Mirfr03

1553

LODOVICO DOLCE, Le Trasformazioni, in Venetia, appresso Gabriel Gioito de Ferrari e fratelli, Canto X

 

Nacque (seguita Orfeo) di questa cara

Moglie del buon Scultor Pafo:da cui

Nome ottenne da poi l’isola chiara;

che cosi detta fu Cipro da lui.

Nacque Cinara ancor, che d’una rara

Felicità potea vincere altrui;

se (quel, che spesso molti offender suole)

mai non avesse ricevuto prole.

 

Hebbe questi una figlia; che fu detta

Myrrha, di membra assai belle e leggiadre;

ma di si rea natura e maledetta,

ch’ella si innamorò del proprio padre.

Io vo chiamar felice e benedetta

La Thracia, che m’è cara e dolce madre,

poi che da quella terra s’allontana,

che produsse da noi cosa si strana.

 

e di Cianamo e d’altri eletti odori;

io non l’invidio: che l’iniqua e fiera

myrrha le toglie i suoi maggior onori.

E giura amor per la palude nera,

che punto non ti nocquero i suo ardori;

ma con la face tinta al lago Averno

t’arse una delle Furie dell’inferno.

 

Odiar la figlia il padre è gran peccato,

maggior assai che ne divenga amante.

Ah Myrrha il tuo connubio è ricercato

Da le più ricche terre di Levante:

eleggi il più famoso è’l più onorato

(che lo puoi far) di quelle turbe tante:

quel tuo Signore, e quel ti sia marito;

e lascia il bestial torto appetito.

 

Ben conoscell’ancor, che pecca ed erra,

e più volte si danna e si riprende:

poi dice, gli Animai che sono in terra,

opra ciascun come il desio l’accende.

Il capro con la madre si disserta;

e del ventre onde nacque, un altro rende.

Troppo è certo la legge ingiusta e dura

A tor quel, che permette la natura.

 

Ben si trovano alcuni, a quai concede

La legge, quel ch’a noi miseri toglie;

che la madre il figliuol gode e possede,

e la figlia diviene al padre moglie.

Dhe perche la fortuna a me non diede

Nascer tra loro; ch’havrian fin le mie doglie?

Misera me, ch’al mio amoroso fuoco

Nuoce più che la legge, il sito e’l loco.

 

Strano costume, che quand’io non fossi

Figlia, potrei far lieto il mio disio;

hor gli effetti mi son tolti e rimossi,

sol perche lui fu natura mio.

Separar dunque giustamente puossi

Coppia, ch’un sangue istesso hebbe da Dio?

Il parentado, che dovia giovarmi,

potra di tanto ben dunque privarmi?

 

Scaccia (poi soggiungea) la cieca voglia,

et ama il padre tuo, come conviene:

da lui prendesti questa frale spoglia;

giungerla con la sua non ista bene.

D’honesto amore o misera t’invoglia:

rompi i malvagi lacci e le catene.

E se cio far non lascia la presenza,

ammoszi l’empio ardor subita assenza.

 

Cosi cessando di vedere il volto,

et udirne la voce e le parole,

l’incendio a poco a poco sia risolto;

indi vorrai, quel che l’onesto vole.

Ahi temeraria voglia, ahi pensier stolto,

bramerai tu, quel che bramar non suole

altra figliola? D’esser de la madre

rivale, et empia adultera del padre?

 

Tu del proprio figliuol Myrrha sarai

Dunque sorella? E madre del tuo frate?

Tu vorrai questo far; ne temerai

L’ultrici di tali opre scelerate?

Quel che col corpo ancor fatto non hai,

non commetter con l’animo;e l’usate

leggi della natura honeste e tante

non macchiar cieca , non passar piu avante.

 

E tanto piu che non sia cosa lieve

Da conseguire, anzi impossibil creggio

L’intento mio, anzi’l peccato greve,

in ch’io misera me troppo vaneggio.

