64: Orfeo e Euridice

Titolo dell’opera: paesaggio con Orfeo ed Euridice

Autore: Nicolas Poussin (1594-1665)

Datazione: 1648-1650

Collocazione: Parigi, Museo del Louvre

Committenza: Jean Pointel

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (124×200 cm)

Soggetto principale: Orfeo suona la lira mentre Euridice viene morsa da un serpente

Soggetto secondario:  degli uomini tirano le funi per far muovere una barca

Personaggi: Orfeo, Euridice, altri personaggi

Attributi: lira (Orfeo); serpente (Euridice)

Contesto: scene all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: www.louvre.fr

Bibliografia: Friedlander W., Nicolas Poussin. A new approach, Harry N. Abrams, Inc. New York 1964, pp. 180-181; Mc Tighe S., The Hieroglyphic landscape. «Libertinage» and the late allegories of Nicolas Poussin, Thèse reprographieé, Yale University, 1987, pp. 268-332; Fohr R., Le paysage avec Orphée et Eurydice, de Nicolas Poussin in “Les métamorphoses d’Orphée”, catalogo della mostra, Tourcoing, Strasbourg, Ixelles, 1994-1995, Snoeck-Ducaju e Zoon,  pp. 49-51

Annotazioni redazionali: il dipinto fu realizzato per l’amatore lionese Jean Pointel, probabilmente tra il 1648 e il 1650. Rosenberg ha suggerito che il dipinto potesse essere il pendant di Paesaggio con un uomo ucciso da un serpente detto anche Gli effetti del terrore sempre dipinto per Pointel e comprato nell’agosto del 1648. La morte che qui prende la forma di un serpente, in un paesaggio apparentemente idillico, è un tema poetico che accomuna le due tavole. Secondo Fohr (1994-95) questa ipotesi potrebbe essere avvalorata da un precedente letterario: nella seconda parte della raccolta delle Rime, pubblicata a Venezia nel 1602, il cavaliere Gianbattista Marino, consacra due madrigali, il n. CXXV e il n. CXXVI, gli ultimi due della raccolta, alla morte di un giovane ragazzo, un efebo, Dorillo, morso da un serpente, destino che il Marino mette in relazione con quello di Euridice. Nell’opera di Poussin, in primo piano Orfeo, riconoscibile dalla lira, sta suonando lo strumento alla presenza di due donne semisdraiate che lo ascoltano assorte e di un uomo che è raffigurato in piedi. Dietro quest’uomo, quasi nascosta, Euridice è stata appena morsa dal serpente. La donna, è raffigurata inginocchiata, con lo sguardo rivolto verso il serpente che è poco oltre. Ai suoi piedi un piccolo cesto con dei fiori. Poco oltre, sulla riva del fiume, un uomo intento a pescare si è voltato verso Euridice, sicuramente richiamato dal grido della donna. Alle spalle di Orfeo una piccola collina sulla quale ci sono dei drappi e dei vasi, mentre attaccato ai rami di un grande albero, un drappo rosso e altri oggetti non riconoscibili. Sulla riva opposta del fiume, si stanno svolgendo altre scene: delle donne stanno per fare il bagno nelle acque del fiume, dall’altra parte degli uomini tirano delle funi che servono per trainare la barca che è in acqua e sulla quale ci sono altri personaggi. Sullo sfondo la città infernale che Poussin ha reso con la raffigurazione di Castel S. Angelo a Roma e di ponte Milvio. Il dipinto è stato oggetto di diverse ipotesi interpretative. Le più interessanti sono state quella di Friedlander e quella di McTighe. Secondo Friedlander (1964) la scena in primo piano va interpretata alla luce dei versi che Ovidio nelle Metamorfosi dedica al matrimonio di Orfeo e di Euridice(Metamorfosi, X, 1-10): “Di lì, avvolto nel suo manto color zafferano, Imenèo se ne riandò per il cielo immenso e si diresse verso la terra dei Cìconi, dove vanamente lo invocava la voce di Orfeo. Vanamente, perché Imenèo venne, sì, ma senza le parole rituali, senza letizia in volto, senza segni di buon augurio. Perfino la fiaccola, nella sua mano, stridette fino all’ultimo mandando fumo che faceva piangere, e per quanto agitata non riuscì mai a fiammeggiare. Grave l’auspicio; gravissimo quello che accadde. E infatti la sposa novella,mentre vagava per i prati in compagnia di una schiera di Nàiadi, morì, morsa al tallone da un serpente”. In effetti di questo testo è rappresentata solo l’ultima parte, la morte di Euridice, morsa dal serpente, in secondo piano al centro. Le grida della giovane donna, fanno girare un giovane pescatore, tranquillamente seduto dietro di lei sulla riva del fiume. Il gruppo che si organizza sella destra intorno ad Orfeo, sembra insensibile a questo dramma. Friedlander (1964) ha voluto riconoscere nel personaggio in piedi, coronato con una corona di foglie puntellate di fiori rossi, il dio delle nozze, Imeneo, che Poussin sembra aver già rappresentato in maniera molto differente, nella Danza in onore di Priapo del Museo di arte di San Paolo. In realtà il personaggio non porta il manto color zafferano indicato da Ovidio, ma un manto bianco su una tunica porpora, né la torcia che non fiammeggia, attributo di Imeneo. Sempre secondo  Friedlander la torcia sarebbe da riconoscere nelle due faretre appese ad un albero sulla destra. Le due donne sedute ad ascoltare il canto di Orfeo sarebbero due naiadi. Sempre secondo lo studioso il castello visibile sul fondo aldilà del lago sarebbe il Mausoleo di Adriano, ovvero Castel S. Angelo, con la Torre delle Milizie e Ponte Milvio, da dove si alzano nuvole di fumo. Il castello potrebbe essere il Castello dei Ciconi dove furono celebrate le nozze di Orfeo e di Euridice e il fumo che si sprigiona dalla struttura oltre a legarsi all’episodio di Orfeo e di Euridice agl’Inferi, potrebbe secondo lo studioso essere un legame con Imeneo. Scrive infatti Ovidio (Metamorfosi, X, 6-7): “Perfino la fiaccola, nella sua mano, stridette fino all’ultimo mandando fumo che faceva piangere, e per quanto agitata non riuscì mai a fiammeggiare”. Sheila McTighe (1987) ha invece interpretato il dipinto come una’allegoria politica, che si riferisce ai geroglifici orfici, alla teoria di Poussin dei modi, alla concezione del buon governo e, al contesto culturale e politico della Francia. Secondo la Tighe all’interno del mito di Orfeo il significato politico e quello artistico sono fortemente legati. Alcuni elementi del dipinto secondo la studiosa si rifanno a rappresentazioni precedenti come quella di Bernard Salomon del 1557 o quella di Colard Mansion del 1484. La barca senza vela sul fondo però, non può essere secondo la studiosa, identificata con  la barca di Caronte delle rappresentazioni precedenti di Ovidio. Anche la città sul fondo, il castello in fiamme e il ponte sarebbero troppo precisamente descritti per essere la raffigurazione della città di Dite. Poussin ha probabilmente preso spunto dalle incisioni precedenti dello stesso episodio, ma per conferirgli un significato allegorico nuovo (Tighe). Secondo Fohr (1994-95) invece il castello sul fondo rappresenta la città infernale e la barca è quella di Caronte, poiché i bagnanti che si vedono sulla riva sul fondo a destra, sarebbero dei dannati che tendono le braccia verso quelli già sulla barca come per dirgli addio.   

Maria D’Adduogo