11: Giacinto e Apollo

Titolo dell'opera: Apollo e Giacinto

Autore: Domenichino

Datazione: 1603-1604

Collocazione: Roma, Palazzo Farnese (presente nella loggia di Palazzo Farnese fino al 1820 ca.)

Committenza: cardinale Odoardo Farnese

Tipologia: dipinto parietale

Tecnica: affresco staccato (124 x 267 cm)

Soggetto principale: Giacinto e Apollo

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Giacinto

Attributi: faretra ed arco (Apollo); disco (Giacinto)

Contesto: paesaggio campestre

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:Bibliografia: R. E. Spear, Domenichino and the Farnese loggia del giardino, in «Gazette des Beaux Arts», LXIX (Marzo 1967), pp. 169-174;R. E. Spear, Domenichino, New Haven-Londra 1982, I, pp. 131-133;J. Davidson Reid-C. Rohmann, The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, New York-Oxford 1993, I, p. 582; Domenichino, a cura di Coliva A., in "Art e Dossier", Dicembre 1996, n. 118

Annotazioni redazionali: Domenichino giunse a Roma da Bologna nella primavera del 1602, e qui partecipò all’ultima grande committenza farnesiana assieme ad Annibale Caracci e ai suoi assistenti: la decorazione della galleria di Palazzo Farnese. Annibale con i suoi collaboratori iniziò a decorare il casino del giardino, piccola struttura tra il fiume e via Giulia sulla proprietà Farnese, subito dietro il Palazzo, nel 1602, e a quella data Domenichino doveva aver già dato prova di grandi capacità artistiche, visto che Annibale decise di assegnargli la realizzazione dei tre affreschi che avrebbero decorato le volte della loggia. Tutti i critici sono concordi nel considerare questi affreschi come i primi lavori indipendenti, meglio conservati, del Domenichino, datandoli fra 1603 e 1604, giacché uno di questi mostra delle affinità con la lunetta Aldobrandini della Fuga in Egitto. Il Narciso decorava la volta della sala sulla sinistra, l’Apollo e Giacinto la volta della sala sulla destra, mentre la Morte di Adone era raffigurata sulla volta del portico che si affacciava sui giardini verso il fiume. Per quanto riguarda l’Apollo e Giacinto,il pittore ha scelto di raffigurare il momento conclusivo della vicenda, così come è narrato da Ovidio nelle Metamorfosi (X, 182-189), si nota infatti il disco di Apollo per terra, in basso a sinistra, e il sangue che fuoriesce dalla fronte del giovane. Apollo e Giacinto, nel racconto ovidiano, decisero un giorno di spogliarsi (si riconoscono qui infatti l’arco e la faretra del dio, assieme ai loro mantelli, appesi ad un ramo sulla sinistra) e di ungersi d’olio, per allenarsi nel lancio del disco. Apollo lanciò per primo, e la sua potenza fu tale che il disco dapprima salì alto nel cielo, e poi precipitò con violenza a terra, rimbalzando e finendo per colpire sulla fronte Giacinto, corso a raccoglierlo. Nell’affresco il giovane perde sangue, proprio come narra la fonte, e Apollo è lì a sostenerlo, cercando di salvarlo. Spear ha sottolineato come per la figura e la posizione di Giacinto, Domenichino si sia rifatto probabilmente all’Antinoo, o Mercurio vaticano, frequentemente studiato dai pittori, e forse anche ad una statua del favorito di Adriano presente nella Galleria Farnese. Per quanto riguarda, invece, la composizione, sembra che il pittore anche in questo, come negli altri due affreschi, si sia mantenuto fedele alla fonte, le Metamorfosi di Ovidio (X, 162-219), ed in tutti e tre i casi abbia scelto un momento preciso del mito, non rappresentazioni di tipo narrativo. Certamente risulta interessante il fatto che ognuno di questi miti abbia come conclusione la metamorfosi del protagonista in un fiore: si è pensato ad una connessione con l’ambiente in cui originariamente gli affreschi si trovavano, ossia la loggia che costituiva l’accesso al giardino. Tuttavia è stato anche ipotizzato che nella scelta di questi tre miti debba essere ricercato un riferimento al committente, Odoardo Farnese, la cui impresa, creata da Fulvio Orsini, recava tre gigli purpurei, in quanto doveva richiamare l’emblema della famiglia Farnese, il giglio bianco, e, nello stesso tempo, ricordare l’elevazione al cardinalato di Odoardo. Quindi, nel casino di Palazzo Farnese la presenza di una decorazione a soggetto mitologico era certamente sintomo di una cultura di tipo umanistico, ma, nello stesso tempo, ci si servì di tale decorazione per la celebrazione del committente.

Elisa Saviani