Che mio padre è, qual esser padre deve:

cosi volesse quel, ch’io bramo e cheggio:

 cosi sentisse in lui questi il furore

ch’io sento in me, che dir nol debbo amore.

 

Cinara intanto, che non sa partito

Prender nel maritar la figlia; quando

Il numero di quelli era infinito,

ch’ogni di la veniano ricercando:

dimanda a lei, qual voglia per marito;

e poi la elettion nel suo comando:

e di ciascuno a pien le dice il nome,

e’l grado, e s’ha be gli occhi e belle chiome.

 

Ella prima si tace, indi remira

Il padre, e raddoppiando in lei l’ardore,

senza ritengo alcun piange e sospira,

e dimostra profondo alto dolore.

Il padre, che non sa quel, che non mira,

pensa, che cio proceda da timore.

La conforta; e talhor paternamente

La bacia in fronte e con sincera mente.

 

Myrrha ne gode, e dimandata ancora,

s’havea scelto di tanti il piu gentile;

dopò molto le usci del petto fuora:

padre io vorrei marito a voi simile.

Ei stima che pietà la movi allora,

che comprender non puo l’indegno e vile

e sfrenato appetito della figlia;

e la loda e piacer di cio ne piglia.

 

Gia mezzo il suo camin la notte havea

Fornito, e involava il sonno grato

A gli uomini le cure, e lor tenea

Il corpo dolcemente addormentato.

Sol la misera Myrrha non chiudea

L’occhio; ma il petto avendo tormentato

Da gli amorosi spin, tra suoi pensieri

Vegghiando si volvea torbidi e neri.

 

Hor teme, hor spera, hor vuol tentar la sorte;

hora quel, che volea, muta e disuole:

ne da nimici, a quali apri le porte

man traditrice, haver cittade suole

maggior assalto, e piu crudele e forte:

ch’ ella da suoi pensier; che teme e vuole:

prender tra se un disegno e poi lo lassa;

fa un altro in quella vece, e a un altro passa.

 

Qual percossa d’Aceta aguzza e fina

Pianta, a cui solo il corpo ultimo resta:

che la mente d’altrui non è indovina,

S’habbia a cadere in quella parte, o in questa;

ma per tutto minaccia altra ruina

S’indi non è la gente a fuggir presta:

tale il cuor di costei amor ferito

mostra inchinarsi a questo e a quel partito.

 

Al fin tutt’altri danna; e sol le pare

Morte del suo martir porto soave.

Qui si risolve, e senza piu tardare

Spinta da passion tenace e grave,

il cinto, che portava hebbe adattare,

come portava il caso, ad una trave:

e pallida al suo collo acconcia il nodo,

dicendo amaramente in cotal modo.

Caro Cinara mio ti lasso homai,

vale, e intendi la causa di mia morte.

Una sua Balia, che non parte mai

Da lei, ch’era cresciuta in quella corte,

e dormia il letto al suo propinquo assai

e lei, com’è il costume, amava forte;

udito il grido e le parole, corse

a la meschina, e a tempo la soccorse.

 

E poi che seco pianse, e che basciolla,

il laccio avendo pria spezzato e rotto,

de la cagion tremando dimandolla,

ch’avea il suo core a tal furor condotto

e pel latte a lei dato supplicolla

con parlar a tal caso acconcio e dotto;

ch’a qual si voglia affanno e passione

ella tenea ricette uniche e buone.

 

Pregando lei, che non la molestasse

Myrrha tenea le ciglia a terra fisse:

quella, che non sapea, com’ella amasse;

perche t’affligi, si figliuola disse?

Or che saresti tu, quando mancasse

La madre e’l padre, e questa e quel morisse?

Inalzo Myrrha gli occhi  e sospirando

Parve che da se stessa andasse in bando.

 

Alor penso la Balia, che costei

Da qualche ascoso amor, fosse trafitta;

e se l’accolse in braccio:e pregò lei,

che volesse scourir, perche era efflitta.

S’ami cara mia figlia creder dei,

chìio lasciar non ti debba derelitta.

Ti giovera la diligentia mia,

ne questo amor noto a tuo padre sia.

