I sec. d.C.
LUCIO ANNEO SENECA, Ercole Oetaeus, vv. 1061-1089
Testo tratto da: www.latinovivo.com
Quin per Taenarias fores
manes cum tacitos adit
maerentem feriens chelyn,
cantu Tartara flebili
et tristes Erebi deos 1065
uicit nec timuit Stygis
iuratos superis lacus.
Haesit non stabilis rota
uicto languida turbine,
increuit Tityi iecur, 1070
dum cantus uolucres tenet;
tunc primum Phrygius senex
undis stantibus immemor
excussit rabidam sitim
nec pomis adhibet manus, 1075
et uinci lapis improbus
et uatem potuit sequi.
audis tu quoque, nauita:
inferni ratis aequoris
nullo remigio uenit. 1080
Sic cum uinceret inferos
Orpheus carmine funditus,
consumptos iterum deae
supplent Eurydices colus.
sed dum respicit immemor 1085
nec credens sibi redditam
Orpheus Eurydicen sequi,
cantus praemia perdidit:
quae nata est iterum perit.
Traduzione tratta da: Lucio Anneo Seneca, Hercules Oetaeus, (a cura di Averna D.), Roma 2002, vv. 1061-1089, pp. 79, 81
Che anzi quando raggiunse i silenziosi Mani
Attraverso le porte tenarie,
toccando le corde della dolente lira,
col suo triste canto vinse il Tartaro
e i cupi dei dell’Erebo,
né temette il lago stigio
su cui giurano gli dei superi.
Si arrestò la mobile ruota,
inerte, vinto il movimento vorticoso,
crebbe il fegato di Tizio,
mentre (Orfeo) tratteneva gli uccelli con il suo canto;
essendo anche il nocchiero tutto orecchi,
la barca del fiume infernale
avanza senza alcun rematore.
Allora per la prima volta il vecchio Frigio,
essendo immobili le onde, immemore,
allontanò la sua sete rabbiosa
né rivolse le mani verso i pomi.
Così lasciando Orfeo gli inferi con il suo canto,
anche il crudele macigno potè essere vinto
e seguire il vate.
Di nuovo le dee colmano
Le consumate conocchie di Euridice.
Ma mentre Orfeo immemore si volgeva indietro,
non credendo che Euridice a lui restituita
lo seguisse,
perse il premio del canto:
colei che è nata una seconda volta, muore.