Adofr08

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GIOVANNI ANDREA dell’ANGUILLARA, Le Metamorfosi di Ovidio ridotte in ottava rima, Venezia, presso Giovanni Griffio, Lib. X

 

È ver, ch'ogn'un di creder si fingea,

Che del sangue regal ei fosse uscito,

D'alcuna Ninfa nobile Sabea,

E non d'amore infame, e prohibito.

Tutte le donne in Cipro prese havea;

Altra il bramava amante, altra marito:

Al fin accese anchor la Dea del loco,

E vendicò de la sua madre il foco.

 

Havendo un giorno sopra un picciol colle

La Dea Ciprigna in braccio il suo Cupido,

Mentre che scherza, e 'l bacia, e in alto il tolle,

Un de gli aurati strali esce del nido,

E 'l bel sen fere delicato, e molle,

Ond'egli hebbe già il latte amato, e fido.

Hor mentre, ch'ad amar la Dea s'accende,

Nel Re, che quindi passa, i lumi intende.

 

Era venuto in quelle parti à caccia

Quel Re, ch'à Marte poi si fè rivale:

E coraggioso allhor seguia la traccia

D'un alto, crudo, e intrepido Cinghiale.

À punto ella in quel tempo il vide in faccia,

Che 'l petto le ferì l'aurato strale.

Fere il Cinghiale intanto Adon co'l dardo,

Poi la Dea vede, e lei fere co'l guardo.

 

Come conosce à lo splendor del viso

Adon, ch'ella è la Dea de la lor terra;

Lascia, che sia da gli altri il verre ucciso,

Et à piè de la Dea fido s'atterra.

Tosto, ch'ella da gli altri esser diviso

Lo scorge, seco in una nube il serra.

Poi levar fallo, e scopre il cor secreto,

E fallo co'l dir suo stupito, e lieto.

 

Dovrei saper quel ben, ch'al mondo apporta

L'Amor, ch'unisce altrui, s'io son sua madre.

Sì che s'al generare ei solo è scorta,

D'ogni cosa creata Amore è padre.

Hor se mentre ad amare Amore essorta,

Fà nascer tante cose alme, e leggiadre:

Ogn'un, ch'al voto suo non è secondo,

In quel, che à lui s'avien, distrugge il mondo.

 

Amore altro non è, ch'un bel desio

D'effigie, che l'amante approva bella,

Che vede lei de lo splendor di Dio

Un raggio haver ne l'una, e l'altra stella:

E per goder quel ben, pon se in oblio,

E fa di tal beltà l'anima ancella.

E se risponde à lui l'obbietto amato,

L'un gode, e l'altro un ben santo, e beato.

 

Ne sol godon due spiriti quel bene,

Che da l'Amor reciproco deriva;

Ma il mondo gode il frutto, che ne viene,

Ch'altra simil beltà forma, et aviva.

Dunque ami ogn'un lo Dio, che le mantiene,

Che serba ogni beltà perpetuo viva.

Poi che mentre in due cor regna una cura,

Giovan con lor diletto à la natura.

 

Ma il ben, nel quale il mondo non ha parte,

E che no'l può goder più d'una coppia,

È ch'ogni core il suo valor comparte,

Et ogn'un de' lor due l'anima ha doppia.

Che mentre l'alma mia da me si parte,

L'anima tua dentro al tuo core addoppia,

E ne moro io, ma tu ch'amarmi intendi,

Dandomi l'alma tua, la mia mi rendi.

 

Che dapoi, che 'l mio cor l'alma ti diede,

E c'hor ne l'alma tua del tutto è impressa,

Se brami del mio Amore haver mercede,

E vuoi dare al mio cor l'alma tua stessa:

Dapoi che lo cor tuo due ne possiede,

Mi rendi l'alma mia già unita in essa.

Ne però resti tu de l'alma privo,

Ch' io con la mia la tua rendo, e t'avivo.

 

Ó veramente aventurata morte,

Onde l'amante ottien doppia la vita.

L'una quando l'amata apre le porte

À l'alma, ch'à l'amante have rapita;

Che vive fuor di se, con miglior sorte,

Dapoi ch' à l'alma desiata è unita:

Poi da l'amata un'altra vita prende,

Quando per l'alma sua due glie ne rende.

 

Ó gran lode d'Amor, poi che si giova,

Ch'altrui raddoppia la virtù de l'alma:

La qual mentre in due cor se stessa trova,

Viene à regger di due la carnal salma.

Quindi d'unire i corpi Amore approva,

E dansi à l'altra gioia unica, et alma,

E mentre ogn'un si gode il suo thesoro,

Ornan con lor dolcezza il mondo, e loro.

