1375-1377
GIOVANNI dei BONSIGNORI, Ovidio Metamorphoseos vulgare, capp. 19-28
(edizione critica a cura di Ardissimo E., Bologna, 2001)
Capitulo XIX
Del re Cinnara e de Mirra sua figliuola
Passati li nove mesi, la donna partorì uno figliuolo di nome Panfo, da cui quella isula è nominata Panfa, nella quale isola nacque el re Cinnara, el quale potea essere avventurato, si fusse stato senza schiatta, e perché elli avea una figliuola maledetta, perciò non fu avventurato.
Avendo Orfeo fin a qui cantato, disse così: «O parenti, o voi altri, partitevi dalla mia canzona, e se voi non vi volete partire per lo diletto del canto, almeno non me ne vogliate credere nel presente parlare. E se voi pure el volete credere, si’l ve credete, per ciò che seguitata è pena di quello che io dico, cioè che lla figliuola se giacque con el padre, avvenga che lla natura abbia questo permesso,nondimeno io me godo, imperciò ch’i so nato nella contrade d’Ismaria dove non se commette questo peccato».
Capitulo XX
Come Orfeo, cantando, manda Mirra in Arabia
«Nelle contrade d’Arabia» dice Orfeo «è obni generazione de spezie de che noi non avemo, ed anche voglio che abbiano la mirra e non l’abiamo noi. E se volesse dire «O Mirra, constrensete amore» e ciò volesse affermare, io dico che tu menti, perciò che l’opera niega questo, perciò che non è amore quello che fa giacere la figliuola col padre. E sapea bene Mirra che questo era peccato, ed infra sè medesimo piangendo dicea: «O dii, o pietà, o giuramento sacrato de’ parenti, perch’è questo proibito? Ma io vi provo che ciò non ò peccato, perciò che ogni animale desidera la giovenca. E quali sono coloro che possano carnalità usare senza peccato alcuno? Dunque questo permesso è dalla natura, e perché dunque sarà questo peccato?» Si come Mirra ave a sé medesima ditte ed assegnate le sopraditte ragioni, cominciò nel contrario a parlare e dire: «Perché voglio commettere questo peccato? Per essere dannata a dio e obobriata al mondo?» E così dicendo se deliberò de partirse della città, acciò ch’ella non commettesse questo peccato; e poi non se volse partire perciò che ll’amore la tenea, e disse: «Se io fosse assente, non porria abracciare, né baciare el padre mio».
Capitulo XXI
Come Mirra se dole per lo carnale amore che ha posto al padre suo
Essendo costei in tanta miseria, invaghita sceleratamente del padre, in quel tempo Cinnarra era da molti pregato che lla voleano per moglie, ed uno dì el padre la domandò ch’ella li dovesse dire chi li piacea che fosse suo marito e nominòlinne molti. Mirra non respuse e basciandolo el padre cominciò a piangere; Cinnara pensava ch’ella piangesse per paura della sua verginità e perciò cominciò a llosengarla, domandandole quale ella voleva per marito. Respuse Mirra: «Io voria solo te».
Cinnara non la ‘ntendea e non s’avedea di quello peccato, ma pensava che ella dicesse così per pietà paterna. Ed essendo fatta notte, sì che ogni persona de casa era andata a posare, costei non se potea pusare, ma immaginava sopra el padre e cominciò a pensare quello ch’ella dovesse fare: o volere morire o volere vivere, e deliberò de volere morire. E si tolse la sua centura e si lasse legò al collo per impiccarse, la quale legò ad alto e così se lassò andare al vento, e così mormorando, essendo già per morire, la balia sua la sentì e subito corse a llei e senza induzio tagliò quella centura con molto pavento.
Capitulo XXII
Come Mirra manifesta alla balia l’amore che porta al padre
Avendo la balia de Mirra tagliata la centura e campata Mirra da sì brutta morte, sì disse: «Deh, figliuola mia, io ti prego che tu me dichi che cagione te mosse a condurte a sì laida morte». Mirra non gli respondea, ma abbassava il viso verso la terra per vergogna, ed allora la balia disse: «Io ti prego e scongiurote per queste poppe che tu sugesti, che tu me dichi che cagione te mosse a volere così vittuperosamente morire. E non temere, lassamette aitare perciò ch’io cognosco che furia infernale t’ha invasata, ed io ho una donna in casa mia che te farrà sana; e se alcuno dio fosse irato contra di te, noi el placarimo; io non so che a te possa mancare, imperciò che tuo padre e tua madre vive».
