18: Giacinto e Apollo

Titolo dell'opera: La morte di Giacinto

Autore: Giambattista Tiepolo

Datazione: 1752-1753

Collocazione: Madrid, Coll. Thyssen-Bornemisza

Committenza: Wilhelm Friedrich Schaumburg-Lippe Buckeburg

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (287 x 235 cm)

Soggetto principale: Giacinto e Apollo

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Giacinto, putto, gruppo di spettatori

Attributi: corona di alloro, faretra (Apollo); fiori di giacinto (Giacinto); lance e armature (spettatori) 

Contesto: campestre

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Pigler A., Barockthemen, Budapest 1956, II, p. 30;Davidson Reid J., Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 582;Alpers S., Baxandall M., Tiepolo e l’intelligenza figurativa, Torino 1995, p. 46;Giambattista Tiepolo 1696-1996, Catalogo della mostra tenuta a Venezia, Milano 1996, pp. 171-176  

Annotazioni redazionali: Due idee preparatorie per questo dipinto (recto e verso al Victoria and Albert Museum di Londra) vennero schizzate dal Tiepolo in un foglio che conteneva anche motivi di affreschi da lui eseguiti a Wurzburg fra 1751 e 1753, perciò, tenendo anche conto del fatto che alcuni elementi del dipinto rinviano ad opere realizzate in quel periodo sempre a Wurzburg, è stato ipotizzato che Tiepolo abbia realizzato La morte di Giacinto mentre era ancora impegnato con quegli affreschi, passando da un incarico all’altro. La scelta del soggetto è da collegare probabilmente al supposto committente dell’opera, Schaumburg-Lippe, che aveva avuto una relazione con un musicista spagnolo, deceduto poco tempo prima, nel 1751, e che viene ricordato come appassionato giocatore di tennis. Infatti, uno degli elementi che maggiormente ci colpiscono nell’opera è il fatto che Tiepolo abbia sostituito al lancio del disco praticato da Apollo e Giacinto, di cui parla Ovidio (Metamorfosi, X, 174-185), il gioco del tennis. Giovanni Andrea dell’Anguillara nella sua traduzione delle Metamorfosi in ottava rima “aggiornò” il testo ovidiano, introducendo il gioco della palla, di moda a quel tempo, al posto del lancio del disco nell’episodio di Apollo e Giacinto (Metamorfosi di Ovidio ridotte in ottava rima, X, stanze 77-78). Tiepolo, pertanto, dovette servirsi non dell’originale ovidiano, ma della traduzione dell’Anguillara (un esemplare del 1669 è attualmente conservato nella Biblioteca del Museo Correr di Venezia) come fonte per la sua opera: nel dipinto, infatti, non solo in primo piano, accanto al corpo senza vita di Giacinto, si nota una racchetta con due palline, mentre sullo sfondo, tra Apollo e gli spettatori, si intravede una rete, ma la mano sinistra di Giacinto, contratta nello spasmo della morte, ricorda come il giovane, recatosi a raccogliere la pallina lanciatagli da Apollo, ne fosse stato colpito a morte. Giacinto è qui raffigurato in fin di vita, ed in particolare la posizione delle sue gambe è stata a lungo studiata dal Tiepolo: inizialmente dovevano essere rivolte verso destra, mentre Apollo originariamente doveva sorreggere il corpo dell’amato come nell’iconografia più diffusa del mito. Nella versione definitiva, invece, si evidenzia la volontà di rendere nel corpo di Giacinto l’ideale classico della bellezza, più che la sofferenza umana, mentre i gesti di Apollo risultano alquanto teatrali e non esprimono un dolore reale per la morte del giovane amato, tanto che ad accrescere la pateticità della scena viene introdotto anche un amorino. In contrasto con tale pateticità del gruppo del biondo Apollo, di Giacinto morente e del puttino, sembrano essere sia l’erma di Pan che sogghigna sulla destra, sia il gruppo di spettatori a sinistra, separati dalla scena principale da una faretra sul terreno davanti a loro. La presenza degli spettatori costituisce una novità importante rispetto alle versioni precedenti del mito, e ricorda il gruppo degli astanti che osserva la deposizione di Cristo, tanto che sul fondo si riconosce addirittura una piangente, con le braccia sollevate per il dolore. Tuttavia gli anziani dall’espressione severa, come l’erma di Pan, e la presenza del pappagallo sull’architettura a destra, sembrano per un verso evidenziare l’elemento della licenziosità e dell’amore carnale, e per un altro esprimere un giudizio moraleggiante sull’intera vicenda. Si può ipotizzare, in conclusione, la volontà da parte del pittore di sottolineare il contrasto fra i doveri divini di Apollo e i piaceri mondani cui invece si abbandonò. 

Elisa Saviani