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La caccia di Meleagro

Testo tratto da: Settis S., Ars Moriendi: Cristo e Meleagro, p. 148, in “Giornate di studio in ricordo di Giovanni Previtali”, Pisa, Scuola normale superiore, maggio, 1999, a cura di F. Caglioti, serie IV, quaderni 1/2 , Pisa 2000.

 

[1] Gloriosa regina, alma Maria

annunciata de l’angel Gabriello,

vergine bella immaculata e pia

che parturisti el sancto Hemanuele,

dona tal gratia a la memoria mia

ch’io possa dir con rime vage e bele

una famosa et magna storia anticha

d’un re a cui Diana era nemica.

 

Con iubilante core et lieta faccia,

secondo narra Ovidio auctor nomato,

cantare ora vi voio l’anticha caccia

che fe’ già Meleagro inamorato,

donde io prego de gratia che te piacia,

o populo al presente radunato,

de stare attento con vostra memoria

infin ch’io gionga al fin de la mia istoria.

 

El re de Calidonia antichamente,

el qual per nome se chiamò Oeneo,

tolse per moglie una donna piacente

con gran trionpho al nome de Imeneo,

de cui hebbe tre figli, el re potente,

Meleagro, Menalippo e Tideo,

et la regina se chiamava Altea

e tutte le sue belleze eran de dea.

 

Quando che naque Meleagro decto,

secondo parla et dice l’auctore,

el re suo patre n’hebbe gran dilecto,

come tu puoi pensare, o auditore,

e in quel punto che naque el fanciulecto

quelle tre dee con molto furore,

che filano la vita com’io intendo,

apparvero alhor lì così dicendo:

 

[5] “Noi sian color che la vita filamo

di miseri mortali in questo mundo

et mai giorni né nocte non restamo

de cercar l’universo a tondo a tondo,

e primo fo Abel figliuol di Adamo

che da noi recevesse el mortal pondo

et quanti ne sono nati et nascerano

per nostri man passaro et passarano.

 

E Meleagro de presente nato

ponén la sua vita a tal termino e segno

che viva tanto nel mondano stato

quanto starà a brusciare questo legno”.

E pressero un tizon mezo infocato,

gettârlo in mezo el foco con isdegno;

fo presto quel tizon con aqua spento

e le tre desparvero in un momento.

 

La regina nascose quel tizone

in un loco secreto et ben servato

perché n’havea gran dubitatione

ch’in qualche modo non fussi abruscitao;

a aitro ch’al re mai nol manifestoe

che quel figluol cusì fusse affattato;

per l’allegreza el re del figluol nato

de far honor alli dèi fu preparato.

 

A tutti gli altri déi sacrificò

el re Oeneo, excepto ch’a Diana,

et tutti e’ tempie suoi mancar lassò

e reputava sua deità vana.

Diana con quel re si sdegnò

E con gran voce terribile et altana

Del re la dea se lamenta et dole

Et crociata dicia questa parole:

 

“Io son quella famosa et casta dea

che i sacri dèi me chiamano Diana,

nimica el tutto son di Citharea,

da lengue d’amor sempre luntana.

El fanciullo ch’à parturito Altea

In sul fiorire haverà morte strana

Per lo peccato del re e della regina,

che lassano i mie’ tempie ire in ruina.

 

[10] Che vol dir ch'el mio tempio è ruinato?

C'ognun dispreza el mio iocondo officio!

Che vo' dir ch'el mio tempio è abbandonato?

Che non se fa a me più alcun sacrifìcio!

Ah! Re crudele, iniquo, folle et ingrato,

sopra el tuo sangue tornerà il iudicio;

non andarai de tal fallo impunito

et questo sia mo' fermo et stabilito.

 

Que ho io fatto, re, alla tua corona

che tu lassi el mio tempio ruinare?

Que dispiace’ fei mai alla tua persona

che tu non fai più honor al mio altare?

Io giuro a Giove et a mia matre Latona

che de tal fallo io te vo’ castigare:

te mandarò un flagel tanto rubesto

che piangerà el peccatore e’1 giusto.

