1476 - 1478
ANGELO POLIZIANO, Le Stanze, 115 – 118:
115 Gli omer setosi a Polifemo ingombrono
l’orribil chiome e nel gran petto cascono,
e fresche ghiande l’aspre tempie adombrano:
d’intorno a lui le sue pecore pascono,
né a costui dal cor già mai disgombrano
li dolci acerbi lai che d’amor nascono,
anzi, tutto di pianto e dolor macero,
siede in un freddo sasso a piè d’un acero.
116 Dall’uno all’altro orecchio un arco face
il ciglio irsuto lungo ben sei spanne;
largo sotto la fronte il naso giace,
paion di schiuma biancheggiar le zanne;
tra’piedi ha’l cane, e sotto il braccio tace
una zampogna ben di cento canne:
lui guata il mar ch’ondeggia, e alpestre note
par canti, e muova le lanose gote,
117 e dica ch’ella è bianca più che il latte,
ma più superba assai ch’una vitella,
e che molte ghirlande gli ha già fatte,
e serbali una cerva molto bella,
un orsacchin che già col can combatte;
e che per lei si macera e sfragella,
e che ha gran voglia di saper notare
per andare a trovarla insin nel mare.
118 Duo formosi delfini un carro tirano:
sovresso è Galatea che’l fren corregge,
e quei, notando parimente, spirano;
ruotasi attorno più lasciva gregge:
qual le salse onde sputa, e quai s’aggirono,
qual par che per amor giuochi e vanegge;
la bella ninfa colle suore fide
di si rozo cantor vezzosa ride.