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Post 347 a.C.

PLATONE, Le leggi, I, 636

Ateniese: A quanto sembra, forestieri, è cosa davvero difficile che le costituzioni politiche vadano incontestabilmente bene nella loro attuazione pratica e nella teoria. Si corre infatti il rischio che non sia possibile, come per i corpi, prescrivere un determinato regime per un singolo corpo, senza che questo stesso regime sia nocivo da un lato, e dall'altro, giovevole. Tanto è vero che codesti vostri ginnasi e sissizii attualmente da molti altri punti di vista servono ai vostri Stati, ma in caso di rivolta sono assai pericolosi, come lo dimostra la gioventù di Mileto, della Boezia e di Turi; ma c'è di più: sembra anche che quest'uso là dove sia divenuto ab antiquo un'istituzione, abbia corrotto i naturali piaceri d'amore, non solo degli uomini ma anche delle bestie; e di queste aberrazioni la causa prima sono i vostri Stati insieme a tutti coloro che soprattutto curano i ginnasi. Ora - debbano tali riflessioni esser fatte scherzando, o sul serio - bisogna considerare che l'uno o l'altro sesso hanno avuto da natura questo piacere della copula in vista della procreazione, e che invece le unioni di maschi con maschi e di femmine con femmine sono contro natura e che i primi osaron tali atti furono spinti da intemperanza di piacere. Ora, tutti accusiamo i Cretesi di avere inventata la favola di Ganimede, e poichè si credeva che le loro leggi provenissero da Zeus, tale favola addossarono a Zeus, perché imitando il dio si potesse godere anche questo piacere. Comunque sia, salutiamo la favola! Quando gli uomini riflettono sulle leggi, quasi tutta la loro indagine è volta ai piaceri e ai dolori propri degli Stati e dei privati costumi, perché due sorgenti sono queste che la natura fa liberamente scorrere: e chi ad esse attinge, quando e nella misura dovuta - Stato, individuo, animale che sia - è felice; ma chi ad esse attinge sconsideratamente ed oltre l'opportuno vive nel modo esattamente opposto.