 

Io manderò per tutto el tuo reame

un porco tanto horibile et feroce

che tutti i biadi, arbori et bestiame

ve guastarà per lo peccato atroce,

e morirete tutti dalla fame

che fin a Jove n'andarà le voce,

del pianger ne farite tal penuria

e vendetta farò d'ogni mia ingiuria».

 

Finito ch’ebbe e’ lamente Diana

trovò un porco salvatico terribile

che mai fu vista una bestia più strana,

furibundo, grandissimo, incredibile;

ogni fera domestica et silvana

da lui fugia, perch’era impossibile

campar dalla sua furia et dal suo dente,

che facea case horibile et stupende.

 

Diana, irata, quello fiero animale

menò nel regno de quel te potente

che e’ tempie soi ha tracto sì male

e desprezata sua virtù excellente.

Pareva proprio una furia infernale

quel fiero porco con suo acuto dente.

Giunta che fu nel calidonio regno

Diana disse al porco con sdegno:

 

[15] “Io li comando, porco, che tu vade

e cerchi questo gran reame tutto:

ruina gente, bestiame, herbe e biade

e tutti quanti gli arbori di frutto

e in breve tempo fa’ che tu ‘l digrade,

questo paese, ch’abia fame et lutto:

fa’ che disfacci tutta Calidonia!”.

E sparì in furia come una demonia.

 

Restò el fiero animale in quel reame

per vendicar de Diana la ingiuria,

e quante biade, arbori et bestiame

trovava, ruinava con gran furia.

El Minotauro della ingurda fame

dato non haveria tanta penuria:

molti pastori da lui fuor divorati

tal che quei populi son impauriti.

 

E molte volte insieme s’adunaro

andando a cacia per farlo morire:

quanti se n'appressar al fìer cengiaro,

tanti cogli denti ne faceva perire.

Alla sua furia non era riparo,

lioni et ursi faceva fugire,

fina a le porte de la terra andava

divorando ogni cosa che trovava.

 

Ogni giorno l'assaliva qualche terra,

che mai di notte se fermava i’gnun loco

et dove andava feceva mortal guerra,

della sua bocca usciva fiamma e foco.

Guai a quel che con morso el porco afferra,

che la sua vita poi durava poco!

Nonne è gran fatto se fa cose tante,

che l'era grande quant’un eliphante.

 

De giorno in giorno percuote et minacia

tal ch’ogni gente trema de paura.

Più volle il re li fe’ dar la cacia;

tutti remanean morti alla verdura,

che '1 porco col suo dente ognun stracia:

d'andar più fuora niun più s’asicura.

Guastava i biadi per tutto il reame

tal che vinisse gran charistia et fame.

 

[20] Durò questa penuria per molti anni,

chè mai non se truovò nullo remedio,

con gran tribulatione e con affanni

eran condutti a grandissimo assedio,

con forza, con malitia e con inganni,

non podevan campar da tanto tedio.

Pur la fortuna trovò bon riparo:

or udirete come gli è sconparo.

 

El fanciullo sopradetto ch’al re naque,

che Meleagro per nome fu chiamato,

sì come al Jove et la fortuna piaque

creve et divenne homo molto nomato,

e sentendo di Venus le dolce aque

se fo di Athalanta inamorato,

che delo re de Archadia era figluola

e delle belleze fo nel mondo sola.

 

Meleagro, ch'avea ferito el core

per le vaghe belleze dì costei,

infatti d'arme venne huom di valore

et anche lui era amato da lei.

Voi udirite quel che fece amore

si con silentio stati, auditor mei,

sì come per amore di Athalanta

fo ucciso el porco ch'avea furia tanta.

 

El gentil Meleagro inamorato

havea gran vergogna nel suo core

che quel porco salvatico sfrenato

desse alle terre suoi tanto dolore:

“De darli morte son deliberato!”,

e congregò de molti cacciadore

e fovi tra costor re, duci et conti,

marchesi, principi valorosi e prompti.