 

Si che dolce Amor mio, poi che quel raggio,

Che del superno lume in te riluce,

L'alma ha tirata à se dal mio coraggio,

Et in me morta, in te cerca la luce:

Per gire al tuo cor pio fa, che 'l passaggio

Non sia negato à lei da la tua luce,

Che se sarà dal cor dolce raccolta,

Io risusciterò la prima volta.

 

E non ti paia in questo acquistar poco,

Se tu raddoppi à l'anima la forza.

Poi per mostrarti grato à quel gran foco

Di vero Amor, ch' ad amar te mi sforza;

Fa, che l'anima tua cangi il suo loco,

E venga à regger la carnal mia scorza.

Ch' io con tranquillo stato almo, e giocondo,

Il viver mio da te trarrò secondo.

 

Cosi vivremo un'anima in due petti,

E premerà due cori una sol cura.

Varrà ciascun di noi per due subbietti,

E sarà doppio in semplice figura.

Quindi verremo à gli ultimi diletti,

Che fan ricco il thesor de la natura.

E l'amoroso corporal duello

Farà con piacer nostro il mondo bello.

 

E ben dei dare il cambio à l'amor mio,

Se nel tuo core il mio spirto s'annida.

Che se no'l fai, ti mostri innanzi à Dio

Sacrileco, ladrone, et homicida.

Che ben fa sacrilegio infame, e rio

Chi l'alma offende sacra, eterna, e fida.

Ben vero ladro, e micidial diviene,

Chi toglie l'alma al corpo, à l'alma il bene.

 

Chi nega al prego altrui di farsi amante,

Il mondo in quanto à se distrugge, e sface.

Ma già non mostra il tuo gentil sembiante,

D'esser ribello à l'amorosa pace:

Ch'al lampeggiar de le tue luci sante

M'accorgo, che la mia beltà ti piace.

E preso sei da l'amoroso ardore

De la Dea de le gratie, e de l'Amore.

 

Conosco, al lume pio, ch' incontri meco,

Ch'un'anima mi dai, l'altra mi rendi;

Tal, ch'io dentro al tuo cor mi trovo teco,

E tu dentro al mio sen vivi, et intendi.

Deh poi, ch'ogn'un di noi due spirti ha seco,

Poi che l'anima tua non mi contendi,

Uniam quel corpo, ch'è diviso in dui,

E con nostro piacer gioviamo altrui.

 

Nel fin di questo dir l'abbraccia, e stringe,

E 'l nettar sugge à le vermiglie rose.

Poi su'l vario color, che 'l suol dipinge,

Gli dice, e mostra, che s'assida, e pose.

Ei di doppio rossor la guancia tinge,

E con timide note, e vergognose

Mostrando riverentia, e vero affetto

Scoprì dolce, et humil l'acceso petto.

 

Ben conosco io, che l'amoroso fine

Con somma gioia il mondo informa, e veste:

Ma noi dobbiam con le ginocchie chine

Venerare una Dea santa, e celeste.

Ne degno è d'abbracciar l'alme divine

Un, che possiede la terrena veste.

Pur se ben d'obedirvi ardo, e pavento,

Vò compiacendo à voi far me contento.

 

Vorrei potervi offrir l'havere, e 'l regno;

Ma come il posso far, se 'l regno è vostro?

Io ministro di voi ne sono indegno,

E sol d'honorar voi gl' insegno, e mostro.

Voi del mio fido cor scegliete il pegno,

Prendete il lume interno, e 'l carnal chiostro.

À me di me nulla riserbo, à voi

Dono quest'alma, e tutti i pregi suoi.

 

Su l'herba egli, e la Dea s'asside, e stende,

Per darsi ad ogni ben, che più amor prezza:

E quel diletto l'un de l'altro prende,

Che vuol la loro età, la lor bellezza.

Di grado in grado il lor piacere ascende,

Fin che possiedon l'ultima dolcezza.

Tornan più volte à l'amoroso Marte,

E l'un da l'altro al fin lieto si parte.

 

L'innamorata madre di Cupido,

Abbraccia l'amor suo la notte, e 'l giorno.

Come può haverlo in solitario nido,

L'invita à l'amoroso almo soggiorno.

Abbandona Citera, e Pafo, e Gnido,

Per darsi in braccio al Re bello, et adorno.

Per la beltà d'un bel corporeo velo,

Pone in oblio le patrie, e i tempij, e 'l cielo.

 

À tutti gli altri cacciator s'asconde,

Si mostra solo à lui lasciva, e bella.

Al vago manto, et à le chiome bionde

Cerca dare ogni dì foggia novella.

