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1481

CRISTOFORO LANDINO, Comento sopra la Comedia di Dante Alighieri, Purgatorio, IX, vv. 19-24

Tratto da : http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000669/bibit000669.xml&chunk.id=d4669e34355&toc.depth=1&toc.id=d4669e34278&brand=default

 

Era già dormendo l'auctore passato tanto della nocte, che 'l giorno s'appressava, et cominciava l'alba, nel qual tempo la rondine, quando è la stagione di primavera, comincia a cantare, quando a llui in visione apparve esser nella selva Ida, la quale è presso a Troia, dove e poeti fingono, che Iove in forma d'aquila rapì Ganimede, et nel cielo gli parea vedere una aquila con penne d'oro, apta a calar giù per far preda, onde egli tra sè dicea "forse che l'usanza di questa aquila è fedire in questa selva, et non si degna di portare prede in cielo, se non di qui".

(...)

[19-21] In sogno mi parea: la visione finge esser questa, che gli paressi vedere una aquila con penne d'oro, stare sospesa in cielo con l'ale aperte, et la quale parea, che del continuo volessi calare. Allegoricamente secondo Francescho da Buti, et alquanti altri, per l'aquila s'intende la divina carità. Imperochè Idio è carità; et che l'aquila stia sempre apparechiata con l'ale aperte a calare, significa, che la divina carità sempre sta apparechiata a rapire a Dio l'anime humane, et le penne d'oro dimostrano e razi della carità splendenti et puri, chome è l'oro.

[22-24] Dipoi aggiugne l'auctore, che a llui pareva esser nella selva Ida, dove Iove in forma d'aquila rapì Ganimede. Et Francescho già decto per questo intende, che più facilmente sono rapiti dalla carità divina e sancti huomini, che nelle selve fanno penitentia; et per questo vogla dire l'auctore, che lui fussi disposto a purgarsi, chome tali huomini. La qual expositione in nessun modo ripruovo, perchè è piatosa et accomodata alla cristiana religione. Nientedimeno quando considero alla profondità dello 'ngegno del poeta, giudico, che lui vogla dimostrare, che dormendo gli venne quella spetie di sogno, la quale e Latini dicon "somnium", el quale predice le chose vere, ma obscuramente, et sotto velame, in forma che non s'intende sanza interprete. Adunque Danthe, che è l'anima sensitiva, sogna. Et dipoi la ragion superiore gl'interpreta el sogno. Per la qualchosa diremo, che Danthe s'adormenta nella valle, stracco dall'erto viaggio, i. havendo cominciato a salire alla contemplatione. Et straccandosi in quella, l'humana imbecillità da Sordello, i. dalle doctrine civili, è levato dal salire, et condocto alla vita civile, nella quale s'adormenta, i. impigrisce. Et Idio vedendo sua buona volontà, ha compassione alla fragilità, et mandagli la gratia illuminante, la qual in questo sogno figura per aquila, la quale lo rapisce al fuoco, el quale in forma lo cuoce, che si desta. Nè altro intenderemo in tal fictione, se non che la illuminante gratia lo induce al seraphico amore, donde acceso acquista la cherubica intelligentia. Et è cosa mirabile con quanto acume d'ingegno et di giudicio, et quanto copertamente lui imita Virgilio. Il che non mi pare absordo exprimere in questo luogho. Volle adunque l'uno et l'altro di questi poeti dimostrare, che questo interviene, che gl'huomini, e quali si danno alla contemplatione, o stracchi dalla fatica, o perterrefacti, et sbigoctiti dalla difficultà, mutano proposito, et ritornano alla vita civile. Et forse in quella si fermerebbono, se dal divino aiuto non fussino excitati et sollevati. Questo significa Virgilio in Enea, el qual afflicto per la tempesta concitata da Iunone et da Eolo, abbandona la 'mpresa d'andare in Italia, la quale chome dimostrai nelle nostre allegorie, sempre pone per la vita contemplativa. Et prende partito andare in Cartagine, i. alla vita activa. Et quivi facto marito di Didone, si sarebbe posato, se Iove non havessi mandato Mercurio ad excitarlo, et admonirlo, che non abbandonassi la prima impresa, i. se Idio non havessi dimostrogli per vera doctrina, quanto sia da preporre Maria a Marta. Similmente al presente el nostro poeta dimostra, che la salita alle virtù purgatorie è tanto ardua, che stracco si posa, et adormenta nella valle, la quale ponemmo per la vita civile. Ma la divina gratia l'excita, et rapiscelo, chome disotto vedrai; esser mi parea là dove foro: parea a Danthe esser nella selva Ida di Troia, dove essendo a ccaccia Ganimede fu rapito da Iove in forma d'aquila. Et optime si pone nella selva, i. in luogho solitario, a dinotare la vita contemplativa, che è solitaria, la quale lui desiderava, benchè l'ardua faticha del salire l'havessi adormentato. Optimamente significa l'aquila la gratia illuminante, perchè chome tal gratia è piena di luce, chosì l'aquila più che altro uccello s'empie di lucie, perchè può sofferire e razi del sole, et in quegli spechiarsi. Il che non può altro animale. Preterea non è uccello, che più s'innalzi, et più si levi da terra. Et similmente epsa gratia innalza el nostro intellecto; abbandonati e suoi da Ganimede: et ben dixe, che Ganimede abbandonò, et non fu abbandonato. Imperochè chi va alla vita solitaria, lascia quegli, che rimangano nella vita activa; quando fu rapto, rapito, al sommo consistorio: al concilio di quegli, che in cielo si ragunano.

[25-27] Fra me pensavo: parendomi essere nel luogho ove fu rapito Ganimede, pensavo meco medesimo, forse che questa aquila non fiede, i. non ferisce, quasi non pigla preda, se non di questo luogho. Et certo non si può innalzare a tale contemplatione la mente, nè è rapita dalla divina gratia, se non è nella selva Ida, i. in vita solitaria, et separata da ogni strepito et tumulto et cupidità delle chose basse, et terrene. Sia adunque Ganimede l'humana mente, la quale Iove, i. el sommo Idio, ama. Sieno e suoi compagni l'altre potentie dell'anima, chome è vegetativa, et sensitiva. Apposta adunque Iove, che epsa sia nella selva, i. remota dalle chose mortali, et con l'aquila già decta la inalza al cielo. Onde epsa abbandona e compagni, i. la vegetativa, et sensitiva, et abstracta, et quasi chome dice Platone rimossa dal corpo, et venuta in oblivione delle chose corporee, è tutta posta nella contemplatione de' secreti del cielo. Et serve anchora a questa allegoria el nome della selva. Perchè "idin" in greco significa vedere et conoscere.