35: Giove e Ganimede

Titolo: La battaglia di Montemurlo

Autore: Battista Franco, detto il Semolei (1498-1561)

Datazione: 1537 ca.

Collocazione: Firenze, Galleria Palatina

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tavola (173 x 134 cm)

Soggetto principale: la glorificazione del duca Cosimo dè Medici sotto le sembianze di Ganimede rapito da Giove

Soggetto secondario: la battaglia di Montemurlo

Personaggi: Ganimede (personificazione del duca Cosimo dè Medici), aquila, altri personaggi (soldati; dei)

Attributi: aquila (Giove; Ganimede)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti: Michelangelo Buonarroti, Ratto di Ganimede, disegno a carboncino, 1532, Cambridge, Fogg Art Museum (Cfr. scheda opera 30) -  il disegno michelangiolesco può essere considerato un precedente dell’opera in esame solo per quanto riguarda la parte del dipinto in cui è rappresentato il ratto di Ganimede.

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Marongiu M. (a cura di), Il mito di Ganimede prima e dopo Michelangelo, Mandragora, Firenze 2002, pp 82-83; Chiarini M., Padovani S. (a cura di), La Galleria Palatina e gli Appartamenti  Reali di Palazzi Pitti. Catalogo dei dipinti, Centro Di, Firenze 2003, vol. II, scheda 293, tav 55; Biferali F., Firpo M. (a cura di), Battista Franco “pittore viniziano” nella cultura artistica e nella vita religiosa del Cinquecento, Edizioni della Normale, Pisa 2007, pp 64-77.

Annotazioni redazionali: Il dipinto in esame venne eseguito dall’artista veneziano Battista Franco durante il suo soggiorno a Firenze tra il 1536 e il 1541, per il duca Cosimo dè Medici, probabilmente subito dopo la battaglia di Montemurlo (2 agosto 1537) che ricondusse Firenze sotto la guida della dinastia medicea, stroncando la rivolta dei ribelli repubblicani guidati da Filippo Strozzi e Baccio Valori. Da sempre riconosciuto come opera del Franco, il dipinto è documentato nella Guardaroba di Palazzo Vecchio dal 1533 al 1560 e, a partire dal 1561, a Palazzo Pitti, sede destinatale dal duca Cosimo I. La composizione del dipinto presenta una complessa disposizione di gruppi di figure. In primo piano sette personaggi appaiono del tutto estranei alla concitazione della battaglia che si sta svolgendo alle loro spalle. Le due figure sulla sinistra sono impegnate in una conversazione, mentre al centro e sulla destra sono raffigurati nudi virili atteggiati in varie pose. Del gruppo in primo piano solo la possente figura in piedi di spalle sembra accorgersi della straordinaria visione apparsa in cielo, tanto da indicarla: Ganimede rapito da Giove sotto forma di aquila è trasportato sull’Olimpo per divenire coppiere degli dei (come ricorda il particolare nell’angolo in alto a sinistra con il banchetto divino, dove sono riconoscibili Venere, Marte, Saturno, Ercole e Mercurio). Per questo gruppo, come per le altre figure in primo piano, appare del tutto evidente il rimando a Michelangelo. Nello specifico il gruppo con Ganimede e Giove è ripreso nei minimi particolari da un celebre disegno eseguito cinque anni prima da Michelangelo e donato a Tommaso dè Cavalieri, purtroppo perduto ma del quale si conserva una replica a carboncino al Fogg Art Museum di Cambridge (Cfr. scheda opera 30). Un’autorevole descrizione del dipinto in esame arriva da Vasari, che nella Vita di Battista Franco ne chiarisce soprattutto il profondo significato politico: “Dico che si come Ganimede fù di smisurata bellezza figliolo di Troo, così il Duca nostro, figliuolo del gran Giovanni dè Medici re di tutti gl’huomini forti, giovanetto di bellezza, e grazia, con le virtù di lettere, e d’arme, turbò la quiete co’ cani, cioè con li costumi buoni, e vinse le fiere; poi dal sommo Giove in forma d’Aquila rapito in Cielo, diventò coppiere di tutti gli Dei, cioè fù chiamato da’suoi Cittadini nella sua giovinezza destinato Principe di questa Città, e da Cesare vostro, cioè dall’Aquila imperiale portato in Cielo, e confermato Duca, viene ad esser poi fatto coppiere, perché con l’ambrosia dessi bere alli Iddei, cioè con modo dolcissimo, quasi divenendo arbitro fermasse le discordie dè Principi, e togliesse la sete delle loro volontà maligne, e satisfacesse con l’Ambrosia a noi, con l’essere specchio nostro d’ogni virtù, e costumi, a fare che ogni vivente che lo conosce habbia a stupire di sé…”. Il gruppo con Ganimede e Giove sotto forma di aquila sarebbe dunque una celebrazione simbolica del duca Cosimo dè Medici, rapito in cielo da Giove (nelle sue sembianze allusione all’aquila asburgica di Carlo V che dopo il trattato di Barcellona del 1530 aveva posto il principe sotto la sua protezione) e condotto deificato al banchetto apprestato in suo onore dalle divinità. Secondo il Biferali il ricorso alla mitologia può essere giustificato con la volontà del Semolei di rafforzare l’autorità politica del novello signore di Firenze, a quel tempo non ancora “incoronato” duca della città, ma solo capo del governo. Attraverso la mitizzazione della realtà storica presente, Battista Franco propone dunque un’opera dal forte contenuto propagandistico e politico, sorta di epopea del giovane Cosimo e dell’intera dinastia medicea. 

Gabriella D’Onofrio