 

Fo a questa caccia Castor el Poluce,

Jason, Periteo et el buon Theseo,

Jola thebano de cui gran fama luce,

Leleco, Ipafo et Panopeo,

Laerte l'arcadico che conduce,

Anfìcide, Declide, Anatheo,

i do fratelli di Antea Theseo el Flexippo,

Linceo, Leneo, Acasto, Ida et Plexippo.

 

[25] E fovi de Thesaglia el re Pelleo,

Sisippo, Pollinice et Frisio et Forco,

ancor v’andò el tortissimo Antheo,

Gese, Timone andar contra al gran porco,

Herione, Viso et Ipoteo

e Carition che salta ogni biforco:

tutti questi signor con lanzi et dardi

e mille altri homini veloci et gagliardi.

 

Athalanta anteditta, inamorata

de Meleagro, venne a questa caccia

da molti de’ suoi servi acompagnata;

appresentòse con allegra faccia,

con l'arco in mano et da saette armata

e sorridendo el fier porco minacia,

e Meleagro con allegra faccia

fece a colei cordial recoglienza.

 

Quanto che Meleagro l'hebe a caro

tu poi pensale, o discreto auditore:

“Ogi è quel dì che mozza el fier cingiaro”,

diceva Meleagro nel suo core,

“alla sua vita non c'è più riparo,

che nullo può resistere contra amore”.

Quando l'amante la vide venire

con gran leticìa cosi prese a dire:

 

“Chi è costei che viene cotanto bella,

chi è costei che la mia caccia honora,

chi è costei che luce più che stella,

cusì gentil, pulcherrima, decora?

Chi è questa pulita damigella,

chi è questa ch’el mio cor adora?".

Andòri incontra con molta allegreza

e abraczolla con gran tenereza.

 

Disse la damigella: “I’ son colei

che del regno di Arcadia son signora,

con tutto e con le forze mei

t’ò amato et amo e voio te amate ancora;

nettare et ambrosia non invidio a li dèi

quando io te posso stare apresso un'ora,

che tu sol sei signor de mia bellezza,

dilecto del mio cor, gaudio et dolceza.

 

[30] Sappi come Diana t’è inimica

perché voi ruinate i tempie suoi:

el porco ch'el tuo regno mal nutrica,

lei il mandò a disfar li populi tuoi;

quanto ch'el me ne doglia, Idio tel dica

per l'amor ver che ce portam tra noi,

e però vengo armata alla tua caccia

e spero de far piova ch'el te piaccia”.

 

Disse l'amante: “Le tue bionde treze,

el tuo bel viso e tuoi morbidi piei

tra sassi e pruni e cierque, fagi e lecze

non son degni d'andar, ma tra li dèi;

per questo selve gran pericol ecce,

ma poi che per mia amore venuta sei,

verai con meco per la selva obscura

ch’a presso a me so che sarai secura”.

 

Et dopo questo Meleagro experto,

con tutta quanta, questa compagnia,

andò a circundar l'aspro deserto

dove habitava quella bestia ria.

Gran popolo havea seco el baron,

certo d’all’animal la morte ognun desia,

e come fumo giunti nela scura foce

Meleagro parlò ad alta voce.

 

E disse: “Audite bene el mio parlare:

la forza poco val senza l'ingegno,

di voi i’ vo’ questi passi serrare

per farsenza periglio ei mio disegno;

con prudentia debiative guardare

acioché salvo ognun torni al suo regno

et tutti habiate a la mente questo articulo:

non siate furiosi dove è ‘1 periculo”.

 

E serò tutt’i passi della foce

de molta gente con dardi pungenti,

et dopo questo gridò ad alta voce:

“Orsù, signori, siate ogi ognun valenti!”.

E lui nel boscho con molti can feroce

intrò e con molti huomeni prudenti;

con lui andava la bella Athalanta

che de ferir el porco sì s’avanta.

 

[35] E Meleagro fe’ scioglier e’ bracchi

che retrovassero el fiero animale:

qui sarrà altro gioco che di scacchi

come si scopre l'orribil cinghiale.

