1553
LODOVICO DOLCE, Le Transformationi, canto XVII, Venezia 1561
E per questo di Théseo era la fama
Con chiaro honor sparsa per Grecia tutta.
Ciascun’haverlo in sua difesa brama,
Ad honorarlo è ogni città ridutta.
Ma Calidonia il suo soccorso chiama,
Ch’a grandissimo danno era condutta:
Però, ch’un gran Cinghiale ivi discese,
Ilqual vi distruggea tutto ilpaese.
Debiti honori de i ben corsi mesi
Il Re, ch’in Calidonia hebbe domino,
Haveva a Cere, a Bacco, e a Palla resi
Con l’olive, col gran, col primo vino.
Ne punto i sacrifici fur contesi
A ciascun’altro spirito divino:
Fece a tutti gli Dei debitit honori,
Sola Diana era rimasa fuori.
Ella dunque il Cinghial v’ebbe mandato,
Che vi faceva mille danni rei.
Non resterà il tuo nome invendicato
Dicea, se senza honor rimaso sei.
Se puote l’ira in animo beato,
Gia ve l’ho mostro, e lo mostrò costei;
che quel fero Animal mandò fra loro,
Ch’era maggior d’ogni piu grosso Toro.
Hanno di sangue, hanno di fuoco ruote
Gliocchi suoi spaventosi oltre ogni stima;
Le setole ciascun somigliar puote
A spesse lancie aguzze in ver la cima.
Infelice colui, dove percuote
Il lungo dente, in cui non puote lima.
Che cosi lungo l’ha, che tien sembiante
Simile a quei d’un’Indico Elefante.
Calda spuma non pur gliesce di bocca;
Ma par, che quindi un fulmine si mova:
Ardon le frondi, dove’l fiato tocca,
E ruina passando cio che trova:
I rami abbatte, ogn’arbore trabocca;
Calca le biade, e la coltura nova
Ne le mature spiche miete; e in terra
Stende le Viti, e i dolci frutti atterra.
Dissipa il Gregge, ne Pastor, ne Cane
V’è, che gli possa far guardia, o difesa.
Sono de’ Tori ancor le forze vane,
Che non ponno di lui schivar l’offesa.
Le genti assalta e prossime e lontane,
Ch’è in darno ogni riparo, ogni contesa.
Ne si tengono i popoli sicuri
Di dentro a le città per fossi, o muri.
In fin, che bel desio di gloria accese
Meleagro, che figlio fu d’altea;
Meleagro l’honor di quel paese,
In cui sua speme Calidonia havea:
E certo Cavalier prode e cortese
In ogni gesto suo si conoscea.
In aiuto di cui Théseo chiamato
Venne col caro suo Pirithoo a lato.
Furo a l’impresa ancor d’Altea sua madre
Due gioveni fratei, Pleusippo e Tesso:
E parimente il glorioso padre
D’Achille, e’l buon Giason hebber messo.
Seguiva insieme l’honorate squadre
Nestore, alhora giovine, e con esso
Laerte, e Ansiarao; ch’ancor non era
Tradito, come fu, da la mogliera.
Et altri ancor, di cui qui non favella
Per non v’infastidir, l’historia nostra.
Venne tra quei guerrieri una Donzella,
E vi fece di se superba nostra:
La qual nor men gagliarda era, che bella;
E fortse puo agguagliar la fama vostra
Marfisa e Bradamente, onde si vanta
L’età di Carlo: e detta era Atalanta.
In Habito di Ninfa iva succinta,
Et adoprava la Faretra e l’Arco;
Cosi piu d’una Fera hevea gia vinta
Col braccio suo, piu d’una presa al varco,
La guancia di color vago depinta
Tal si vedeva (e son nel mio dir parco)
Che per garzone in donna fora toltp,
Et in garzon per donna il suo bel volto.
