31: Venere e Adone

Titolo dell’opera: Venere e Adone

Autore: Paolo Caliari, detto il Veronese (1528-1588)

Datazione: post 1561

Collocazione: Augsburg, Staatliche Kunstsammlungen

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (99,5 x 174,5 cm)

Soggetto principale: Venere tenta di trattenere Adone dalla caccia

Soggetto secondario: Amore trattiene uno dei cani da caccia di Adone

Personaggi: Venere, Adone, Amore

Attributi: Amore (Venere); cani, corno da caccia, lancia (Adone); ali (Amore)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.artonline.it/Img/museum/Veronese/adone_g.jpg

Bibliografia: Gould C., Veronese: Venere e Adone; influssi dell’antichità e dell’Italia centrale, in Nuovi Studi su Paolo Veronese, a cura di Gemin M., Arsenale, Venezia 1990, pp. 285-287; Brock M., Titien et Veronese : Adonis a l’epreuve de Venus, in Andromede ou le heros a l’epreuve de la beauty, a cura di Siguret F., Klincksieck, Paris 1996, pp. 225-228, 242-246; Pedrocco F., Piovene G., Veronese, I Classici dell’arte, Rizzoli/Skira 2004, pp. 102-103; Mason S., Cieli degli dei e amori umani: Paolo Veronese e la pittura mitologica, in Veronese: miti, ritratti e allegorie, a cura di Romanelli G., Skira, Milano 2005, pp. 24, 26, 28-29

Annotazioni redazionali: Il dipinto del Veronese è identificabile, probabilmente, con la tela vista dal Bernini nel 1665 nel Cabinet Lassay durante il suo viaggio a Parigi. Registrati numerosi passaggi nelle collezioni private francesi e svizzere, nel 1941 viene donato al museo di Augsburg da Karl Haberstock. La vicinanza formale, con gli affreschi di Villa Barbaro a Maser ci permette di datare questa opera di poco posteriore al 1561. In questo dipinto Veronese rappresenta la favola mitologica di Venere Adone, ripresa innumerevoli volte nel corso della sua attività (Cfr. scheda opera 37), raccontata nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio (Adofc06). Veronese rappresenta il momento in cui Adone lascia Venere per andare a caccia e la Dea tenta di trattenerlo presaga della tragica fine dell’amato. Secondo la tesi di Brock (1996), l’autore nella costruzione del dipinto si basò sull’opera omonima eseguita da Tiziano per Filippo II, conservata al Prado (Cfr. scheda opera 22), probabilmente a lui nota attraverso le incisione di Cornelis Cort (e infatti qui, come nell’incisione, i personaggi sono in controparte rispetto all’originale di Tiziano). È infatti ripresa da Tiziano la particolare posizione di spalle di Venere, e in particolare quella della sua gamba sinistra. Tuttavia, il risultato finale è ben diverso: rispetto alla tela di Tiziano, l’interpretazione dell’episodio di Veronese è meno drammatica e più serena: Venere, non trattiene più il suo amato gettandovisi con tutto il corpo, ma con il braccio destro allontana il corno da richiamo e con il sinistro trattiene i cani, aiutata Amore; il distacco è espresso dal contrapposto dei due corpi. E ancora, mentre nella tela di Tiziano le figure suggeriscono un movimento verso sinistra, nell’opera di Veronese i personaggi sono al centro della scena, con Adone che protende verso lo spettatore. Diverso anche il trattamento dello sfondo: laddove Tiziano usa un paesaggio bipartito in cui troviamo lo spazio dell’amore consumato a sinistra e quello della caccia a destra, Veronese inserisce un unico grande albero al centro, quasi a costituire una barriera rispetto all’attività della caccia, con Adone che appare incerto nel procedere verso quei luoghi quasi trattenuto dalla seduzione di Venere, rivolta nuda verso di lui. Ulteriore differenza tra le due opere i cani, impazienti nel voler cacciare quelli di Tiziano, decisamente più statici quelli di Veronese; uno di questi è trattenuto da Amore, nel chiaro significato simbolico dell’Amore che trattiene l’amato di fronte l’amata, ruolo attivo della figura di Amore (Brock, 1996).

Mariateresa Pace