1522
NICCOLO’ DEGLI AGOSTINI, Tutti li libri de Ovidio Metamorphoseos tradutti dal litteral in verso vulgar con le sue allegorie in prosa, Venezia 1522, pp. 133 v-r, 134 v
I quel tepo un che Pa si nominava
Dio di villani, semicapro strao
Ne li monti vicini dimorava
Di lo re Mida, ondel con passo piano
Lando a trovar, e con lui soggiornava
Ogni altro viver riputando vano
Costui sonava in una sua zampogna
Si ben cha molti havea fatto vergogna.
E tra li sordi, e ippi, e Tmol monte
Ogni giorno con lui re Mida fra
Per udir le sonore armonie pronte
Ch’egli dì quelle canne uscir facia
Chera no più ch sette insieme aggiunte
E perche Mida gran piacere havia
Pan disse un di mentre lui lascoltava
Che meglio assai del divo Apol sonava.
Apol chel sathir temerario intese
Tutto fu pien di sdegno, e de dispetto
E senza dimorar la cetra prese
Adattando le corde, al bon archetto
Et la dovera lui del ciel discese
Poi disse se tu noi quel che tu hai detto
Manteni son venuto al paragone
Ma chi decideva nostra questione.
Pan gli rispose molto arditamente
Ch’Imolo e quel che la deciderebbe
Ed era a giudicar ben suficiente
Ne meglio a lui trovar non si potrebbe
E che quel c’havea detto veramente
Mantenir li voleva, & li farebbe
Vinto da lui suonar piu non voria
Et che la sua zampogna spezzaria.
Cosi d’accordo ad Imolo nandaro
Sopra il suo mote isieme a passo a passo
Et a lui disser poi che lo trovaro
Le diferentie lor con parlar basso
Lui daccettar limpresa li fu caro
Et se mise a seder sopra dun sasso
Ponendosi i capegli il saggio veglio
Dietro li orecchi sol per udir meglio.
Poi comando chel Dio de li villani
Fusse di lor il primo che sonasse
E sono fui che gli cenno con mani
Imolo, accio che di suonar cessasse
Poi ad Apollo con sermoni humani
Ordino che la cethra in man pigliasse
Il qual la prese, & comincio a sonare
Si ben che quasi il fece adormentare.
Et giudici ch’Apollo havea sonato
Meglio di Pan, & fu quella sententia
Da ciascaduno, & cosi lui lodato
Con vera fede, & prova cosientia
Salvo che Mida che s’havea trovato
Quando sonaro, ne la lor presentia
Mai volse confirmaria, anzi dicea
Che Pan meglio di Apol sonato habea.
Barbaro era re Mida di natura
E perche Pan barbaresco sonava
Larmonie del suo son parean piu buone
Al detto Re, percio piu le lodava
E Apol che di costui lustinatione
Vide, & udi come la disprezzava
Li disse inver per che gran udir hai
Faro li che maggior tu laverai.
Alhor tanto le orecchi e li tiroe
Che come quelle dasino divenne
Ciascuna delle, & cosi lo lascioe
Co gran suo scorno in molte amare pene
Onde lui per coprirle ritrovoe
La mitria per poter celarle bene
Fingendo di portarla come accade
Non per bisogna, ma per dignitade.
Questo altri che un suo servo no sapea
Il qual teneva per il piu fidato
Che li lavava il capo, & lo radea
E li giuro nol dir ad alcun nato
Ma tanta volonta de dirlo havea
Che nol potendo piu tenner celato
Fece una fossa, e sottoterra entroe
E ad alta voce a gridar comincioe.
Lalto re Mida ha dasino le orecchi
L’orecchi dasino ha lalto re Mida
Ne disse una sol volta, ma parecchi
Come quel che di lei molto se fida
E quando del cor shebbe tratti istecchi
E posto sin a limportune grida
Usci del folto assai lieto, e contento
Et ricopre la terra in un momento.
In quel loco poi nacquer canne molte
Lequal come dal vento eran percosse
Formavan voci vere, alte, e disciolte
Si ch agniuna parea che d homo fosse
E dicea Mida tien l’orecchie accolte
Et essendo anchor più tentate, & mosse
Fur tal parole intese da parecchi
Lalto re Mida ha dasino le orecchi.
Queste parole rivello la terra
Che gli fur dette dal servo quel giorno
Per chel si dice sel detto non erra
Che per inanzi il cielo, & lui giurarno
Di rivellar tutti isecreti in terra
Che li son detti senza temer scorno
Pero per quelle canne mando fora
Quelle parole chi fu dette alhora.
Dicessi anchor chin ql tempo un pastore
Fece di quelle canne uno strumento
Detto zampogna se non piglio errore
Che cosi nominarlo fu contento
Et suonandol di quel ne usciva fuore
Voci alte che dicean co dolce accento
Come fu intesa da giovani, & vecchi
Lalto re Mida ha dasino le orecchi.
Cosi quel si pensava di tenere
Re Mida accolto fu manifestato
A tutto il mondo contra il suo volere
Per havessi del servo suo fidato
E Apollo lieto del suo dispiacere
Poi che fu de lingiuria vendicato
Senza dimora per l’aria nandoe
E nel regno di Phrigia si firmoe.
Allegoria delle cose dette
La allegoria delle orecchi asinine del re Mida e che detto habbiamo la verità della historia dove si narra di esso re Mida. Ma per Apollo si po moralmente intendere la sapientia, per Pan, dio delli villani, li sofistici, e ignorantiche vogliono contendere con li poeti e restano vinti per lo giuditio di savii cioè per la scientia de Imolo, dio dei monti, che vol dir in greco Iuditio Iusto. Ma per Mida che disse che Pan haveva meglio cantato di Apollo se intende l’homo che solo considera la voce, e non la melodia intrinseca, che tale e a considerare questo quale e a udire uno asino raggiare e perciò dice Ovidio che Apolli li feci le orecchi de asino. E che le canne producessero quello canto se intende che colui che sa poco e mostra di saper non può stare tanto occulto chelli fatti suoi non siano manifestati. Però che sopra della terra nullo secreto e che non se revelli. Onde lo autore li apropria alle canne che per cagione del vento sogliono suonare a significatione di quelli cotali che sono come vento e nelli loro medesmi parlari manifestano la loro ignorantia. I qual sono dentro vacui, e voti di sapientia come le canne.