13: Giacinto e Apollo

Titolo dell'opera: Apollo trasporta Giacinto morto

Autore: seguace di Nicolas Poussin

Datazione: 1620 ca.

Collocazione: Londra, British Museum

Committenza:

Tipologia: disegno

Tecnica: penna e acquerello marrone, rialzato di bianco, 200x267 mm

Soggetto principale: Giacinto e Apollo

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Giacinto, putti

Attributi: corona di alloro, lira, carro del Sole con cavallo trattenuto da un putto (Apollo);  disco (?), faretra, cani da caccia (Giacinto); face accesa (putto sul carro)

Contesto: bosco

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Friedlander W., Blunt A., The drawings of Nicolas Poussin. Catalogue raisonné, Londra 1953, III (Mythological subjects), p. 20;Davidson Reid J., Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 582

Annotazioni redazionali: In considerazione dello stile, il disegno in questione non è stato attribuito da Friedlander e da Blunt a Poussin, ma ad un suo seguace, il quale probabilmente realizzò una copia dell’originale di Poussin, oggi perduto. Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (X, 162-219), tuttavia il disegno non dovette far parte della serie realizzata da Poussin per il Marino. Per quanto riguarda l’iconografia, sembra che Poussin conoscesse le edizioni illustrate delle Metamorfosi del Cinquecento, infatti anche in questo caso l’artista ha posto l’accento sull’attività della caccia praticata da Giacinto. In primo piano, sulla sinistra, si riconoscono dei cani e una faretra, che sembrerebbero appartenere a Giacinto, vi sono quindi dei putti che piangono (uno di questi si appoggia ad un cane come se fosse di Giacinto), mentre il nucleo del disegno è sulla destra, costituito dalla figura di Apollo addolorato, che sostiene tra le braccia il corpo di Giacinto morto. Il dio è reso immediatamente riconoscibile, oltre che dalla corona di alloro e dalla lira appoggiata ad un albero, dalla presenza, alle sue spalle, del carro del Sole, e di uno dei suoi cavalli, trattenuto da un putto, sullo sfondo a sinistra. La presenza di altri putti sul carro del Sole, che sostengono delle faci accese, doveva forse simboleggiare il sentimento amoroso che legava Apollo al giovane della Laconia. Ora la presenza della faretra e dei cani, tenendo conto anche delle precedenti illustrazioni del mito, potrebbe far supporre che Giacinto sia rimasto ferito anche in questo caso durante la caccia. Nelle precedenti illustrazioni, infatti, non compariva il disco, che nel testo ovidiano rappresenta la causa della morte del giovane: Ovidio narra di come Giacinto venga colpito dal disco lanciato da Apollo per allenarsi, che lui era corso a riprendere. Sembra, invece, che questi illustratori abbiano tenuto maggiormente in considerazione il passo che, all’inizio del racconto ovidiano, narra di come Apollo si fosse talmente innamorato di Giacinto, da dimenticarsi del suo ruolo, dedicandosi esclusivamente ad accompagnarlo ovunque, anche a caccia, portandogli i cani al guinzaglio. Così, nelle poche illustrazioni cinquecentesche di questo mito, nel personaggio che porta i cani al guinzaglio è stato riconosciuto Apollo, piuttosto che Giacinto, in quanto il testo classico non faceva riferimento al giovane come cacciatore, bensì ad Apollo con i cani. Perciò è stato supposto che in tali illustrazioni la morte di Giacinto fosse provocata sempre da Apollo, ma non col lancio del disco, di cui non vi è traccia, bensì durante la caccia. In questo disegno, l’artista ha voluto di nuovo caratterizzare Giacinto come cacciatore, tuttavia non risultano altrettanto chiare le circostanze della sua morte. Forse l’oggetto non perfettamente identificabile nelle mani del giovane fra le braccia di Apollo è un disco? In tal senso si potrebbe parlare di una fusione, operata dall’ideatore del disegno, fra il motivo della caccia, caratterizzante l’episodio di Giacinto nelle precedenti illustrazioni delle Metamorfosi, e il motivo del disco, presente invece nell’originale ovidiano come strumento della morte del giovane amato da Apollo.

Elisa Saviani