52: Orfeo e Euridice

Titolo dell’opera: Orfeo ed Euridice

Autore: Annibale Carracci (1560-1609)

Datazione: ca. 1597-1600

Collocazione: Roma, Palazzo Farnese, galleria

Committenza: cardinale Odoardo Farnese

Tipologia: pittura parietale

Tecnica: affresco in monocromo

Soggetto principale: Orfeo perde nuovamente Euridice

Soggetto secondario: 

Personaggi: Orfeo, Euridice

Attributi: cetra (Orfeo)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Malafarina G., L’opera completa di Annibale Carracci, Rizzoli Editore, Milano 1976, pp. 111-119; Dempsey C., Annibale Carrache au Palais Farnèse, in Le Palais Farnèse, Ecole francaise de Rome, Roma 1981, vol. I, parte I, pp. 269-311; Briganti G., Chastel A., Zapperi R., Gli amori degli dei. Nuove indagini sulla Galleria Farnese, Edizioni dell’Elefante, Roma 1987, pp. 7-68; Borea E., De Lachenal L., (a cura di), L’idea del bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, Guida breve alla mostra, Edizioni de Luca, Roma 2000, pp.19-23; Colonna S., La Galleria dei Carracci in Palazzo Farnese a Roma. Eros, Anteros, Età dell’Oro, Gangemi Editore, Roma 2007, pp. 61-82 

Annotazioni redazionali: palazzo Farnese era stato ultimato nel 1589 in coincidenza con la morte del cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III. Il palazzo iniziato da Michelangelo e compiuto dal Vignola e dal della Porta, ospitava una grande collezione di quadri, una collezione di antichità e una biblioteca. Nel 1595 il cardinale Odoardo Farnese chiamò a Roma Annibale Carracci che vi si trasferì seguito dal fratello Agostino nel 1597. Prima della decorazione della Galleria Annibale fu chiamato a decorare il cosiddetto “camerino” che dagli studiosi è stato considerato come preludio  alla galleria stessa (Chastel, 1987). I lavori nella Galleria, un locale lungo e stretto al primo piano dell’edificio, cominciarono intorno al 1597. Dapprima quelli della volta cominciati nello stesso anno, poi dopo un considerevole lasso di tempo, quelli delle pareti. Per un periodo di tempo Annibale si avvalse anche della collaborazione del fratello, e poi di alcuni assistenti quali Domenichino, Albani, Lanfranco e Badalocchio. Secondo Briganti (1987) la decorazione della Galleria consta di due cicli sovrapposti: gli “amori degli dei” nella volta e, sotto la cornice, il registro delle Virtù, posto sotto il patronato eroico di Perseo. Gli amori degli dei sono illustrati attraverso il mito, le virtù sono associate agli emblemi farnesiani. L’organizzazione della volta fu oggetto di una lunga elaborazione. La finta ossatura architettonica poggia su due serie di quattro piedritti a ciascuno dei quali è associato un termine e alla base di questo un nudo. Su ciascuna fiancata della volta il grande quadro riportato centrale è affiancato su entrambi i lati da due medaglioni bronzei e da un pannello interposto tra essi. Ciascun medaglione sorregge due putti disposti simmetricamente sulla cornice e questi putti sono di carne come i nudi di cui sono il prolungamento visivo. Secondo Chastel (1987) vi sono due interpretazioni alternative della decorazione: secondo la prima la decorazione si addice ad un principe della chiesa. È l’idea sostenuta da Bellori, per cui il senso nascosto nell’opera sarebbe l’esaltazione dell’amor sacro trionfante su quello profano. La seconda ipotesi è che si tratti di un ciclo epitalamico, di una variazione sul tema della festa gioiosa dell’Amore, da mettere in relazione con le nozze tra il duca Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini nel 1600. Secondo Colonna (2007) il problema principale per la comprensione degli affreschi della Galleria è stato universalmente riconosciuto nell’identificazione di Anteros che appare in coppia con Eros. Nel medaglione con Orfeo ed Euridice Annibale ha raffigurato il momento in cui Orfeo avendo infranto il patto impostogli nell’Ade, perde Euridice per sempre. Il cantore coperto solo di un mantello, regge nella mano destra la lira di cui parlano tutte le fonti, mentre volge tutto il braccio sinistro indietro, verso Euridice. Verso la donna volge anche il suo sguardo pieno di disperazione, ed ha la bocca aperta in un urlo. Dietro di lui Euridice, il cui corpo l’artista ha realizzato a metà poiché la donna viene tirata negl’Inferi e scompare dietro quella che è la cornice vera della parete. La donna avvolta da nubi, che forse simboleggiano le fiamme dell’Inferno, è totalmente nuda anch’essa, con il viso rivolto verso l’alto e la bocca aperta in un grido di disperazione. L’opera è stata sicuramente realizzata facendo riferimento ad alcuni versi di Virgilio, scrive infatti l’autore (Georgiche, IV): “E riebbe Euridice, e già tornava,/ superato ogni rischio, e all’aria aperta/ sulle sue orme ella con lui saliva/ (imposto avea Proserpina quel patto),/quando colse una subita follia/ l’amante incauto, degna di perdono,/ se conoscessero il perdono i Mani./ Quasi uscito alla luce ormai, ristette/ cedendo al desiderio e (ahimè!) dimentico/ si volse a rimirar la sua Euridice./ Ogni travaglio allor fu reso vano/ s’infranse il patto col tiranno gelido;/ diede un  triplice rombo il lago Averno./ Ed ella allora: «Orfeo, quale follia/ (misera me!) così ci perde entrambi?/ Ecco, mi chiama un’altra volta indietro/ Il mio Fato crudele, ecco, mi scende/ sopra gli occhi smarriti un vel di sonno./ Addio ormai! Con sé già mi rapisce/ e m’avvolge una notte senza fine/, e (non più tua, ahimè!) protendo invano/ verso di te le braccia». Così disse/ e dileguò sotto i suoi occhi a un tratto/ qual fumo che dissolve un vento lieve;/ né più lo vide brancolar cercando/ di abbracciar l’ombre, mentre sulle labbra/ inespresse gli urgevan le parole;/ né più il nocchier dell’Orco la palude/ or che due volte persa avea la sposa?”.

Maria D’Adduogo