu se piu dolce che l’uva matura

et piu lucente che la goma assai

piu formosa che l’orto di verdura

dognintorno coperto, se nolsai

ma de l’antica quercia assai piu dura

et come brecoletta te ne vai

non domata da me fuggendo sempre

accio che mi consumi, & mi distempre

 

Tu sei molto più mobile chel vento

e senza dubbio piu chal foco ardente

piu salda assai nel tuo proponimento

dogni ben posto monte veramente

forze vuol piu du fiume a ql chio sento

e accuta piu duna spina pungente.

et piu ingannevol che l’onde dil mare

et non posso ristar di te non amare

 

Io son pur grande, e di statura bello

et s’ho ben un sol occhio non mi dole

anzi gloriar mi deggio pur di quello

che dogni altra bellezza, per che i sole

se tu voi dir il ver n ha solo anchello

ma che bisogna usar tante parole

con chil conosce, & co chi comprede

et con chi so ch m’ode, & non m intede

 

Io son piu ricco de giovenche, & boi

e di pecore, & cappre, ho ch siol modo

e di latte, e di mel, si che se voi

vennir a me, del mar lassando il fondo

tutti senza dubbiar seranno tuoi

li beni chio possiedo a tondo, a tondo

si che nulla mancar ti potra mai

ma sempre allegra, & lieta viverai

 

Son figlio di Nettuno il Dio del mare

che tuo suocer sera se tu mia moglie

esser vorai, volendo pur placare

contra me servo tuo, tue inique voglie

vedi che giove no mi puol ostare

e il ciel disprezzo, e qste mortal spoglie

salvo che tu col tuo volto divo

mille volte mi uccidi, e torni vivo

 

La cagion che l’aspetto tuo polito

fa star lontan da me continuamente

e sol per Acis, che de lito in lito

sempre si trova teco assiduamente

co il qual sfochi ahi cruda il tuo apetito

di me tu servo curandoti niente

ma vero s’io lo giugo in un sol tratto

vendetta far del mal chel mi horra fatto

 

E in tua presenza lovoro squartare

poi le budelle suenza rispetto

spargero per i campi, e per il mare

fin che sia vendicato il mio dispetto

et ponendo silentio al suo cantare

in piedi si levo quel maledetto

e caminendo con veloce passo

me vide occulti star dietro a quel sasso

 

 

DE ACIS MUTATO IN FIUME

 

Quado el Ciclope da le forze prote

Acis assiguro che meco stava

subitamente in me prese un gran monte

et quel correndo dietro li gettava

et lo percosse dietro della fronte

e con lui sotto l’acque lo tuffava

ne li giovo per fuggir dal hom reo

chieder soccorso, e di acideo

 

Io piena di paura mi gettai

nel mar tremando come foglia al veto

e per soccorre acis me n’andai

dovera il monte quasi in un mometo

e con li suoi parenti mi adoprai

in van per trarlo di quel gran tormeto

sin ch’usci il sangue suo del sasso fora

e in fiume si cangio senza dimora.

 

ALLEGORIA DELLE COSE DETTE

 

La allegoria di Poliphemo, & Galathea e chella detta Galathea una donna che habitava allo lito del mare, e era da molti amata e vero fu che un gigante Ciclopo la amò.& uccise uno suo amatore chiamato Acis per il quale quello fiume è così nominato. La moralita della presente istoria e che tanto vuol dire in greco Galathea quanto in latino cosa candida & dicesi che nel aria è una via che ven detta Galasia, dove alcune stelle chiamate galie & noi in vulgare dicemo Gallinelle. Hora vediamo come si espone Galathea perché theus vuol dire dio e gala veramente candido. Cioe cosa bianca de Dio. & Poliphemo vien a dire corruptione, che impugna la pudicizia & vien detta candida deita alla quale pudicizia se gli da per significatione il giglio bianco. Hor dico aduque che Galatea. Disprezza Poliphemo & ama Acis che la cura & pensiero casto il qual è nemico della corruptione & per che  continuamente la fuggie perciò dice Ovidio chel si converse in fiume.