Prima che que’ cani fossero stracchi

trovorno el porco che fe’ tanto male

in un paludo intra certe canegge,

sicome per naturale ha el simel gregge.

 

El porco se levò con gran furore,

quanti can trova tanti n'ha percossi;

E Meleagro, sentendo tal romore,

subito fece sciogliere e’ can grossi che

d'ogni caccia aquistavan l'onore:

Saltavan come cervi greppe e fossi.

Di questi cani vi dirò il lor nome

et della caccia poi el che e’1 come.

 

El primo can chiamato era Leone

perché havea la bocca come un leo,

Faladino e Balzano e Pharatrone,

Garotto, Ramorano e Tribaldeo,

Paladin, Gorfo, Giriffo e Carbone,

Rosin, Lancin, Marfusso et Grigoneo,

Curvan, Parlon, Barocco, Gurfo e Gerbo,

Falcon, Curin, Cerbon, Gheczo superbo.

 

Molti altri che seria lungo narrare,

che de presente non bisogna dire,

che me convien la caccia sequitare

ch’io sento el porco che da gran martire.

Questi can grossi che v’ebbi a contare

adosso al porco andare con molto ardire:

Lione e Saladino con gran tempesta si

lanciamo al gran porco in su la testa.

 

E ll’animale menò l'acute dente,

squartò e’ dui cani come fussero di cera.

Balzano e Paladino arditamente curseno

adosso alla horribil fiera:

el porco mena la zanna tagliente

e morti li gittò alla rivera.

Pharatrone e Garotto e Tribaldeo

el dente acuto provar del porco reo.

 

[40] Fecessi inanti el fortissimo Antheo,

lanzò el suo dardo con forza e valore,

ma non podé ferir el porco reo

perché una rana gli de gran terrore,

e fu perché Diana el diffendeo;

el porco si disserra con furore

adosso Antheo con suo acuto dente:

li dette morte al bon baron valente.

 

Ramorano, Gorfo, Geriffo e Carbone

facevan al gran porco horribil guerra,

el porco un tracco suo dente menòne

et morti li gittò in piana terra.

Theseo se fece inanti, el bon barone,

e col suo dardo al porco si diserra:

con furia el porco adosso a lui si caccia

e morto lo gittò in terra e poi lo straccia.

 

Rosin, Lanzin, Marfusso e Grigoneo

morsicavano el porco fortemente;

Timone lanciò lo spiedo al porco reo,

colse Amarfuso e morì in mantenente.

El porco si diserra come un leo,

gionge Timone et mena el forte dente,

che ambedoi le gambe gli taglióne,

e ‘1 povero Timone morto cascòne.

 

Plexippo lanciò el dardo a l'animale

e una rama el colpo l’impedì;

el porco, come una furia infernale,

e’ giunge Plexippo e col dente el ferì,

e fo quella ferita si mortale

che senza batter polse alor morì,

perché la bestia gli tagliò una cassa

tanto el colpo menò con sua gran possa.

 

Curvan, Parlon, Baroldo, Gurfo e Gerbo

d'intorno al porco van battendo i dente,

nullo più s'apressava al porco acerbo

che dubitavan di morir sovente.

Forco col dardo et con l'almo superbo

va contra al porco per farlo dolente;

la fiera salta adosso et el dente mena:

tagliòli un bracio et la spalla et la schiena.

 

[45] E subito morì Forco animoso.

Vedendo questo el magno Polinice

col dardo si diserra furioso

per darli mone in su quelle pendice.

El porco li va adosso furioso

e dègli morte al baron infelice,

et tutto lo squartò da capo a piedi

che par che crepi el core a chi lo vedi.

 

Gese, vedendo Polinice morto,

d'ira e di doglia li crepava il core

et giura a Dio de vendicar tal torto

e corre adosso al porco con furore;

disserra el dardo el paladin acorto,

la fera schifra el colpo e con romore corre

et giunge Cesse con dente al collo

et morto in terra subito gettòlo.

 

Un cane, el qual era chiamato Falcone,

a l'aspra fera salta in su la testa,

per una orechia animal grapòne.

