36: Giove e Ganimede

Titolo: Ratto di Ganimede

Autore: Bottega dei Fontana di Urbino

Datazione: 1544

Collocazione: Bologna, Museo Civico Medievale

Committenza:

Tipologia: coppa

Tecnica: pittura con smalti policromi su coppa istoriata (diametro cm 27,8; altezza cm 6,6)

Soggetto principale: il ratto di Ganimede

Soggetto secondario: pastori e cani assistono al rapimento di Ganimede

Personaggi: Ganimede, Giove (sotto forma di aquila), altri personaggi (pastori; cacciatore)

Attributi: aquila (Giove, Ganimede)

Contesto: paesaggio marino

Precedenti: Michelangelo Buonarroti, Ratto di Ganimede, disegno a carboncino, 1532, Cambridge, Fogg Art Museum (Cfr. scheda opera 30)

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Ravanelli Guidotti C. (a cura di), Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna, Grafis, Bologna 1985, pp. 61-64, pp. 148-149; Gardelli G. (a cura di ), A gran fuoco. Mostra di maioliche rinascimentali dello stato di Urbino da collezioni private: Sale del Castellare di Palazzo Ducale, 18 luglio-6 settembre 1987, Arti Grafiche di Urbino, Urbino 1987, pp.11-16; Marongiu M. (a cura di), Il mito di Ganimede prima e dopo Michelangelo, Mandragora, Firenze 2002, pp.106-107.

Annotazioni redazionali: La coppa in maiolica porta iscritta all’interno del piede la data e il luogo di esecuzione, nonché il ricordo del soggetto raffigurato: 1544. /Ganimede.rapito.da.giove / Vrbino. L’opera in esame rappresenta uno straordinario esemplare di istoriato, genere specifico nella produzione della ceramica artistica, sviluppatosi tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo, caratterizzato da complesse narrazioni di temi sacri e profani. In questa produzione si distinse a Urbino la Bottega dei Fontana, fondata da Francesco Xanto Avelli e Nicolò da Urbino, identificato con il pittore di maioliche Nicolò Pellipario da Casteldurante, il quale iniziò all’arte della maiolica anche i suoi tre figli, Nicola, Camillo e Orazio. La coppa di Bologna, grazie alla data di esecuzione riportata nel piede, può essere facilmente ascritta alla produzione di Orazio Fontana, che lavorò nella bottega negli anni quaranta e cinquanta del XVI secolo. Dal punto di vista iconografico l’opera riprende un celebre disegno eseguito da Michelangelo per il nobile romano Tommaso dè Cavalieri nel 1532, oggi purtroppo perduto ma del quale si conserva una copia al Fogg Art Museum di Cambridge (Cfr. scheda opera 30). Nella coppa il ratto di Ganimede è infatti iconograficamente elaborato in modo analogo al foglio michelangiolesco: il giovane fanciullo è trattenuto per i polpacci dagli artigli dell’aquila, formando nell’unione dei due corpi un unico gruppo sospeso in volo entro un alone di nubi. Assistono alla scena tre pastori, compagni di caccia di Ganimede, che increduli implorano la restituzione del loro giovane amico; evidente il rimando all’idea michelangiolesca anche nel particolare del cane che abbaia, secondo la versione virgiliana del mito (Ganfc17). Sullo sfondo, in netta opposizione con la composizione dinamica in primo piano, è rappresentato un villaggio in riva al mare, brulicante di dettagli e squarci di vita quotidiana, in cui è possibile riconoscere una scena di caccia, con due eleganti cervi inseguiti da un cacciatore, ulteriore riferimento all’attività di cacciatore del giovane Ganimede. La dettagliata rappresentazione del contesto, da ricondurre probabilmente a scelte formali proprie del genere dell’istoriato, sembra porsi in totale estraneità rispetto al mitico episodio in primo piano, che rimane comunque protagonista assoluto dell’intera composizione. 

Gabriella D’Onofrio