 

Alhor l’usci di grambo furiosa;

e quindi s’appoggio col viso chino

sul letto, e tutta mesta e lacrimosa

bestemmia la medesima e’l suo destino.

Ah dice non cercar d’intender cosa,

che passa de l’honesto ogni confino:

et è scelerita si iniqua e strana,

che simil mai non cadde in mente humana.

 

Tremò la vecchia al suon de le parole,

poscia la prega, e la minaccia in parte;

che se non scopre, al padre contar vuole

quel, ch’ella volea far, di parte in parte:

et a l’incontro, quanto puote e suole

prometter donna, che ben s’appia l’arte

de le trame d’amor, promette e giura,

che in cio vi mettera tutta sua cura.

 

Ella alzando la teste, tuttavia

Empi di pianto a la sua balia il seno.

Si sforza di parlar, ma l’impedia

Vergogna e duol, e tien la lingua a freno.

Indi il volto con panni si copria;

e disse con un suon non molto pieno:

ben è la madre mia felice madre,

poscia, che per isposo ebbe mio padre.

 

Parve, ch’allora si sparasse il core

A la balia, e i capei le si arricciaro;

et a lasciar l’abominoso amore

la prega, a cui nessuno andava a paro.

Poi, che ferma la trova, e’n ful furore

Di pur morir, hebbe il piacerle caro:

pon homai (disse) fine al tuo martire,

C’havrai il tuo: ma non osa il padre dire.

 

Indi a non molti di venne la festa

Di Cerere inventrice de la biade;

che le matrone in pura e bianca vesta

solevan celebrar ne la cittade

ne la qual da viril complessi resta

ciascuna donna, e serba castitade

per nove giorni: onde in que sacri riti,

conven che soli giacciano i mariti.

 

Tra queste dunque ritrovossi ancora

Di Cinira la bella e cara moglie.

Parve a la Balia avere il tempo e l’hora

atti ad empir le scelerate voglie.

E senza porvi in mezzo altra dimora,

l’occasione accortamente toglie:

e ritrovandolo ebbro e ben disposto,

seco l’ordita astutia adopra tosto.

 

E sotto finto nome ella gli espone

Il vero amor de la sua ria figliola,

dice, ch’è una Donzella a paragone

D’ogni altra bella , anzi in bellezza sola,

la quale amava lui fuor di ragione

tanto, ch’amore ogni suo ben le’nuola.

Dimandata de gli anni, essa le ciglia

Abbassa, e dice, è simile a tua figlia.

 

Posto ordine tra lor per la seguente

Notte a condor la bella amante il letto,

torna a Myrrha la balia; e prestamente

le mostra, che’l desir avrebbe effetto.

Ella non se ne allegra interamente,

che la coscienza le mordeva il petto.

Pur aspetta e desia, che tosto il giorno

A le genti di la faccia ritorno.

 

Immantinente, che la notte apparse,

Myrrha è condotta al suo peccato fiero.

Con la luna nel ciel ratto disparse,

ciascuna stella, e lascio l’aer nero.

Icaro, ne Erigon non vi comparse,

ne fu si oscuro mai nistro emisfero.

Di tristo augurio segno il Guffo diede;

deiedeli a Myrrha ancor l’offeso piede.

 

Le tenebre copersero nel volto

La vergogne, che fuor si dimostrava.

Tien la man de la Balia stretta molto

La manca sua, l’altra il camin tentava.

Che patteggio col padre, e s’ebbe tolto

La balia, ch’a ogni cosa riguardava

Di cindur la fanciulla al buio e muta,

accio, ch’ella non fosse conosciuta.

 

Finse la buona ambasciatrice accorta

Quel, ch’era di mistier,che fosse finto.

Cosi ando nella camera, ou’è morta

Ogni lucerna, oue ogni lume estinto.

Myrrha divenne allor pallida e smorta

E’l fuggi sangue da la paura spinto;

col sangue fuggi l’animo, e non riede;

e tremo tutta da la testa al piede.