Dapoi và seco à l'ombra de le fronde,

Mentre è più calda la diurna stella:

E 'l bacia mille volte, e 'l mira, e l'ode,

E con piacer di lui se'l sugge, e gode.

 

Poi di seguirlo in caccia si compiace,

Ne l'habito succinto di Diana,

Cacciando l'animal molle, e fugace,

Ma non la belva spaventosa, e strana.

L'orso, e 'l leone, et ogni fiera audace

Fa co'l poter divin star ne la tana:

Gli fa slongar da luoghi, ov'essi vanno,

Perch'al suo bello Adon non faccian danno.

 

Si dovea far nel regno eterno, e pio

In honor di quel Dio, che tutto move,

Un superbo trionfo; et ogni Dio

Trovar doveasi adorno innanzi à Giove:

Se bene il ciel la Dea post' ha in oblio,

Forz'è, ch'à questa festa si ritrove.

Hor pria che torni al regno alto, e felice,

Co'l l'ultimo dì gli parla, e dice.

 

Poi che d'andare al regno de le stelle

La trionfal del ciel pompa mi sforza,

Per salvar le tue membra amate, e belle

Da la ferina, e ria superbia, e forza,

Di non cacciar le fere horrende, e felle,

Che nocer ponno à la corporea scorza,

Ti prego, t'ammonisco, e ti consiglio,

Ne vogli esser altier con tuo periglio.

 

Persegui i caprij, e le fugaci dame,

Mostrati ne le lepri ardito, e forte:

Ma fuggi i denti, e la rabbiosa fame

Del lupo, e l'unghie orsine acute, e torte.

Deh dolce anima mia serva lo stame

De la tua vita à più matura morte.

L'ardir contra l'ardir non è sicuro,

Ma spesso priva altrui del ben futuro.

 

La verde età, l'aspetto almo, e giocondo,

Che suol mover per se l'humana gente,

Non move il ferin lume, et iracondo,

Ne la malvagia lor natura, e mente.

Sprezza il leone ogni animal del mondo,

Il folgore il cinghial porta nel dente.

Contra alcuno animal desir non t'arme,

Che de l'unghia, e del dente oprar può l'arme.

 

Ma più d'ogni animal da me si fugge,

E tu, se saggio sei, fuggirlo dei,

Quel, che più crudo altrui fa danno, e rugge,

Che già sprezzò la madre de gli Dei.

Non sol, perche gli armenti empio distrugge,

Ma per i vitij suoi nefandi, e rei.

E prima, che d'ambrosia il ciel mi pasca,

Ti vò contar quest'odio donde nasca.

 

Sediamo à l'ombra qui di guesto faggio,

Ch'ond'è, ch'odio il Leon, ti vò scoprire.

S'asside Adon, che 'l non inteso oltraggio,

Ch'à Cibele si fè, brama d'udire.

Pongli ella il capo in seno, et alza il raggio

Al suo bel volto, e poi comincia à dire.

E d' interposti baci, mentre dice,

L'avida bocca sua rende felice.

 

 

STORIA di ATALANTA e IPPOMENE

Sentito hai forse dir d'una Atalanta (...)

 

 

Si che non gir, dove tal belva rugge,

Poi che le forze, e l' ire ha troppo pronte.

Fuggi pure ogni fera, che non fugge,

Ma per voler pugnar volta la fronte.

Non far, che l'animal, che 'l sangue sugge,

Spenga le tue bellezze illustri, e conte;

Ne per voler mostrar le pruove tue,

Che 'l tuo soverchio ardir dia danno à due.

 

Con questo affetuoso avertimento

Ti lascio, e per un tempo al ciel m' invio,

Fin che faccian gli Dei restar contento

Del debito trionfo il maggior Dio.

Spiegan con questo dir le penne al vento

I Cigni, e vanno al regno eterno, e pio,

E fanno allegro il Ciel de lo splendore

De la benigna Dea madre d'Amore.

 

Al Re, partita lei, venne in pensiero

Di riveder la patria, ove già nacque:

Che dove fu privato cavaliero,

Di farsi riveder gran Re gli piacque.

Con real compagnia fa, che 'l nocchiero

Passa ver la Fenicia le salse acque,

Per terra poi ver l'Austro il camin prende

Ver dove tanto odor la terra rende.

 

Fu nel passar del gran monte Libano

Mostrato al bello Adone il core aperto;

Che 'l Re del loco, affabile, et humano

Volle honorare un Re di tanto merto.

E, perchè ogni animal diverso, e strano

Stanza in quel monte faticoso, et erto,

Volle, ch'Adone il Re grato, e cortese

Gustasse ancho il cacciar del suo paese.