Vide Atalanta; e n’arse alhora alhora
Il gentil Meleagro; ma non hebbe
Tempo da far con lei lunga dimora,
E modi usar, che saggio amante debbe;
Però, che soprastava il tempo e l’hora
De l’assalto, in cui primo esser vorrebbe;
L’assalto del Cinghiale; e gia tutt’era
Mossa la bellicosa inclita schiera.
V’era una Selva amplissima e profonda
D’arbori antichi, ove mai ferro o mani
Non furono a levar ramo ne fronda,
E va surgendo, e ha scabrosi piani.
Quivi correa la gente a guisa d’onda:
Altri levan le mosse a’ fidi Cani,
Altri tendon le reti, e altri vanno.
Ove l’orme del Porco inditio danno.
E braman di trovarlo audaci e pronti,
discacciando il timor con la virtude:
E, mentre vanno con sicure fronti,
Vengon, dove una valle il bosco chude.
Quivi le pioggie, che scendea da’Monti,
Havean fatto nel mezzo una palude,
Ch’era ripiena da molt’anni e lustri
Di sottil canne, e d’altre herbe palustri.
Quindi cacciata uscì la bestia fuore
Con tal furor, che gli arbori fracassa:
Ne porta seco egual danno e fragore
Il folgor celeste, ovunque passa.
Risuona la foresta, e del rumore
Assorda il cielo, e ogni orecchia è lassa.
I coraggiosi giovani e gagliardi
Stanno di quà di là con lancie e dardi.
Quel Porco i Cani impetuoso fere:
Gli ancide il dente, l’urto abbatte e stende
Gia tutti intorno se gli fa cadere:
Poi contra i Cacciatori il corso prende.
Prima Echion con ogni suo potere
Un dardo lancia, ma lui non offende:
Anzi tutto contrario a la sua mente
Fere un tronco, e segnollo leggermente.
Giason lancia il secondo; e forse havria
Giunto la Fera a la selvosa schiena;
Ma troppa forza, ond’egli l’hasta invia,
Fe, che lunge da lei l’aura la mena.
Amplicide, che Apollo riveria,
Disse, tu l’hasta mia conduci e mena
O chiaro occhio del ciel, si ch’ella arrivi,
Ove di vita il fiero Porco privi.
Tu questa gratia mi concedi, s’io
Honorato t’ho sempre, e s’io t’honoro,
Sacrificando a te lucente Dio,
Sempre il piu bel d’ogni piu grasso Toro.
Gradì di quel, che pote, il suo desio
Febo, che insino dal suo santo coro
Gl’indirizzò l’hasta, che’l Cinghial percosse:
Ma ne quello ferì, ne punto mosse.
Fu la cagion, che fece uscir de l’hasta
Diana il ferro, e lasciò nudo il legno:
Ma, benche fugge, in nessun lato guasta,
L’ira del Porco trapassò ogni segno:
E punto non s’arresta, ne sovrasta;
Ma spinto da la rabbia e dal disdegno,
Parendo, che gliuscisse foco ardente
De gliocchi, corse tra l’audace gente.
E, come vola Machina, ch’è mossa
Da saldo nervo: e la’lte moli atterra:
Con tal velocità, con tal percossa
Fe due cadere il fier Cinghiale in terra:
Due, che dal destro corno muro e fossa
Esser credeano, e si trovar per terra.
Gli levaro i compagni mezi morti,
Via piu di lor ne lo schivare accorti.
Un’altro s’affrettava a dar le spalle
Al Porco, e ei lo giunse dietro via
Sotto i ginocchi, e cadde ne la valle;
E forse gli havria fatto compagnia
Nestore, e Morte assai spedito calle
Alhor di giunger lui trovato havria:
Ne pervenuto fora al secol reo,
Che’l superbo Ilion arse cadeo.
Se non, che seppe dal periglio torsi,
E trovare al suo ben fermo riparo;
Però, che sopra un Pino hebbe a riporsi;
E ben mostrò, ch’era prudente e raro.
De glailtri, che non han tanti discorsi,
Ne mori lacerati piu d’un paro.
