46: Giove e Ganimede

Titolo: La Cacciata di Ebe e L'Assunzione di Ganimede quale Coppiere di Zeus.

Autore: Giovanni Mannozzi, detto Giovanni da San Giovanni (1592-1636)

Datazione: 1633

Collocazione: Mezzomonte, Villa Corsini, seconda sala adiacente al vestibolo d’ingresso, soffitto

Committenza: Principe Giovan Carlo de’ Medici (1611-1663)

Tipologia: Pittura parietale.

Tecnica: Affresco.

Soggetto principale: Ganimede arriva nell’Olimpo e prende il posto di Ebe mentre un putto gli porta un’anfora per la sua nuova mansione di coppiere olimpico.

Soggetto secondario: Cacciata di Ebe dall’Olimpo.

Personaggi: Giove, Ganimede, Ebe, putto.

Attributi: saette, aquila (Giove); anfora (Ganimede); coppa rovesciata (Ebe)

Contesto: Scena all’aperto.

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.villacorsini.com/ita-storiarte.htm

Bibliografia: Giglioli E., Giovanni da San Giovanni, Edizioni S.T.E.T., Firenze 1949, pp.101-102.

Banti A., Giovanni da San Giovanni. Pittore della contraddizione, G.C.Sansoni Editore Nuova S.p.A., Firenze 1977, pp.31-35.

Marongiu M., Il Mito di Ganimede prima e dopo Michelangelo, Mandragora, Firenze 2002, p. 35.

