1553
LODOVICO DOLCE, Le trasformazioni di M. Lodovico Dolce. In questa sesta impressione da lui in molti luoghi ampliate, con l’aggiunta degli argomenti, et allegorie al principio et al fine di ciascun canto, Ferrara 1561, libro XXII, pp. 237-238
Quinci donando le ricchezze e’l Regno
Si diede a ricercar campagne e boschi;
E di sempre habitar fece desegno
Gli ombrosi moti, e gli antri icolti e boschi.
Ma vile gli rimase e roso ingegno;
E gli occhi del giudicio infermi e loschi,
Benche avesse ogni dì molti favori
Dal boschereccio Pan Dio de’ Pastori.
Ora avenne, che Pan trovosi un giorno
Su Tmolo, ch’è monte aspro e sublime,
E con le Ninfe, ch’è gli eran d’intorno,
Si diede nel sonar le lodi prime:
Dicendo, che faria vergogna e scorno
No pure in ciò a qualunque altro si stime.
M’ad Apollo medesmo: onde a la prova
L’apportator del dì tosto si trova.
S’elegge a quel giudicio il Dio del Monte;
Loqual sbrigò da gli arbori le orecchie:
E si cinse le tempie, indi la fronte
Di Quercia, che n’havea d’antiche e vecchie
Sedendo poi sopra’l suo stesso monte
Dice, che l’uno e l’altro s’apparecchie
A mostrar sua virtù; ch’egli sarebbe
Tal, qual perfetto Giudice esser debbe.
Or trovandosi Mida anco presente,
Diè prima Pan a le sue canne il fiato;
Il cui rustico suono agevolmente
Lo potè dilettare, e gli fu grato.
Poscia con maestade e gravemente,
Vistito di purpureo habito ornato,
Febo, sonando la gemmata lira,
Il cuor del Monte a se distringe e tira.
Ond’esso giudicò, che Pan dovesse
Cedere al dotto Apollo il primo honore.
Parve, che quel giudicio anco piacesse
A tutti, e fu lodato per migliore.
Sol Mida, perche’l suon non intendesse,
Disse, che preso havea Tmolo errore.
Onde Febo, accio ch’altrui in lui si specchi,
Gli fece longhi e d’Asino gli orecchi.
Mida, ch’altro non puo, se gli nascose
Si ben, ch’alcuno non gli potea vedere,
Con lunghe bende, ch’a le tempie pose,
E notte e dì le vi solea tenere.
Di scovrir questa cosa si propose,
Accorciandogli i crini, il duo Barbiere.
Ma non osando dirlo apertamente,
Tien novo modo a di sfogar la mente.
Ne va in un bosco: ivi la terra aperse,
E quivi pon la bocca, e dice piano,
Il Re Mida ha le orecchie assai diverse,
Anzi contrarie dal costume humano.
Lì ha d ‘Asino: e ciò detto, ricoperse
Le fosse, e chiuse con la propria mano.
Un bosco di cannuccie indi tra poco
Nacque per forte nel medesmo loco.
Lequal cresciute, in lor ferendo il vento,
Fu quel secreto poi noto a parecchi;
Che formaro con alto chiaro concerto,
ch’el re Mida havea d’Asino gli orecchi.
Febo lasciò quel misero scontento
A le risa de’ giovani e de’ vecchi,
E fermosi ne’ campi tra Sigeo
Di qua da l’Hellesponto, e tra Rheteo.