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LODOVICO DOLCE, Le Trasformationi, canto XX
Testo tratto da: Lodovico Dolce, Le Trasformationi, Venezia, presso Gabriel Giolito de Ferrari e fratelli, Canto XX, pp. 206, 207, 208
Quindi partì con ispediti sproni,
De le nozze il buon Dio festoso e humano
Per l’aria a volo, e venne tra i Ciconi
Adorno di un vestir ricco e sovrano:
Là, dove con dolcissimi sermoni
Fu dal famoso Orfeo chiamato invano.
Ben ei n’andò; ma non vi disse molto
Liete parole, o fe sereno il volto.
Molto felice augurio ei non v’apporta,
E parve la sua face lacrimosa;
Ch’ebbe la luce impallidita e smorta,
Nunzia di duol, nunzia di trista cosa.
A l’effetto mostrar fu l’hora corta;
Ch’Euridice, la sua novella sposa,
Accompagnata un dì da le Naiade,
A diporto sen gìa per le contrade.
E pervenuta in un bel prato herboso
Ne la stagion piu vaga e piu gradita,
Da un picciol Serpe ne l’herbetta ascoso
Fu punta nel talone, e uscì di vita.
E poi, che Orfeo dolente e lacrimoso
Pianse qua su tra noi la sua partita,
Ardì di scender giu nel cieco Averno
E girne al Re del spaventoso Inferno.
E, mentre fu la Lira, dolcemente
Movendo i diti, il lieve archetto stende,
O, disse, Re de la prigion dolente
Là, dove ogni mortal cade e discende;
Però che tutta ad un l’humana gente
Qui sotterra nel fine il corso prende;
Sappi tremendo Dio, ch’io non ci vegno
Per veder, come alcun, l’ampio tuo Regno:
E trarne fuori il buon custode e forte
Cerbero; che tal causa non mi muove;
Ma sol la cara estinta mia Consorte
Inanzi tempo, e a le sue feste nove.
Per sostener questa mia avversa sorte
Ho fatto con ragion l’ultime prove:
M finalmente m’ha sforzato Amore
A chiederti pietà del mio dolore.
Questo Signore è conosciuto a pieno
Da ciaschedun la su ne l’aria viva:
E penso, ch’egli sia tra voi non meno,
Se vera fama a nostre orecchie arriva,
Che penetrasse Amr dentro il tuo seno,
Quando la bella Dea ritrosa e schiva
Qua giu con l’Infernal Carro trahesti,
E per consorte tua poi la prendesti.
Io ti prego Signor, che la mi torni
Per questo luogo di silentio eterno:
Che, quanto avvien, che su tra noi soggiorni,
Nel fine è tuo: tiu sol ve n’hai governo.
Cio fia prestarla a me per pochi giorni,
Che ben ritornerà poscia ad Averno.
Ma se contrario al mio destre è il fato,
Qui vo restar, poi ch’io le resto a lato.
Mentre cosi dicea, vinte dal canto
L’anime si scordar de le lor pene.
La ruota d’Ision si ferma in tanto,
N epiu disio di ber Tantalo tiene:
Sisifo iol peso pose da canto:
La Belide seder: ne offeso viene
Titio da l’Avoltor: ne lagrimaro
Le Furie, ei Serpi lor s’addormentaro.
Cosi Plutone, e cosi la Reina
Di comune voler furo contenti
Di dare a Orfeo la bella pellegrina,
Vinti dal suon di quei pietosi accenti.
Mandar per lei; che tuttavia camina
Pel ricevuto morso a pasi lenti.
Orfeo la cara sua sposa riceve
Sotto condition, ch’era assai lieve.
Fu la condition , che non dovesse
Euridice voltar la faccia a drieto,
Se de l’Inferno fuor non si vedesse:
Altrimenti tornar, disse, ti vieto
Il gran Pluton, quando la legge espresse.
A che poco pensò l’animo lieto
Del poco cauto Orfeo; che seco avendo
Lei, d’altro caso non andò temendo.
Prendono il calle faticoso e erto,
Tacito e pien d’oscure nubi intorno.
Cosi d’essere al ciel chiaro e aperto
Poco mancava, ove risplende il giorno:
Alhor, ch’Orfeo de la sua Donna incerto,
Che non cadesse, o ricevesse scorno,
E bramando vedere il suo bel volto,
Si fu senza pensare indietro volto.
Subito ritornò, dond’ella ascese
Quella infelice, e da lui s’allontana.
Le braccia Orfeo per abbracciarla stese,
E ritrovossi abbaracciar l’aria vana.
Ne minor doglia e maraviglia prese
A quella novità nimica e strana,
Di chi vedendo Cerbero legato,
fu da paura in sasso trasformato.
Udì una voce, che gli disse, A Dio,
Orfeo tutto tremante e sbigottito:
E ritornò per trapassare il rio
Un’altra volta pallido e smarrito.
No, no (disse Caron) piu non t’invio;
Ritorna in dietro, e prendi altro partito:
Sette giorni si stette a quella riva
Orfeo, non gia, come persona viva.
Sette giorni si stette, e altrettanto
Spatio di notti il misero amatore;
E furo il cibo suo lagrime, e pianto,
Cura, noia, martir, pena, e dolore:
E si maravigliava esso, che tanto
Incendio avesse il petto, e gli occhi humore,
Che, perche pianga ogn’hor, perche sospiri,
Non mancavan le lagrime e i sospiri.