Annotazioni Redazionali: Questo affresco è stato realizzato da Giovanni Mannozzi nel 1633, su commissione del principe Giovan Carlo de’ Medici, il quale, nel 1629, aveva acquistato la villa di Mezzomonte (FI) tramite un’asta pubblica. L’intera decorazione parietale della villa fu completata fra il 1632 ed il 1636; una leggenda, non verificata da fonti storiche, ma tramandata dalla famiglia Corsini (proprietaria della villa dal 1644) racconta che, l’intera decorazione, fosse stata dedicata dal principe de’ Medici alla futura consorte, la principessa Anna da Senignano, appartenente alla famiglia dei Carafa di Napoli; e che, per questa ragione, il ciclo pittorico della villa presentasse temi particolarmente romantici e spensierati: amori fra divinità e concerti campestri. Storicamente sappiamo che il matrimonio fra il principe Giovan Carlo de’ Medici e la principessa Anna da Senignano non fu mai sancito, ma il loro fidanzamento ufficiale, dichiarato alla fine degli anni Venti del ‘600 ed interrotto nel giro di poco tempo per questioni politiche, è confermato da fonti storiche; ragion per cui potremmo effettivamente pensare a questa villa come un’ideale residenza coniugale voluta dal principe, prima che rompesse il fidanzamento e si dedicasse alla vita cardinalizia. L’affresco che prendiamo in considerazione ricopre l’intero soffitto della seconda sala adiacente al vestibolo d’ingresso e raffigura uno dei quattro amori di Giove: il mito di Ganimede. Come questa, anche la stanza attigua, la prima adiacente al vestibolo d’ ingresso, tratta lo stesso mito ed è stata interamente affrescata dall’Albani fra il 1632 e l’inizio del 1633 (http://www.villacorsini.com/ita/storia.html). Mentre l’Albani sceglie di rappresentare unicamente l’ascesa di Ganimede all’Olimpo, disponendo gli unici due protagonisti (Giove e Ganimede) frontali rispetto allo spettatore e lasciando percepire appena il moto ascensionale del giovane, il Mannozzi sceglie di rappresentare un momento di grande concitazione, e condensa nel suo affresco due momenti del mito di Ganimede, solitamente separati nelle fonti letterarie: l’arrivo di Ganimede all’Olimpo (in seguito al suo rapimento) e la cacciata di Ebe, coppiera olimpica prima dell’arrivo del giovane. Nell’affresco possiamo leggere questi due episodi seguendo l’ideale linea obliqua che partendo da Giove (in alto a sinistra) e passando attraverso Ganimede (al centro della scena) arriva ad Ebe (in basso a destra). Tutti i personaggi sono disposti di profilo (ad esclusione del puttino in alto a destra che porta a Ganimede un’anfora) e si stagliano su uno sfondato prospettico creato dal Mannozzi con la tecnica della quadratura, tipica dello stile Barocco, che dà allo spettatore l’illusione di una finestra aperta nel soffitto per mostrare il cielo dove si muovono i personaggi. Guardando l’affresco, notiamo immediatamente Ganimede al centro, sorretto dall’aquila per il lembo del panneggio che gli cinge la vita, colto nel momento in cui raggiunge Giove; questi, assiso su di un trono di nubi ed affiancato dalle sue folgori, è pronto ad accogliere il giovane con il suo braccio destro proteso in avanti. Allo stesso tempo, con la mano sinistra, invita l’osservatore a spostare la sua attenzione al di sotto di Ganimede: dove troviamo Ebe. La ragazza sta cadendo a terra supina, rovesciando la coppa e tutto il suo contenuto. Possiamo a ragion pensare che il gesto eloquente di Giove, di indicare con un dito la ragazza, dimostri la sua attiva partecipazione a ciò che sta accadendo; tuttavia, come prima accennato, sono poche le fonti letterarie relative al mito di Ganimede che parlano della cacciata di Ebe da parte di Zeus. Il Mitografo Vaticano II ed il Mitografo Vaticano III (Ganfm04; Ganfm05) accennano appena alla sostituzione di Ebe da parte di Ganimede, mentre Giovanni de’ Bonsignori (Ganfm12) e Niccolò degli Agostini (Ganfr03) descrivono in maniera più approfondita questa questione. Sembra che il Mannozzi, per il suo affresco, scelga di seguire quasi alla lettera il XXVIII capitolo del testo Ovidio Metamorphoseos vulgare di Giovanni de’ Bonsignori (Ganfm12), in cui troviamo scritto che durante un banchetto olimpico Giove provocò una forte folata di vento che causò la caduta di Ebe. Leggiamo infatti nel testo che il vento provocò la caduta delle “fembrie del suo vestimento et trasero si forte el vento che li cadero li panni di capo fino ali piei et molto le membra genitali. Onde Iove per questa cagione mostrò de esser sdegnato, et sì li tolse lo officio che havia, e delo a Ganyede”. Nell’affresco del Mannozzi, a ben vedere, Ebe ha la parte inferiore del busto e le gambe scoperti. Proseguendo nella lettura leggiamo anche che: “Alcuno savio dice che Iove falsificò el bever in lo bichier et incolpone Hebe et per questo li tolse lo officio”: potrebbe essere questa la ragione per cui nell’affresco la coppa di Ebe è colta proprio nel momento in cui il suo contenuto viene rovesciato a terra. La tradizione dell’inganno della coppa, scoperto da Giove ed usato come pretesto dallo stesso padre degli dei per la cacciata di Ebe e la sua sostituzione con Ganimede, è ripresa anche nello scritto rinascimentale del 1522 (Ganfr03) in cui Niccolò degli Agostini scrive: “E senza duol nel suo regno portollo/ Dove il fe suo pincerna, e servitore/ Hebe privando c’havea tal offitio/ Che per opporrli, e per trarnela fuore /Senza haverne cagion, ne alcuno inditio/ Ne beveraggio ritrovo il suo errore/ E la spoglio di tanto benefitio / Ponendo nel suo loco il giovinetto (Ganimede)/ Per piu contento, e suo maggior diletto”. Ad ogni modo, sembra plausibile che il Mannozzi si sia rifatto al Bonsignori per il suo affresco, in quanto sono particolarmente evidenti le corrispondenze fra la fonte e l’affresco stesso. Rimane da spiegare l’angioletto in alto a destra che sta portando a Ganimede un’anfora, strumento del suo nuovo ufficio olimpico. Naturalmente, nessuna fonte scritta parla di un personaggio che portò a Ganimede i suoi strumenti di lavoro; tuttavia, possiamo comunque spiegare la presenza dell’angelo come un’invenzione virtuosistica del Mannozzi, tipica del periodo Barocco, nonché come un ricercato modo per far capire agli osservatori, qualora non fossero sufficienti i precedenti indizi, che il giovane al centro della scena è proprio Ganimede.

Silvia Simonetti