Titolo dell’opera: Ratto di Ganimede
Autore: Mattia Preti (1613-1699)
Datazione: 1635-1650 ca.
Collocazione: Roma, Galleria Pallavicini
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (85,3 x 74 cm)
Soggetto principale: Giove, sotto forma di aquila, rapisce Ganimede
Soggetto secondario: i due cani di Ganimede assistono all’evento
Personaggi: Giove (sotto forma di aquila), Ganimede
Attributi: aquila (Giove); aquila, cani (Ganimede)
Contesto: acena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://fototeca.iccd.beniculturali.it/OGGFOTOINT/SDW?W%3DMTRLEG%3D23935
Bibliografia: Zeri F., La Galleria Pallavicini in Roma: catalogo dei dipinti, Sansoni, Firenze 1959, pp. 198-199; Marongiu M., Il mito di Ganimede prima e dopo Michelangelo, Mandragora, Firenze 2002, p. 35
Annotazioni redazionali: Questo dipinto faceva parte di un gruppo di quattro quadri, provenienti da casa Colonna, tutti collegati al tema mitologico del ratto, e raffiguranti il ratto di Ganimede, il ratto di Europa, il ratto di Proserpina, più la perduta tela col Ratto di Endimione. La corretta attribuzione del dipinto al Preti si deve a Federico Zeri e Roberto Longhi, che hanno giustamente interpretato il “Cavalier Manenti” citato nel catalogo Colonna del 1783 come una cattiva lettura di qualche documento precedente, da correggersi quindi nel “Cavalier Mattia Preti”. La scena, ambientata in un contesto boschivo, ci mostra l’attimo stesso in cui Ganimede viene sollevato da terra dall’aquila (Giove); la velocità dell’accaduto è testimoniata dai due cani che guardano in alto verso il loro padrone che viene portato via, e che rappresentano un collegamento alle fonti, simboleggiando il ruolo di cacciatore del giovane Ganimede (Ganfc17). Le nubi e il dato atmosferico precisamente descritti sottolineano l’appartenenza dell’opera al filone neo-veneziano del Preti. Il dipinto mostra altresì l’interesse tipicamente seicentesco per il momento del ratto vero e proprio, fonte di potenziale dinamico. Tipica del periodo è anche l’attenzione per il paesaggio, spesso visto “come specchio delle emozioni vissute nell’intimo del personaggio, e che diventa quasi il vero protagonista dell’opera, facendo acquistare alla narrazione del mito una posizione marginale” (Marongiu, 2002).
Valentina Martinoli