42: Giove e Ganimede

Titolo: Ratto di Ganimede

Autore: Damiano Mazza (1553-1576)

Datazione: 1573 ca.

Collocazione: Londra, National Gallery

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (177 x 186 cm)

Soggetto principale: Giove rapisce Ganimede

Soggetto secondario:

Personaggi: Giove (sotto forma di aquila), Ganimede

Attributi: aquila (Giove); aquila (Ganimede)

Contesto: cielo con nubi

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.nationalgallery.org.uk/cgi-bin/WebObjects.dll/CollectionPublisher.woa/wa/work?workNumber=ng32

Bibliografia: Gould C., The sixteenth-century Venetian school, The National Gallery, London 1959, pp. 55-56; Anzil M. (a cura di), National Gallery, Rizzoli Editore, Milano 1977, p. 100; Marongiu M., Il mito di Ganimede:prima e dopo Michelangelo, Mandragora, Firenze 2002, p. 34

Annotazioni redazionali: Il padovano Damiano Mazza, discepolo di Tiziano ed influenzato anche da Veronese e Tintoretto, fu operoso nella seconda metà del Cinquecento. Nell’opera, che rappresenta il momento culminante del mito di Giove e Ganimede, in cui il dio, sotto forma di aquila, rapisce il giovane troiano il pittore dimostrò una tale bravura da farla credere di Tiziano, come ci attesta il Ridolfi (1648): “a Padova nella casa dei Sonica si vedeva nel soffitto Ganimede rapito dall’aquila tanto naturale da essere creduto per la sua squisitezza di Tiziano”. Il dipinto, un ottagono allargato a rettangolo, era riportato nel catalogo del 1929 della National Gallery come “Scuola di Tiziano” (Gould, 1959); inoltre, presentava una lacerazione verticale che andava dalla metà fino sotto l’ala sinistra dell’aquila. L’attribuzione a Damiano Mazza, proposta prima dal Crowe e dal Cavalcaselle e successivamente, con maggiore certezza, da Hadeln, dipende dalla reinterpretazione del passo menzionato dal Ridolfi (1648): l’opera, dunque, decorava in origine il soffitto del padiglione di casa Assonica di Padova, anche se l’uso del passato da parte del Ridolfi (vedevasi), che sembrerebbe suggerire che non era più in situ al tempo in cui scriveva (1648). Il quadro, sempre secondo quanto ci dice Cecil Gould, nel XVIII secolo si trovava in Palazzo Colonna a Roma: potrebbe essere identificato nei documenti dell’epoca con Il ratto di Ganimede nominato da Mariette come un lavoro di Tiziano, entrato tra i possedimenti dei Colonna in seguito al matrimonio con i Salviati; per questo dato si fa riferimento a quanto inciso da G. Audran in riferimento al matrimonio tra Fabrizio Colonna e Caterina Salviati che si tenne nel 1717. In ogni caso, l’identificazione del dipinto della National Gallery attribuito a Damiano Mazza, con il Ganimede di cui parla Ridolfi attribuendolo a Tiziano, non è ancora dimostrabile con certezza assoluta. Damiano Mazza, pone una grande aquila scura al centro della composizione mentre porta verso l’Olimpo il giovane troiano, rappresentato in posizione semisdraiata; viene qui accentuato il carattere erotico della narrazione, in quanto il corpo di Ganimede non è raffigurato di profilo ma di spalle, e la sua nudità è accentuata dal leggero svolazzare del mantello e dal candore delle carni, che contrasta con il piumaggio scuro dell’animale.

Giuseppina Colosi