52: Venere e Adone

Titolo dell’opera: Adone morto

Autore: Laurent de La Hyre (1606-1656)

Datazione: 1626 ca.

Collocazione: Parigi, Museo del Louvre

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (109 x 48 cm)

Soggetto principale: Adone giace morto vegliato dal suo cane                             

Soggetto secondario:                       

Personaggi: Adone    

Attributi: cane, lancia (Adone)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.culture.gouv.fr/Wave/image/joconde/0003/m503604_94de57148_p.jpg

Bibliografia: La Serre J. P. de, Les Amours des dèesses, Parigi, 1627; Loire S.,  Adonis mort: un nouveau tableaux de Laurent de La Hyre(1606-1656) an Musée du Louvre in "Revue du Louvre " 48, 1998, n°3, pp. 46-56; Maria de’ Medici (1573-1642) : una principessa fiorentina sul trono di Francia, a cura di Caneva C. e Solinas F., Sillabe, Livorno, 2005;

Annotazioni redazionali: Il dipinto si presenta come una redazione molto particolare del mito di Adone: egli è raffigurato, in primo piano, morto con il corpo riverso a terra sopra la sua lancia e, su un piano leggermente arretrato, il suo cane di spalle, immersi in un paesaggio naturale lussureggiante. Infatti, per la maggior parte delle volte, nelle opere che trattano questo mito, è rappresentata la scena d’amore in cui sono presenti i due amanti, Venere e Adone, oppure il momento in cui Adone lascia Venere per recarsi a caccia, oppure il giovane cacciatore che combatte contro il cinghiale od infine, la scoperta del corpo dell’amato da parte di Venere. Perciò risulta assolutamente singolare il fatto che qui sia rappresentato Adone morto in presenza solo del suo cane. Sicuramente La Hyre si è ispirato al racconto delle Metamorfosi di Ovidio (Adofc06), opera basilare per l’educazione di qualsiasi uomo colto nel XVII secolo, ma dato che nel testo ovidiano non viene descritta la scena come è rappresentata in questo quadro, si ritiene che il pittore possa aver avuto come fonte di ispirazione anche degli adattamenti successivi delle Metamorfosi, in modo particolare L’Adone di Giambattista Marino (1569-1625), (Adofr10), pubblicato a Parigi nel 1623 con una dedica a Maria de’ Medici, e gli Amori delle dee di Jean Puget de La Serre (1600-1665), pubblicato a Parigi nel 1627. La Hyre, non avendo mai soggiornato in Italia, e quindi probabilmente non essendo stato in grado di leggere la poesia del Marino, potrebbe non aver avuto un accesso diretto al poema, del quale la prima traduzione in francese apparve solo nel 1662. Nonostante ciò, alcuni passaggi del testo, sottoforma di adattamenti, dovevano essere circolati a Parigi e soprattutto alla corte di Francia di Luigi XIII (1601–1643), alla quale prendevano parte sia il pittore sia il poeta, ed è perciò plausibile che La Hyre ne sia venuto a conoscenza. Sia nel dipinto che nel testo troviamo, infatti, una simbologia cristiana che nel quadro si traduce nella scelta di una particolare iconografia: la presenza del drappo rosso (simbolo della passione) che ricopre parzialmente il corpo di Adone, e la lancia (l’arma con cui Longino ha ferito Cristo al costato). Bisogna comunque ricordare che il periodo in cui è stato scritto il poema mitologico di Marino, indubbiamente fonte di ispirazione per La Hyre, aveva già visto la pubblicazione di altri adattamenti delle Metamorfosi, (l’Ovide Moralisè, Adofm07), depurati da ogni traccia che poteva ancora qualificarne il contenuto come pagano e profano, e che miravano piuttosto a privilegiare i riferimenti alla storia della passione, morte e resurrezione di Cristo, e all’insegnamento morale che se ne poteva ricavare. La Serre, invece, propone nella sua opera in prosa, un’interpretazione più moderna del mito in cui viene affidata molta importanza ai dialoghi. Quando Adone è sul punto di morire, infatti, La Serre gli fa pronunciare con estrema serenità un monologo d’addio ai boschi: «Addio gradevole foresta, dico gradevole ancorché vi abbia incontrato la mia morte, perché i piaceri che vi ho trovato sono molto più grandi, più profondi delle mie disgrazie. Ninfe dei boschi e delle fontane ritornate in questo luogo come in un tempio in cui l’amore mi ha svelato i più segreti misteri, e voi non piangete affatto la causa della mia morte (…). Io muoio giustamente poiché il cielo lo vuole (...)», (Loire, 1998). Si può, dunque, ritenere che La Hyre abbia voluto rendere nel suo dipinto un corrispondente visivo dei versi lirici del Marino e della prosa di La Serre. Infine, sulla destra del quadro, è raffigurato un cane, fedele compagno del giovane durante le battute di caccia, ed il fatto che l’animale sia collocato di spalle rispetto all’osservatore non permette di interpretare con certezza il suo ruolo: così, non si comprende se stia piangendo il suo padrone appena ucciso dal cinghiale, oppure se stia vegliando su di lui nel credere che sia solamente addormentato. Comunque, se si sorvola per un istante sul significato della scena, sembra che La Hyre abbia voluto dipingere un momento preciso della vicenda tragica di Adone con l’intento di sottolineare la bellezza del suo corpo, dato che non è presente alcuna ferita o segno di lotta, in un’atmosfera che ispira un senso di pace e di serenità, accentuata anche dalla natura rigogliosa e florida che circonda i due protagonisti, (Loire, 1998). Si nota un’assenza di dettagli superflui e una forte valenza naturalistica nella resa dell’episodio funebre in una composizione decisamente semplificata, incentrata tutta sul primo piano. La scelta iconografica di La Hyre è stata adottata anche da altri artisti quali Antonio Tempesta (Cfr. scheda opera 44), Lambert Sustris (Cfr. scheda opera 48), Poussin nel dipinto di Caen (Cfr. scheda opera 53), Alessandro Turchi (Cfr. scheda opera 56), Jusepe de Ribera nel dipinto di Cleveland (Cfr. scheda opera 60) e Cornelis Holsteyn (Crf. scheda opera 61).

Per un'analisi del rapporto tra l'iconografia della morte di Adone e quella della passione di Cristo, e sull'influenza dell'Adone del Marino si rimanda all'articolo di Nicolette Mandarano, Pittura Parlante, Poesia Taciturna.

Ilaria Renna