El porco mena dente con tempesta:

tagliolo in mezo e ‘l can morto cascòne

e l'animai lo straccia et mai non resta.

Simelmente Curin, Gerbone et Gheczo

dal porco turno tagliati per mezo.

 

Anfrisio, che fu huom molto gagliardo,

se dette vanto de farlo morire et

col suo forte braccio lanciò el dardo,

colse in un legno et non lo podé ferire,

biastemò Jove e ‘1 suo creder bugiardo.

El porco adosso lui se lassa gire,

pigliòlo con lo dente sotto il braccio

et morto con furore in terra el cacciò.

 

I doi fratelli Castor e Poluce

con lor menati havean quatro gran cani,

Guercio, Pardon, Quatrocchi e Feraboce,

e lor doi dardi per uno alle mani.

Lassârsi adosso andar aquel veloce

porco et, come con lui furno alle mani,

subitamente restâr divorati,

e Castor e Poluce son irati.

 

 [50] Lanciorno i dardi al porco furibundo

ma non podder ferir l'animai reo,

in questo giunge un can ditto Ramondo,

che menato havea Hipoteo,

affròntasse col porco iracundo

et con lui la gran battaglia et guerra feo:

el forte cane alfìn restò perdente,

ch’el porco l'amazò col forte dente.

 

Jason, ch’acquistò el vel dell'oro,

lanciò alla fera un sponton tagliente,

ma non li podé dar nullo martoro,

che Diana l'aiutò subitamente.

Peritheo se lassa ir com'un thoro,

lanciò lo spedo et non valse niente.

Laerte chiamò un can Turco chiamato

et col fiero animal se fo affrontato.

 

Turco, che con le fere era molto uso,

adosso el porco con ira se serra

e pigliòlo con gli denti in su lo muso;

el porco rugie et alia val da terra,

el can tien forte e’l porco s'alza suso

e soffia e scuote per vincer la guerra

e de una scossa con tanta diffesa

che per forza lassò Turcho l’impresa.

 

La fera se diserra adosso al Turco:

Turco in qua in là con destreza saltava,

Panopeo lassa gire un cane al porco,

che per nome Morocho se chiamava,

e frontòse con lui a modo d'un orco.

El porco giunge et per mezo el tagliava,

Turcho de nuovo in su el muso el piglò

et finalmente el porco l’amazò.

 

Era tanto del porco el gran furore

che ignun con dardo nol pòtea ferire.

Pelleo re de Thessalia, el gran signore,

un cane alano subito lassa gire

che mai fu visto e più forte e ‘l magiore;

col porco s'affrontò con molto ardire,

per una orecchia con furia lo prese,

or udirete le belle contese.

 

[55] El cane per quella orecchia tene forte,

el porco suffìa et mughia et batte i denti,

scuottì la testa per darli la morte

et mena in qua in là iratamente.

El can l'afferra et stringe a cotal forte

che Peleo lanciò el dardo pongente,

e colse in mezzo delle coste al cane:

quel lassò el porco et li morto rimane.

 

Gran dolor hebe de ciò el re Peleo,

ch’avea car quel cane un milion d'oro;

vedendo questo, el possente Linceo

lassa el suo can chiamato Carboro

atacàsse a costion col porco reo,

el dettegli gran noia e gran martora.

El porco menò dente con gran possa:

squartò quel cane intra el corpo e l'ossa.

 

Iola thebano, el cavalier Iocondo,

lanciò un spedo col suo forte braccio;

piagar non potè el porco furibundo

perché Diana e un arbor li de impacio;

biastemò la fortuna, el ciel e ‘1 mondo,

e un can grosso di subito slaciò,

che se chiamò per nome Caribardo:

col porco s'affrontò tutto gagliardo.

 

E combattete molto arditamente,

ma tanto fo del porco la gran furia

ch’el pover cane alfin restò perdente;

Jola thebano l’hebe per gran iniura

che morisse quel can tanto possente

per l'animal che dà tanta penuria.