Odendo Mirra nominare el padre, sospirò molto forte, allora la balia, sentendola sospirare, non conoscendo perciò, a pieno conove ch’ella era innamorata e sì li disse: «Dimme chi è colui che tu ami ed io te prometto che io farrò sì che tu l’averai ed el tuo padre nol saperà». Odendo Mirra che la balia li disse «tuo padre nol saperà» cominciò a furiare ed a gridare sopra della balia e dicea: «Partite da me e non me domandare più quello ch’io ho, perciò che quello per che io me lamento è troppo scelerato peccato». Allora la balia forte temette e comenzò a pregare che lli dicesse de cui era ella innamorata, dicendo: «Se tu nol dici, io el dirrò a tuo padre e dirrò sì come tu te volevi impiccare». Allora Mirra levò el capo e pensò de dirli ogni cosa, e volendo cominciare a dire non potè per la vergogna esprimere le parole, e nondimeno per forza li uscero di bocca, dicendo: «O beata madre mia, come hai sì bel marito». Allora la balia intese subito come e de chi era innamorata, onde la balia la pregò ch’ella se levasse dal cuore quello peccato, e quanto ella potea lilli levava da l’animo. Mirra respondea e dicea: «Io vedo bene che io fo male, e nondimeno io morrò se io non trò a fine questo mio amore». Disse la balia: «E io voglio che tu mori e giurote ch’io te farrò morire per le mani del tuo padre» e ciò dicea per levarla da quel pensiero, ma niente valeva. Allora la balia disse: «Non tememere, dette pace, perchè io t’aiutarò».
Capitulo XXIII
Come Mirra andò al letto del suo padre
La donna era per soperchio e disordinato modo innamorata del padre ed in quelli dì se celebrava la festa della dea Cerere, nella qual festa era statuito ed ordinato che ciascuna persona se dovesse guardare de non toccare sue donna per spazio de nove dì e nove notti, onde le donne andavano tutte ornate alla festa, e simelmente la moglie de re Cinnara, madre de Mirra. Ed essendo già stato lo Re Cinnara conque o sei dì senza donna, la balia de Mirra andò a llui e disse: «O signore messere lo re, come potete voi stare tanti dì senza donna?». Respuse el re e disse: «Io me truovo de ciò assai gravato». Disse la balia: «Io cognosco una vergine la quale molto ve ama ed è molto bella, se voi volete io ve lla farò avere». Respuse el re e disse: «Menalamme ch’io l’averò molto caro, e menala questa notte che viene». Disse la balia, «questo sarà fatto, ma io ve lla menarò senza lume, perciò ch’ella non vuol esser conosciuta»; allora el re fu contento. La balia andò a Mirra e disse: «Relegrate perciò che questa notte se spacciarà e traràse a capo tutto’l tuo pensiero». Allora Mirra se dolea nella mente pensando in sì grande peccato e nondimeno era alegra, ei quanto el disordinato appetito la pugnava. Ed essendo el tempo deliberato venuto nella mezza notte, overo innanzi, la balia pigliò Mirra per la mano dritta e sì la menava al padre; e così menandola, la luna vedendo così grande peccato sì se scurò, e li nuvoli se pusorono denanzi alle stelle, onde la notte se fece molto tenebrosa, ed anche scurò Icaro ed Origone.
Capitulo XXIV
Come Icaro ed Origone fuorono mutati e collocati in segni celesti
Icaro fu colui che daprima trovò alla città de Atena la usanza del bere el vino e daprima inebriò molti villani li quali, come fuoro ebrii, uccisero el ditto Icaro e, come l’avero morto, el gettaro in uno pozzo. Onde per questo uno, ch’avea nome Erigone, el pianse mirabilmente, per la qual cosa l’uno e l’altro fuoro mirabilmenbte convertiti in segni celesti, cioè in stelle. Queste due stelle scuraro in quella notte che Mirra andò a peccare col padre. Questa favola non importa altro se non che, quando alcuno fa, o dice cosa famosa de che per longo tempo se possa parlare, se pò dire convertiti in stelle, cioè traslatato el fatto loro in longa e perpetua fama; e li antichi filosofi, quando computaro el corso delle stelle, pusero a loro nome in onore delli antichi passati, per la qual cosa a queste stelle pusero nome: a una Icaro, ed a l’altra Erigone.
