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Ludovico Dolce, Le Trasformationi, Venezia 1553, canto XXII, pp. 232-233

 

[…]

Haveva una figliuola, ch’avanzava

di beltà molte, e del suo amore accese

già mille e mille, intanto, che di lei

s’inamoraro insieme huomini e dei.

 

N’arde Mercurio e Febo, e non favella:

l’uno aspetta, ch ’l ciel la notte copra,

ma l’altro tosto con la donna bella

la sonnifera verga mette in opra:

e come vide addormentata quella,

con presto effetto il buon consiglio adopra.

Con lei si corca, e quel diletto prese,

che lo potè appagar per più di un mese.

 

Poi, che la notte uscì di stelle adorna,

Febo in forma di vecchia a lei sen venne:

ne s’accorgendo de le lunghe corna

che Mercurio gli fe’, sua voglia ottenne.

Il tempo, che non cessa e non soggiorna,

apporta il parto con veloci penne.

E di Mercurio nacque un figlio, detto

Autolico, in rubbar saggio e perfetto:

 

Che seguitando ogn’hor l’arte e ’l mistiero

del padre, il quale ha d’ogni astutia il vanto,

era avezzo a voltare in bianco il nero

e ’l nero far parer bianco altretanto.

Di Febo nacque Filamon, ch’intero

maestro fu di citara e di canto

ma de l’haver gradito a lei sì belli

che valse, e partorito due gemelli?

 

E che valse ancor la chiara prole,

ond’era scesa? Certo, che sovente

nuocer la troppa gloria a molti suole,

come ancora a lei nocque finalmente.

Osò della oltraggiar con le parole

Diana, et a quella anteporsi indegnamente,

tanto, che l’arco suo Diana tolse,

et a vendetta contra lei si volse.

 

Che con una saetta le trafisse

la lingua, che ’l supplicio meritava:

e fu bastante a far, ch’ella ne gisse

a la prigion di Pluto oscura e cava.

[…]