II sec. d.C.
LUCIANO, Dialoghi degli dei, 4
Giove e Ganimede
GIOVE Su via, o Ganimede, giacchè siamo arrivati qui, dammi ora un bacio: vedi che io non ho il rostro ricurvo, nè gli unghioni, nè le ali, nè sono uccello come ti parevo.
GANIMEDE O uomo, non eri tu aquila testè, che volando mi ciuffasti in mezzo al gregge? Come ti sono scomparite quelle ali, e sei divenuto un altro?
GIOVE Io non sono nè uomo, nè aquila, o fanciullo; ma il re di tutti gli Dei, che per poco tempo mi sono trasformato.
GANIMEDE Che dici? se' tu Pane? E come non hai la sampogna, nè le corna, nè le cosce pelose?
GIOVE Solo quel Dio tu conosci?
GANIMEDE Sì: e noi gli sacrifichiamo un caprone che ha le più grosse coglie, e proprio innanzi alla spelonca dove egli abita. Tu mi pari che sei un ruba-fanciulli.
GIOVE Dimmi: e di Giove non udisti mai il nome, non vedesti mai l'ara sul Gargano? di colui che piove, che tuona, che fa lampi?
GANIMEDE Tu se' colui che testè fece cadere tanta grandine, che abiti su in cielo, come dicono, che fai quei rumori, ed a cui il babbo sacrificò un ariete? E che male t'ho fatto io, o re degli Dei, che mi hai rapito? Ah! forse i lupi mi sbraneranno le pecore, che sono tutte sbrancate.
GIOVE E pensi ancora alle tue pecore, or che sei immortale, e starai sempre qui con noi?
GANIMEDE Che dici mai? E non mi poserai sull'Ida oggi stesso?
GIOVE No: chè invano mi sarei tramutato di dio in aquila.
GANIMEDE Oh, il babbo mi anderà cercando, e si sdegnerà non trovandomi: ed infine io sarò battuto per avere abbandonato la greggia.
GIOVE E dove ti vedrà egli?
GANIMEDE No, No: i' voglio babbo mio. Se mi lasci andare, io ti prometto che ei ti sacrificherà un altro ariete per mio riscatto. N'abbiamo uno di tre anni, così grande, che guida esso la greggia.
GIOVE Che fanciullo semplice ed innocente! e parmi ancora troppo fanciullo! Ma, o Ganimede, lascia stare tutte coteste cose, e scordati della greggia e dell'Ida. Tu che già sei uno de' celesti, farai gran bene di qui ed al tuo babbo ed alla tua patria: ed invece del cacio e del latte, gusterai l'ambrosia, e berrai il nettare, e verserai da bere a noi altri. E la più bella cosa è che tu non sarai più uomo, ma immortale: ed io farò risplendere bellissima la tua stella; e infine tu sarai beato.
GANIMEDE E se vorrò giocare, chi giocherà con me? Sull'Ida eravam tanti compagni.
GIOVE Anche qui avrai un compagno, che, vedilo, è Amore, e giocherete insieme a dadi. Però fà cuore, stà lieto, e non pensare alle cose di laggiù.
GANIMEDE E che mi farete fare? avete bisogno di un pastore anche qui?
GIOVE No; tu mi mescerai, avrai cura del nettare, e d'apparecchiare il convito.
GANIMEDE Questo non m'è difficile; chè io so come si versa il latte, e come si serve nella tazza d'ellera.
GIOVE E rieccolo al latte: egli crede di servire agli uomini. Qui è il cielo, e t'ho detto che noi beviamo il nettare.
GANIMEDE Ed è più dolce del latte, o Giove?
GIOVE Lo saprai or ora; e quando lo avrai gustato, non desidererai più il latte.
GANIMEDE E dove dormirò la notte? forse col mio compagno Amore?
GIOVE No; io per questo t'ho rapito, per farti dormire con me.
GANIMEDE Ah, non potresti star solo, e però hai piacere di dormire con me.
GIOVE Sì: e poi tu se' sì vago, o Ganimede, se' sì bello!
GANIMEDE E che ti fa la bellezza pel sonno?
GIOVE Gli dà maggior dolcezza, lo fa venir più soave.
GANIMEDE Eppure il babbo si dispiaceva quand'io mi coricavo con lui, e la mattina contava che io lo svegliavo rivoltandomi, dando calci, e parlando nel sonno: onde spesso mi mandava a dormir con la mamma. Or vedi, se tu dici di avermi rapito per questo, di ripormi in terra: se no, tu sarai svegliato, chè io ti molesterò continuamente rivoltandomi.
GIOVE Questo sarà il più gran piacere che mi darai, se io veglierò con te baciandoti spesso ed abbracciandoti.
GANIMEDE Te la vedrai tu: io dormirò, io, e tu bacerai.
GIOVE Vedremo allora il da fare. Ora, Mercurio, menalo teco e fattagli bere l'immortalità, riconducilo a noi coppiere, che abbia prima imparato come si deve porgere la tazza.