Sfoga il Cinghial nel duro tronco l’ira:
Nestor d’indi secur lo guarda e mira.
Ma quasi di nov’arme il Porco armato
Ad un, che dal suo mal tardo fuggio,
Aperse il fianco d’uno ad altro lato,
Onde quel poverin cadde e morio.
Eravi l’uno e l’altro almo, e beato
Figlio di Leda, che d’un’ovo uscio;
Che non erano ancor ne le procelle
A naviganti in ciel propitie stelle.
Questi di bello e di leggiadro aspetto,
Ambi contra il Cinghial fecero mossa,
Sopra destrier, c’haveano e schena e petto
E’l resto, come neve testè mossa.
E l’hauriano ferito al suo dispetto
Forse di piu d’una mortal percossa:
Senon, che quel tra certe folte piante
N’andò; che lor chiudeano il passo avante
Onde ne gir potean quei buon Destieri,
Ne havervi entrata un’aventato dardo.
Amdò per gl’intricati aspri sentieri
Il fratel di Peléo fiero e gagliardo:
Ma cadde; e ben d’aiuto hebbe mastieri:
Lo sollevò il fratel, che non fu tardo.
Atalanta fra questo una saetta
Pone a la coccia, e tira l’arco in fretta.
Lo stral sotto un’orecchia andò a ferire
Il Porco; e fe le dure sete alquanto
Rosse del sangue, che fuor n’hebbe uscire
Che nessun’altro si potea dar vanto.
Il primo, che cio vide, e che gioire
Mostrò con tutti, che glierano a canto,
Fu’l gentil Meleagro, il qual, per certo
Gridò; sia di costei l’honore e’l merto.
Avampar tutti di vergogna in fronte,
E l’un l’altro esortando a uscir d’affanno,
Lanciano dardi; i quai sembrano un monte
Che senza effetto e inordinati vanno.
Un, c’havea una bipenne, e via piu pronte
Le voglie, che le forze, mio sia’l danno
(Gridò) Fera malvagia, audace, e vana,
Se da me ti potrà campar Diana.
Et imparate voi, voi genti accorte,
C’havete il cuor magnanimo e gentile,
Che differenza sia dal braccio forte
D’un’huomo a quel d’una femina vile.
Cosi dicendo, per condurre a morte
Il Porco, con virtù piu che virile,
Alza con ambe man la sua bipenne;
Ma in questa il gran Cinghial sotto venne.
E in parte lo ferì, che gliuscir fuora
Le interiora, e abandonò la vita.
L’ardito Pirithoo si mosse alhora,
Ch’alto valore a l’alta impresa invita;
Ma Théseo, che l’amava: e in cui dimora
Con somma cortesia virtù infinita,
Nol lasciò gire: e l’hasta vibrò forte;
Ma contario al desio seguì la sorte;
Ch’a quella ramo d’Eschia alta frondosa
Venne ad opporsi, onde vibrolla a voto.
Ne fe Giasone alcuna opra famosa,
Quantunque fosse in tutto’l mondo noto.
Che ritrovò Fortuna neghitosa,
E gli effetti sen gir contrari al voto:
Perche il suo dardo uno de’ cani ancise,
E nel terreno un palmo e piu si mise.
Ma il franco Meleagro havendo tratto
Uno, ch’andò dqal Porco alqunto lunge.
Com’huom, c’a tali imprese era molt’atto
Ne lancia un’altro, e ne la spalla il giunge.
Il Porco andò aggirando lungo tratto,
Che’l ferro a dentro assai l’impiaga punge
Sparse egli con la spuma novo sangue,
E fiero piu che mai, grugnisce e langue.
L’ardito non si parte, e attizza l’ira,
E lancia il terzo, e quel gli passa il fianco.
Stupisce ogn’uno, e tacituro mira,
E piu d’un per invidia ha il viso bianco.
