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III sec. d.C.

ARNOBIO, Adversus Gentes (I sette libri contro i pagani), IV, 26; V, 22; V, 44

IV, 26. Che dirò di quelle passioni per le donne di cui, a quanto attestano i vostri scrittori e i vostri libri, si infiammarono gli intemerati celesti? Siamo forse noi ad accusare il re del mare d'aver strappato d'una passione furibonda, l'illibatezza verginale alle Anfitriti, alle Ippotoe, alle Amimoni, alle Menalippe, alle Alcioni? o Apollo Latonio, l'Immacolato, il castissimo, il puro, d'aver oltraggiato, nell'impeto di un desiderio sfrenato, le Arsinoe, le Aetuse, le Issipili, le Marpese, le Zeusippe, le Protoe, le Dafni, le Sterope? È la nostra poesia a presentare Saturno vecchio, già coperto di canize e freddo per l'età avanzata, che sorpreso dalla moglie in adulterio, si tramuta in animale e sotto l'aspetto di cavallo si dilegua scagliando nitriti? Lo stesso Giove, re dell'universo, non lo ricoprite d'infamia per essersi più volte trasformato e aver nascosto con ripieghi da servo la fiamma d'amori lascivi? Siamo stati noi a scrivere per godere di piaceri furtivi si mutò a volte in in oro, a volte in satiro scherzoso, in drago, in uccello, in toro, e, ciò che sorpassa ogni limite di abiezione, in una piccola formicuzza per rendere in Tessaglia la figlia di Clitori madre di Mirmidone? Chi lo ha fatto vegliare nove notti continue con Alcmena? Non siete voi? Chi l'ha fatto rimanere inoperoso per gli amori, lontano dalla reggia del cielo? Non siete voi? Chè anzi riferite a lui benefici non trascurabili, se è vero che vi è nato il dio Ercole, il quale in tali faccende sorpassò e superò le prodezze del padre. Questi infatti, potè a stento in nove notti produrre, mettere insieme e generare un figlio solo, mentre il venerando dio Ercole in una sola notte insegnò alle cinquanta figlie di Testio a prostituire la propria verginità e a sostenere il peso della maternità. E poi? non contenti che gli dèi curassero il bel sesso, non aggiungete che amarono i maschi? Uno, non so chi, ama Hila, un altro è tutto preso da Giacinto, quello brucia e arde per Pelope, questo sospira appassionato per Crisippo, Catamito è rapito e preposto ai piacere e alle coppe, Fabio, infine, per diventare il beniamino di Giove, riceve un suggello infocato nelle molli parti posteriori.

V, 22. Non credo necessario diffondermi anche qui a lungo su ciascun elemento e indicare che mucchio di bassezze e di obbrobri si nasconda in ogni particolare. Quale mortale in possesso di un minimo senso di umanintà non riesce ad avvertire da sè che cos'è tutto questo, quanto indecente ed empio e quanta ignominia ricade sugli dèi dai riti misterici e dalle origini turpi delle cerimonie sacre? "Giove si dice si infiammò per Cerere". Che v'ha fatto, di grazia, codesto Giove, chiunque egli sia, perchè gli rovesciate addosso ogni vergogna, ogni disonore, ogni adulterio, come fosse persona di poco e abietta? Leda tradì la legge del matrimonio: dicono che Giove la istigò alla colpa. Danae non potè custodire la verginintà: dicono che Giove fu il ladro. Troppo presto Europa diventò donna: sempre lo stesso ha la taccia d'averne espugnato la pudicizia. Alcmena, Elettra, Latona, Laodamia, mille altre vergini, mille altre spose furono violate: insieme ad esse anche il fanciullo Catamito perdette la grazia dell'innocenza. La favola è ovunque la medesima: Giove. E non c'è forma di depravazione in cui tra le più turpi passioni non aggiungete il suo nome, sicchè il disgraziato pare non sia nato se non per essere stanza di delitti, soggetto d'imprecazioni , luogo aperto dove si adunano e si convoglino le sporcizie di tutti gli scoli. Ora, se diceste che ebbe relazioni con donne non consenguinee, sarebbe sì cosa empia, ma l'attacco della vostra mordacità sarebbe tollerabile: e invece anche la madre, anche la figlia agognò ol desiderio d'un animo sfrenato e non riuscirono a trattenerlo da sì empio pensiero nè la santità o la reverenza della genetrice, nè il sacro rispetto per la fanciulla nata da lui? 

V, 44. Ma se pretendete che queste favole sono scritte in forma allegorica, che sarà delle altre le quali non vediamo come possano essere costrette a tale interpretazione? Che cosa metteremo al posto di quegli scotimenti che la foia pruriginosa eccitò nel figlio di Semele sopra il tumulto rialzato? Che cosa al posto di quei Ganimedi rapiti e preposti alla direzione delle passioni? Che cosa al posto di quella trasformazione in formichetta in cui Giove Massimo contrasse la sua figura maestosa? Che cosa al posto dei cigni e dei satiri? Che cosa al posto di quelle pioggie d'oro in cui lo stesso Giove con perfida furberia si mutò divertendosi nelle diverse metamorfosi? E non per sembrare che vogliamo parlare soltanto di Giove, quali allegorie possono servirsi negli amori degli altri dèi? Quali nella loro condizione di servi o di schiavi? Quali nell'essere incatenati, privi di figli, in pianto? Quali nei loro dolori, nelle loro ferite, nei loro funerali? Per cui, mentre potevate macchiarvi di una colpa sola, scrivendo siffatte cose intorno agli dei, avete aggiunto, come si dice, al garo il gerre, giacchè avete chiamato cose turpi col nome degli dèi e, insieme avete bruttato gli dèi con vocaboli di cose infami. Se voi credeste con convinzione incrollabile che essi sono presenti qui o esistono in qualche altro luogo, avreste paura al solo nominarli e, come se vi ascoltassero e comprendessero quel che dite, così dovreste credere in loro e rimaner saldi nei vostri pensieri. Presso uomini dediti a pratiche di religione non solo gli dèi ma i loro stessi nomi dovrebbero essere venerati e quanto è l'onore che si attribuisce ai nomi, altrettanto sarebbe giusto che fosse attribuito a chi li porta.