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1563

LEONARDO BRUNI, Aquila volante nella quale si contiene del principio del mondo, di molte degnissime historie et favole di Saturno et Giove. Delle gran guerre fatte da Greci, da Troiani, fino al tempo di Nerone; con molte degne allegazioni di Dante, fu altri auttori, fu di nuovo con grandissima diligentia ricorretto, fu ristampato, tradotto per M. Leonardo Aretino, in Venetia per Francesco Lorenzini da Turino. MDLXIII.

Libro I, cap. X

Com'è detto, Giove fu tanto lussurioso, che non perdonò a sangue ne a natura, si al sangue cui giacque con la sorella sua carnale, e non solamente con una, ma con due secondo le historie. Saturno hebbe tre figliole femine, cioè Iunone, Cerere, et Veste, con le due prime giacque, Giove hebbe un figliolo di Iuonone, loquale figliolo se chiamò Vulcano. Et de l'altra che se chiama Cerere hebbe una figlia che si chiama Proserpina, l'altra figlia, che si chiama Veste sua sorella mai non potè corrumpere. Si a natura ella ando ad Hoste fin a Troya, et non ostante che 'l figliolo fondata l'havesse solamente per havere un garzone, che se chiamò Ganimede, de la quale storia tratta Ovidio nel Metamorfosi per quella forma che essendo egli invaghito per fama che gli venne all'orecchio de uno bellissimo fantino troiano trasformato in aquila lo rapette et portato che l'ebbe in cielo lo fe suo pincerna cioè portatore de coppa. Questa fabula induce Dante nel nono canto della seconda cantica poetizzando in sua visione dicendo.

Ne l'ora che comincia i tristi lai

la rondinella presso a la mattina,

forse a memoria de' suo' primi guai,

e che la mente nostra, peregrina

più da la carne e men da' pensier presa,

a le sue visïon quasi è divina,

in sogno mi parea veder sospesa

un'aguglia nel ciel con penne d'oro,

con l'ali aperte e a calare intesa;

ed esser mi parea là dove fuoro

abbandonati i suoi da Ganimede,

quando fu ratto al sommo consistoro.

La verità de questa fabula sta in questo modo. Secondo Fulgentio et Isodoro con alquanto esercito ando a troia, essendo troia ancho molto piccola, et de poco potere cavalcata la contrada fece preda. Vennili a mano quello che portava l'aquila d'oro nel gonfalone vermiglio, se favoleggia che se trasformo in aquila, et facesse suo pincerna, questo e vero che tanto li piacque che sempre sel voleva veder inanzi, ma che 'l rapesse in cielo non è vero questo se dice pero che Ganimede fu poi la sua morte consecrato tra li dodici segni del cielo, et è chiamato lo segno Acquario che sempre getta acqua, et pero favoleggiando si dice che è pincerna del Cielo, et qui faremo fine alla sceleratione de giove, e veneremo alla pazzia di quei che l'adoravano per Dio.