Il fier Cinghiale una e due volte aggira;
Ma venendo il vigor del tutto manco,
Cadde al fin morto; ilche fu molto caro
A suoi compagni, e lieti l’abbracciaro.
La turba vile ancor pallida smorta,
Tutta d’horror e maraviglia piena
Stava a mirar l’horribil bestia morta,
Che cosi ancor non s’assicura a pena,
Ne chi la tocca tien persona accorta,
Tanta è la tema, che l’aggira e mena:
Ma ogn’un, quantunque timido et sangue,
Osa tinger il ferro nel suo sangue.
Tingono tutti il ferro a gara insieme
Si, che ne man ne braccio in darno resta.
Il vincitor col manco piede preme,
E gli spiccò la spaventosa testa.
Ben mertan, disse, le virtuti estreme
D’Atalanta d’ahavere in premio questa:
indi rivolto a le due chiare stelle,
Le diè la testa e la setosa pelle.
Il dono a lei per piu cagion fu caro,
Piu ch’a molte non son le gemme e l’oro;
ma forte i suoi compagni si turbaro,
E di cio mormoravano in fra loro.
Ma i fratelli d’Altea piu s’adiraro,
E sì da invidia stimolati foro,
Ch’ambi con discortese atto e villano
Ad Atalanta il don levar di mano.
Dicendo, non è giusto, che ci toglia
Una femina sola, una Donzella,
Del primo honor la meritata spoglia,
Sol perche ad un di noi par vaga e bella:
E mostrar Meleagro; la cui doglia
Avanzò tutti i modi, e non favella;
Ma spinto dal furor, senza rispetto
La lancia ad un di lor cacciò nel petto.
L’altro volendo vendicar la morte
Del suo fratel, fu similmente ucciso;
Che con ferita ugual, con ugual sorte
Ambedui furon colti a l’improviso.
S’avicinava a le sacrate porte
Del maggior Tempio con giocondo viso
Altea, per render gratie e giusto honore
A i Dei del caro figlio vincitore;
Quand’ella sopra a la bara funebre
Portare i morti suoi fratelli vede:
Onde tosto le uscì da le palpebre
Pianto, che di dolor fe chiara fede.
Furo i lamenti e le querele crebre,
A lequai prima fin non pose o diede,
Che inteso, che gli haveva uccisi il figlio,
Discacciò il duolo, e prese altro consiglio.
La materna pietà rivolse Altea
In desio di vendetta; e’l modo elesse.
Nel tempo, ch’ella partorito havea,
Una de le tre Parche un legno messe
Nel foco, che vicino al letto ardea,
Nel qual la fiamma subito s’impresse.
Poi disse, che’l fanciul viver dovrebbe
Fin, che’l legno l’ardor consumerebbe.
Quinci da vero amore Altea sopsinta,
Tosto che le tre Dee fecer partita,
Tolse il legno del foco; e bene estinta
La fiamma havendo, pallida e smarrita
A ripor quello, e conservar fu spinta,
Per conservare al suo figliuol la vita:
Che di par con lo stizzo si prolunga,
E non puote di quello esser piu lunga.
Questo alhor mosse dal riposto loco
Altea; ne dimorò, ch’immantinente
In grasse Tede accostar fece il foco,
E fiamma accese in lor chiara e lucente.
Intanto le ritorna a poco a poco
L’amor materno, e le turba la mente:
Ne men quel de’ fratelli il cor le preme,
E nel petto ambedue pugnano insieme.
D’una parte pensando, quanto male
Per lei si commettea, divenne smorta:
D’altra l’ira del cor tanto l’assale,
Che su ne gliocchi il suo rossore apporta:
Et hor nel viso si mostrava, quale
Chi da sdegno e furor la mante ha torta:
Hor sembrava pietosa, e lagrimava;
Ma’l fervido calor tosto tornava.
Come Nave assalita da due venti,
Hor questo corso, hora quell’altro prende:
Cosi posta fra due stimoli ardenti;
Hora a l’uno, hora a l’altro ella si rende.
