2-8 d.C.
PUBLIO OVIDIO NASONE, Le Metamorfosi
Tratto da: Le Metamorfosi di Ovidio, a cura di Rosati G. e Corti R., trad. Faranda Villa G., Bur Rizzoli, Milano 1997, pp. 635-643, vv. 146-193
Tediato dalla ricchezza, Mida viveva in campagna e tra i boschi,
onorando Pan, che ha la sua dimora negli antri dei monti.
Ma era sempre un essere grossolano e per la testa gli passavano
tali sciocchezze che, come innanzi, gli avrebbero attirato guai.
Dominando dall'alto la vastità del mare, ripido si erge
in altezza il monte Tmolo e con le sue pendici estese, da un lato
si spinge sino a Sardi, dall'altro sino alla minuscola Ipepe.
Qui Pan, un giorno che, vantando alle tenere ninfe i propri carmi,
modulava sulle canne della zampogna un'aria di canzone,
osò spregiare, a suo paragone, la musica di Apollo,
e così giunse (Tmolo come giudice) a una sfida, ahimè, rischiosa.
Assiso sulla sua montagna, il vecchio giudice scostò
gli alberi dalle orecchie; cinse la sua chioma cerulea soltanto
di quercia e con qualche ghianda che pendeva intorno alle tempie;
quindi, rivolto al dio delle greggi, disse: «Il giudice è pronto:
si cominci». E Pan si mise a suonare la sua rustica zampogna,
incantando col suo canto selvaggio Mida, che per caso
gli era accanto. Quand'ebbe finito, il sacro Tmolo rivolse il volto
verso quello di Febo e tutto il bosco ne seguì lo sguardo.
Febo, col capo biondo cinto dall'alloro del Parnaso,
sfiorava il suolo con un mantello sfolgorante di porpora,
e con la sinistra reggeva la cetra tempestata di gemme
e intarsiata d'avorio; nell'altra mano teneva il plettro.
La sua posa rivelava l'artista. E allora col pollice esperto
fece vibrare le corde con tanta dolcezza che, affascinato,
Tmolo invitò Pan a dare vinta dalla lira la sua zampogna.
Il verdetto del venerato monte fu approvato
da tutti; eppure Mida, lui solo, lo biasimò,
definendolo ingiusto. Il dio di Delo non si rassegnò
che quelle stolide orecchie conservassero forma umana,
e così gliele allungò, ricoprendole di peli grigi,
e le rese mobili alla base, perché potessero agitarsi.
Umano rimase il resto: in quell'unica parte fu lui punito,
ritrovandosi con le orecchie di un pigro asinello.
Nel tentativo di nascondere quella vergogna,
Mida cercò di coprire le tempie con una tiara purpurea.
Ma il servo, che era solito tagliargli con la lama i capelli
troppo lunghi, le vide, e smanioso di divulgare la notizia,
non osando rivelare la deformità che aveva scoperto,
eppure non riuscendo a tacere, si appartò e, scavata una buca,
con un filo di voce, mormorando, riferì alle viscere
della terra che razza di orecchie aveva visto al padrone.
Poi seppellì il segreto rivelato, coprendo com'era prima
il terreno, e occultata quella buca, se ne andò alla chetichella.
Ma in quel luogo cominciò a spuntare una fitta macchia
di canne tremule, che in capo a un anno fu tutto un rigoglio
e tradì il seminatore: agitata dalla brezza, riferiva
le parole sepolte, divulgando che orecchie aveva il padrone.
Vendicatosi così, il figlio di Latona lasciò il monte Tmolo
e, volando nell'aria limpida, si fermò prima dello stretto
di Elle, la figlia di Nèfele, nella terra di Laomedonte.