Capitulo XV
Come Mirra usò l’adulterio con Cinnara, suo padre
Essendo Mirra giunta nella cammera apparvero molti segni per la oscurità del ditto peccato e, infra li altri segni, la donna introppicò tre volte ne l’uscio, quando intrava; ed anco el bubulo, cioè el loco, ciufilò tre volte, intanto ch’ella cominciò a temere e tutta a tremare, pensando in tal peccato. E come più s’appressava al letto più tremava; ed essendo la donna presso al letto, la balia de Mirra andò al re Cinnara e disse: «Teh, custei ch’è tua» e non disse figliuola nè manza. Lo re Cinnara la prese e pusela in sul letto; e sentendola a tremare, la cominciò a llosengare e dicea: «O figliuola» e ciò dicea per la età, non ostante che veramente gli era figliuola. E così quella notte giacque Mirra col re Cinnara, suo padre, e partìse con lo ventre pieno.
Capitulo XVI
Come Cinnara conobbe la figliuola
La seguente notte Mirra volse tornare a giacere col padre, e cossì fece; ed essendo Cinnara in letto con la donna, volse vedere con cui elli giaceva e si chiamò uno suo servo e fece arricare uno lume, e così vidde e conove la figliuola, e conove el peccato ch’elli aveva fatto. Vedendo questo, lo re fu subito percosso da ta nto dolore che non potea parlare, ma andò e sguaginò la spada e sì la voleva uccidere. Mirra incominciò a fugire e lo re la seguia, ma per cagione della notte sì la smarrì; Mirra se partì e fugì de fuora della città e passò per le contrade de Arabia, ed essendo nella città de Sabea, si era tanto stanca per la fatica, ed anche per lo corpo che lli facea noia, ch’ella non se potea muovare.
Capitulo XVII
Come Mirra se convertì in arbore chiamato Mirra
Vedendose Mirra a sì fatto partito, cominciò umilmente a pregare li dii ed a dire: «O signori dii, se alcuno peccatore de’ recevere da voi grazie, confessando li suoi peccati, io vi prego che facciate grazia a me, ciò che me debiate qualche aiuto sì che io non muoia nè non viva, perciò ch’io non so’ degna de vivere fra le genti, nè morire, scciò che llo spirito non s’aduni con nisun altro, tanto è stato scelerato el mio peccato. E perciò ve prego che me triate del regno delli vivi ed anco del regno de’ morti». Li dii subito udirono le sue preci e si la convertiero in arbore del suo nome, cioè l’arbore della mirra, el quale arbore, non ostante che non aveva vero sentimento, nondimeno sempre piange, cioè manofesta per la gomma che de lui esce, del quale sempre destilla, cioè della sua corteccia. E per ciò dice Orfeo in lo principio di questa canzona: «O Arabia, molto sei abundante de ogni spezia, e poi che ne si così copiosa, io te voglio con lo mio cantare laudare la mirra, la quale fa amarissimo liquore, acciò che per l’amaro siano più perfettamente conosciute le cose odorifere e dolce che in te sono». E così fu Mirra convertita in arbore chiamato mirra.
Allegoria ed undecime trasmutazione de Mirra mutata in arbore
Una donna fu in Grecia chiamata Mirra, e fu figliuola del re Cinnara, la quale, ‘namorandose del padre, ad inganno giacque con lui, per la qual cosa la volse uccidere. La donna fuggì ed arrivò in Arabia, e come desperata se ’mpiccò per la gola a uno arbore chiamato da poi mirra. Essendo Mirra così impiccata, una donna la trovò, e vedendo ch’ella era gravida, si la tagiò per mezzo e trassene el figliuolo ch’era vivo, el quale fu poi chiamato Adon; e dice che Venere ‘namorò de lui, cioè che fu molto lussurioso.
Capitulo XVIII
Come l’arbore della Mirra partorì el figliuolo
Essendo Mirra convertita in arbore, l’arbore, perchè era Mirra gravida, cominciò a gonfiare, perciò ch’era venuto el tempo del parto. El figliuolo, ch’era dentro, andava cercando la via onde potesse uscire fuora, l’arbore se cominciò a dolere per lo parto, ma non potea mandare fuora la boce e non potea chiamare Lucina, dea del parto, che ll’aiutasse. Nondimeno fe’ uno poco de strepido e remosse ed inchinò le rame a terra, intanto che Lucina sentì questo ed andò al parto; e come Lucina gionse, fece uno aperto fra le cortecce, per lo quale la creatura uscì.
Allora le Naiade el pigliaro e puserlo in su l’erbe e sì lo nutricaro e bagnarlo con le lagrime del suo arbore, cioè de sua madre, e così fu tutto odorifero e tanto bello che non tanto li altri, ma l’invidiosi averiano lodata la sua faccia, tanto che Cupido, figliuolo de Venere, el quale se dipegne tanto bello, che non se porria sì bello dipegnere com’era costui.