Furo nel fin piu caldi e piu possenti
Quelli, che l’ira nel suo core accende;
E per non esser di pietade ignuda
Al fratello, al figliuol vuole esser cruda.
Hor questo rogo le mie carni istesse,
Diceva, e’l sangue mio perda e consumi.
Non sia alcuna di voi; ch’a me s’appresse
O Furie, o de l’inferno horridi numi.
Siano le vostre Serpi altrove messe,
Volgete prego in un altra parte i lumi.
E degno il mal, degn’è, che si comporte
Due morti vendicar con una morte.
Giusto non è; che’l costui padre goda,
E tristo e pien di duol sia’l padre mio.
Voi miei fratei; s’è ver, che di là s’oda
Quel, che da noi si fa di crudo o pio;
Hora l’officio mio degno di loda
Sentite, che punisco il figlio rio,
Acciò c’habbiate ne l’oscura Stige
Gioia nel duol, che l’anima v’affligge.
E con questo parlar lo Stizzo, ch’ella
Teneva in mano, appresso il foco inchina;
Ma tremò tutta: e disse, Ah fiera stella,
Che a dar morte al mio figlio hor destina.
Ah madre iniqua e di pietà rubella,
Dunque puoi consentir l’empia ruina
De la tua casa? Indi a l’altro pensiero
Si volse, e fece il cor piu che mai fiero
Disse nel fin: Si come io ti salvai,
Quando nascesti, con pietà materna;
Cosi vo, c’hor ti moia, e ne morrai,
Che me ne stringe carità fraterna:
Et homicida, indi compagna havrai
Me senza indugio ne la valle inferna;
Perch’una istella man pronta e ardita
E la madre e’l figliuol torrà di vita.
E lo stizzo fatal nel foco trasse,
Volgendo a dietro per dolor la faccia;
Loqual parve, che gemito formasse.
O, come il sangue la meschina agghiaccia,
Che piu che madre mai figliuolo amasse,
Amava il suo: ma non però procaccia
Levar lo Stizzo da la fiamma ardente;
Ma vuol, che n’arda, e cenere divente.
Intanto Meleagro a poco a poco
Strugger si sente, e non sa la cagione:
Sente di dentro un smisurato foco,
Che l’arde, e che vicino a morte il pone:
Ne fuggir puo l’ardor per mutar loco;
Ma ben la intolerabil passione
Vince con la virtù del forte cuore;
E duolsi sol, che senza colpa muore.
E felici color giudica, e stima,
Che dal Cinghiale erano stati morti.
Il vecchio padre, le sorelle, e prima
La madre ha in bocca; ma non è, chi porti
Rimedio, che l’incendio non l’opprima
Tanto, che’l fin de la sua vita apporti
Ch’al finir de lo Stizzo fu compita
Di Meleagro la dolente vita
Parve, ch’alhor di subito cadesse
Per la sua morte Calidonia tutta;
E, che da l’alte cime ella giacesse
Fino a la fondamenta arsa e distrutta;
Ne ritrovossi alcun, che non piangesse.
Altea tosto al suo fin si fu condutta:
Che la scelerità da lei commessa
L’indusse a tal, ch’ella impicciò se stessa.
Se a trar di vita il duol bastasse e’l pianto,
Il vecchio padre ancor morto saria.
Pianser le sue sorelle, e pianser tanto,
Che nol puo raccontar la lingua mia,
Mentre il corpo fu intero, al corpo a canto
Stettero, e lui baciando tuttavia,
Formavano i piu duri aspri lamenti,
Che formassero mai spiriti dolenti.
Ma poi, che fatte al fin l’asequie foro,
E che quel corpo cenere divenne,
Il cenere teneano al peto loro,
Fin, che di loro pietade a Delia venne,
Laqual le mise tra il volante coro,
E l’afflitte vestì d’ali e di penne.
Eccetto Gorge, e la sorella, ch’era,
O che d’Anfitrion fu poi mogliera.