 

Non seppe contradir il Re Ciprigno

Al liberal di quel Signore invito,

Il qual alquanti dì grato, e benigno

Gli fe goder le caccie del suo sito.

Intanto il Nume horribile, e sanguigno

Havea l'amor di Venere sentito,

E come Dio disposto à la vendetta

Contra il misero Adone il passo affretta.

 

Hor mentre Adon per lo difficil monte

Co'l Re cortese à suoi piaceri intende;

Marte cangiando la divina fronte

D'un superbo cinghiale il volto prende.

Per darlo à l'alta ripa di Caronte

Contra d'Adone il verre il corso stende.

Con lo spiedo ei l'attende ardito, e forte;

Che vuol del capo ornar le regie porte.

 

Havea tutto d'acciaio armato il fianco

Il porco, ma coperto era dal pelo,

Tal, che fu il tergo assicurato, e franco

Percosso in van dal tridentato telo.

Ma ben fè il verre Adon pallido à bianco,

Ché gli squarciò co'l dente il carnal velo;

Gli fè il sangue abondar da larga vena,

E render l'aura estrema in su l'arena.

 

Lo Dio de l'arme à la celeste parte

Torna à guidar la sua maligna stella.

Venere, che non sà, che 'l crudo Marte

L'imagin tolta al mondo habbia più bella;

Per dover gir dal regno alto si parte

Dove l'amor d'Adon qua giù l'appella;

E battendo alta in aere anchor le piume,

Volse al monte Libano à caso il lume.

 

Come vede il garzon disteso in terra

Con tanto sangue sparso, e forse morto,

Ver quella parte i bianchi Cigni atterra,

Ch'anchor chi colui sia, non ha ben scorto:

Ma quando il vede appresso, il crine afferra,

Et à le proprie sue carni fa torto.

Poi contra il fato aperto il cor non saggio,

Aggiunse al primo dir quest'altro oltraggio.

 

Se bene havete fati ingiusti, et empi

La terra, e me d'Adon renduta priva;

Non farete però, che in tutti i tempi

La memoria di lui non resti viva.

De la sua morte ogni anno i mesti essempi

Faran, che 'l nome suo perpetuo viva;

Il mondo imiterà con rito santo

Co'l suo infortunio il mio lamento, e pianto.

 

Tu fiume, anchor, che cosi limpido esci

De le concavità di questo monte,

Che co'l tuo humore il costui sangue mesci,

Onde hoggi vai con sanguinosa fronte;

Questo di gloria al tuo splendore accresci,

Dona il nome d'Adone al tuo bel fonte;

E fa, ch'ogni anno il dì, che restò essangue,

La splendid' onda tua corra di sangue.

 

Appresso un fiume, ch'esce di quei sassi

Lasciò l'alma d'Adon l'humane some.

E sempre, che la pompa Adonia fassi,

(Oltre che da lui prese il fonte il nome)

Con l'onde insanguinate al pianto dassi,

Per fare al mondo testimonio, come

Lo sventurato Adon morì quel giorno,

Che và la pompa sua solenne intorno.

 

L'afflitta Citherea dapoi le ciglia

Da l'acque volse à la sanguigna polve.

Terra del sangue di colui vermiglia

(Disse), che in pianto i miei lumi risolve,

Forma del sangue un'altra maraviglia,

E mentre intorno al mondo il ciel si volve,

Ricorda à l'huom con novo illustre fiore

D'Adon lo sparso sangue, e 'l mio dolore.

 

Dapoi che fu à Proserpina permesso,

Quando ritrovò Minta con Plutone,

Di far menta di lei, malgrado d'esso,

Per torsi ogni gelosa opinione,

Ond'è, ch'à Citherea non fia concesso

Di far un fior del suo diletto Adone?

Di foglie tanto accese, e sì superbe,

Che faccia invidia à tutti i fior de l'herbe?

 

Tutto di nettar santo, et odorato

Del suo gradito Adone il sangue sparse

Il qual da interno spirito infiammato

Si vide in forma sferica gonfiarse.

Così lo spirto suol ne l'acqua entrato

In una palla lucida formarse,

Ne molto andò, che 'l rosso, e picciol tondo

S'aperse in un bel fior grato, e giocondo.

 

Purpureo al fior del melagran rassembra,

Ma l'uso suo può dirsi illustre, e corto.

E con la brevità, c'ha in se, rimembra,

Come l'human splendor vien tosto morto.

Se poco ella godè le belle membra,

Del fior gode hhoggi poco il campo, e l'horto:

Che 'l vento, che 'l formò, subito toglie

Al debil fusto le caduche foglie.