07: Giacinto e Apollo

Titolo dell'opera: Apollo e Giacinto

Autore: Benvenuto Cellini

Datazione: 1548 circa

Collocazione: Firenze, Museo Nazionale

Committenza:

Tipologia: gruppo marmoreo

Tecnica: tuttotondo, h. 191 cm (Apollo), h. 92 cm (Giacinto), base l. 70 cm, p. 54 cm

Soggetto principale: Giacinto e Apollo

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Giacinto

Attributi:

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: F. Kriegbaum, Marmi di Benvenuto Cellini ritrovati, in «L’ Arte», Gennaio 1940, pp. 10-15;A. Pigler, Barockthemen, Budapest 1956, II, p. 29; L’ opera completa di Benvenuto Cellini, presentazione di C. Avery, apparati critici e filologici di S. Barbaglia, Milano 1981, tav. XXV; p. 93 (46);J. Pope-Hannessy, Cellini, Londra 1985, pp. 229-231;J. Davidson Reid-C. Rohmann, The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 581

Annotazioni redazionali: Si tratta di un’opera realizzata dal Cellini senza una specifica commissione: egli voleva dal prova del suo valore nella lavorazione del marmo, ma, dal momento che il marmo era difficile da trovare a Firenze in quell’epoca, ed il controllo dei blocchi disponibili era affidato al Bandinelli, sembra che quest’ultimo promettesse al Cellini di procurargli un blocco e di farglielo recapitare a casa. Già in una lettera del giugno 1548 il Cellini reclamava questo blocco di marmo, ma dato che il Bandinelli non teneva fede alla promessa, ne nacque un’accesa disputa che coinvolse lo stesso duca Cosimo De’ Medici: alla presenza del duca Cellini litigò furiosamente con il Bandinelli, che negava di avergli promesso un marmo tramite il garzone Francesco. Tuttavia alla fine l’intervento del duca fece sì che tutto fosse risolto, tanto che Cellini ebbe subito un blocco di marmo recapitato a casa (sia il Cellini nella sua Vita, che il Vasari nella Vita del Bandinelli ricordano quest’episodio). Nella sua Vita il Cellini ricorda poi: “Subito io melo feci portare in bottega, e cominciai a scarpellarlo; et in mentre che io lo lavoravo, io facevo il modello… et perché io lo sentivo tutto crocchiare, io mi pentì più volte di averlo mai cominciato allavorare: pure ne cavai quel che potetti, che è l’Apollo e Iacinto, che ancora si vede imperfetto in bottega mia…”;lo stesso gruppo compare anche nell’inventario delle opere celliniane del febbraio del 1570, ancora incompiuto. La critica ha ritenuto quest’opera perduta, fino alla scoperta di un gruppo di identico soggetto nei giardini di Boboli fatta dal Kriegbaum. Il Kriegbaum ha supposto che l’opera sia pervenuta ai giardini di Boboli tra 1757 e 1779, giacché nella descrizione del giardino fatta dal Cambiagi nel 1757 non viene citata, mentre ne Le statue e gruppi esistenti in Firenze entro il Real Giardino di Boboli disegnate e intagliate da G. Vescelleni (1779) è riprodotta con l’aggiunta di una clava nella mano sinistra di Apollo. Kriegbaum ritiene che si tratti di un’antica proprietà medicea da mettere in relazione con le ultime volontà del Cellini di donare al principe Francesco I tutte le sue statue, finite e non: ora, dal momento che Francesco fu il fondatore del Pratolina ed il Narciso del Cellini (uno dei marmi ritrovati dal Kriegbaum) pervenne a Boboli dal Pratolina, anche l’Apollo e Iacinto potrebbe provenire dallo stesso luogo. Chiarite le vicende del gruppo scultoreo, il Kriegbaum evidenzia come l’opera ritrovata debba necessariamente identificarsi con il gruppo descritto dal Cellini: si tratta certamente di un dio, e data l’acconciatura ed il bel corpo del giovane si può tranquillamente pensare ad Apollo, inoltre, la forma oblunga nella sua sinistra, ossia il pezzo di un oggetto scomparso, richiama il manico dell’arco del dio (l’aggiunta della clava era avvenuta nel seicento), in analogia con il disegno del Cellini che raffigura Apollo con l’arco ora a Monaco. Per quanto riguarda il fanciullo ai piedi del dio, considerando i miti che hanno come protagonista Apollo assieme ad un giovane, considerando il fatto che entrambi sono nudi, ed ancora che il giovinetto si porta una mano alla testa mentre nell’altra sembra avere dei fiori, Kriegbaum è giunto alla conclusione che si tratti di Giacinto. Certamente l’iconografia del mito è innovativa: dal momento che la raffigurazione della scena del lancio del disco creava al Cellini delle difficoltà, come probabilmente l’immagine di Apollo chinato su Giacinto ferito, lo scultore scelse di raffigurare Apollo con Giacinto ancora vivo. Nei documenti, tuttavia, il gruppo viene designato come incompiuto, ed in effetti se il corpo del fanciullo mostra un’accurata elaborazione anatomica, è incomprensibile come lo scultore possa aver realizzato la mano destra così sproporzionatamente grande: questa deve essere un’integrazione successiva di un altro scultore. Probabilmente a quest’artista si deve anche la povertà anatomica del torso del dio, la sua brutta punta di naso e l’orecchio, mentre la parte posteriore, con la bella acconciatura, è ritenuta opera del Cellini. Un’ulteriore conferma del fatto che l’opera possa identificarsi con quella descritta dal Cellini nella sua Vita si ha considerando i forellini nella parte superiore del gruppo, ossia le terminazioni delle venature che attraversano tutto il blocco, sembra possa trattarsi di quei difetti di cui parlava lo stesso Cellini, affermando che il blocco produceva un cattivo suono.

Elisa Saviani