E, quanto piu s’avicinava al letto,

la, dove il padre l’aspettava, tanto

piu le tremava e sbigottive il petto,

e da se non ardia farsegli a canto.

Ma la Balia, chel man vuol, ch’habbia effetto,

ecco (dice) colei, ch’ama cotanto

d’esser teco sognore, e a cui t’è grato

di compiacere: e glie la mese a lato.

 

L’incauto padre in braccio ricevette

Le proprie carni; e disioso quelle

Tenendo ohime, tra le sue braccie strette,

le nozze consumo malvagie e felle:

e fose motteggiando anco dovette

dirle, anima e figliola e tai novelle,

et ella lui chiamando padre ancore

con finta voce e de l’usato fuora.

 

Partissi poi con l’utero fecondo

Del medesimo seme, ond’ella nacque.

Ne quella notte il giacimento immondo,

ma molte usare a la malvagio piacque.

Al fin vuols’egli far l’occhio giocondo

Di lei che seco tante volte giacque.

E fatto venir lumi, gli fu presto

La figlia, è’l suo peccato manifesto.

 

Non parla pel dolor, e non consulta,

ma con la spada ignuda a lei si volta;

che per darle del fallo degna multa,

in quel punto l’havria di vita tolta.

Quella pel buio de la notte occulta,

D’ebbe da quel furor divisa e sciolta:

e nove mesi se n’ando tremando

per lati campi e per campagne errando.

 

Na la felice Arabia giunta al fine

Di viver satia e dubbia ne la mente

Disse, s’ascoltan le pieta divine

Chi confessa il suo error apertamente,

mi dian pur quelle estreme discipline

che si pon dar, ch’iol merto veramente.

Ma faccian che vivendo non s’estenda

Mio falli a i vivi, o morta i morti offenda.

 

Cangiatemi vi prego in tal figura,

ch’io piu non sia tra vivi, ne tra morti.

Giove, che de languenti prende cura,

quando si son de lor peccati accorti,

fece, che i pie da una radice dura

con subito rifor le furo intorti.

Il corpo in lungo tronco si trasforma;

preser le braccia di gran rami forma.

 

E cosi di minor preser le mani:

si fe la pelle scorza, e l’issa legno.

Il sangue succo, e di quei membri umani

Piu non apparve, e non si vide segno.

L’arbore havea con suoi legami strani

Cinto il ventre di Myrrha, ch’era pregno,

E’l petto, e cignea il collo: ond’ella presta

Nel legno, che crescea, chiuse la testa.

 

E benche i sensi antichi ella perdesse

Col corpo insieme; pure insino ed hora,

in guisa che’l suo error sempre piangesse,

stille pel tronco suo lagrime ancora:

lequai poscia a la gente, che successe,

furo in gran prezzo e ne saranno ogn’ora.

In tanto il mal concetto bambinetto

Homa d’ogni suo membro era perfetto.

 

E cercava la via per uscir fuori

Del duro ventre de la nuova pianta;

la qual sentia i medesimi dolori,

che sente Donna, cui la carne ammanta.

Ne puo chieder gli aiuti ne i favori,

che porgea ad altrui Lucina santa.

Ma dimostra l’affanno e i rami abbassa;

ne di sempre versar lagrime lassa.

 

Ecco Lucina non chiamata viene:

e con benigne man standole avante,

quivi al maggior bisogno le sovvenne;

e trasse vivo il pargoletto infante.

Che si ruppe la scorza; e che senza pene

Egli n’usci, ma debole e tremante.

V’accorsero le Naiade; e lo posaro

Su l’herba; con le lagrime il lavaro.

 

Con l’odorate lagrime, che stille

La propria madre, l’hebbero lavato.

Or si rara bellezza in lui sfavilla,

che corpo non fu mai meglio formato;

in modo, che l’invidia, che favilla

non ha d’affetto san , l’havria lodato.

Tal’è Cupido, se a Cupido togli

Gli strali; o l’un ne vesti e l’altro spogli.