Eurifc14

I sec. d.C.

LUCIO ANNEO SENECA, Ercole Furioso, vv. 569-579, atto secondo, coro

Testo tratto da: Lucio Anneo Seneca, Tutte le tragedie, (a cura di Standola M.), Milano 1958, p. 47

È ben riuscito Orfeo a piegare coi suoi canti e le sue supplici preghiere i duri sovrani delle ombre, allorché chiese che gli fosse restituita la sua Euridice, la sua musica, che aveva trascinato le foreste, gli uccelli e le pietre, che aveva arrestato la corsa dei fiumi, al cui risonare s’eran fermate le fiere, rapisce gl’inferi con le sue note insolite, e risuona più chiara in quei luoghi silenziosi. Piangono Euridice le giovani spose della Tracia, la piangono perfino gli dei insensibili alle lacrime; e anche i giudici, che con fronte assai severa investigano i delitti e scrutano le antiche colpe, anch’essi siedono piangendo Euridice. Alla fine l’arbitro della morte: «Ci diamo per vinti», esclama. «Torna sulla terra. Ma pongo una condizione: tu, compagna sua, incamminati dietro il tuo sposo, e tu, non voltarti per guardare la tua consorte prima che la luce del giorno t’abbia mostrato la dimora degli dei, prima che tu abbia raggiunto la porta spartana del Ténaro». Ma il vero amore odia gli indugi, non li sopporta: e così Orfeo, per la smania di vedere il suo dono, lo perdette.