Leleco et Ipafo i dardi lanzaro et

I’niun loco el porco conpiagaro.

 

Chi de là, chi de qua dardi diserra:

Diana tutti colpi riparava

e ‘1 porco i dardi con lo morso afferra

e i Ferri e l'aste tutte fracassava.

Coperta de can morti era la terra,

ma’ non se vide una caccia più prava.

Meleagro de’ dui dardi ch’avea

uno ne lanzò et ferir non potea.

 

[60] Vedendo questo la bella Athalanta,

ch'el porco ancor non ha nulla ferita,

darli una piaga la donna si vanta;

l'arco disserra la nimpha pulita,

una saetta pongente li pianta

sotto l'orecchia et poi dicendo ardita:

“A l'honor vostro, brigata sublima!

I son pure a ferir stata la prima”.

 

Vedendo Meleagro che la manza

havea ferito el feroce animale,

sì come delli inamorati è usanza,

col dardo si diserra al reo cingiale:

menòli un colpo de: tanta possanza

et dèlli una ferita aspra e mortale,

passòli el core e ‘1 porco cade morto;

disse l’amante:“El regno è a bon porto”.

 

La giovenetta dal bel viso adorno gridava

ad alta voce: “Viva amore!”,

e Meleagro allegro era in quel giorno

per la sua dama et per l'havuto honore;

con letitia si puose a boccha il corno

e fecie radunar ecacciadore:

ciascun fa festa ch'el porco è l'amazato

ch’avea quasi quel regno ruinato.

 

A tutti dole la morte de Theseo e

simelmente de Forco e Timone

e della motte del feroce Antheo,

de Polinice e de Cesse barone;

Anfrisìo che morì per porco reo

ciascun el piange con affecione;

ancora per la morte de Plexippo

piangano tutti et cusì per Sisippo.

 

E dipo’ molto et molto ragionare,

sicome è di cacciador usanza,

fe’ Meleagro la testa tagliare

al porco per donarla alla sua manza

che prima fo ch’avesse a piagare,

e con letitia e con molta baldanza

prese l'oribil testa, com’io intendo,

e poi voltosi a llei cosi dicendo:

 

[65] “Athalanta, valorosa arciera

ch’ai refrescate le piage al mio cote,

poi che tu se’ stata la primer’a

ferire el porco, et tu n’habbi l’honore:

piglia la testa de l’oribil fiera,

che meritata l’hai con tuo valore,

et io te son in eterno oblegato

come fedel e real inamorato.

 

La giovenetta, con ioia e con festa

e con allegreza et letitia de core,

l’onor receve de l’oribil testa

e regratiò el fedel amatore;

ma ogni gaudio tornerà in molesta,

come tu me intenderai, o auditore:

Flexippo et Theseo, de Meleagro cei,

grande invidia hanno de l’honor di costei.

 

Disse Flexippo: “E’ non è ragionevole

che d'Athalanta tutto l'honor sia,

ma sarebbe più iusto e convenevole

fusse de tutta questa compagnia.

Amor fa Meleagro esser piacevole

verso costei et a noi vilania,

e certamente non me ne par nulla

ch'abbia tutto l'onor questa fanciulla”.

 

“Veramente l’è cosa dishonesta”,

Theseo disse, “così ancor a me pare,

che lei triomphi e noi siam senza festa:

questa cosa non è da soportare”.

E con gran furia li tolser la testa et

Athalanta cominciò a gridare,

epiglia l'arco e ponse una saetta

e Meleagro al rumor corse in fretta.

 

E come sepe et vide che li soi cei

gli havean fatto tanto dishonore,

tolta la testa del porco a colei;

d’ira e di sdegno acceso fo nel core,

e gridò forte:  “Ah! Invidiosi rei,

non andarà in punito el vostro honore!”.

Col dardo in furia adosso quei si serra

e morti li gittò in piana terra.

 

[70] Meleagro fo molto biasemato

che tanto se lassò vincer da l'ira

e lla fanciulla dal viso rosato

de cotal caso ne piange e suspira.

E dicia: “Meleagro, dolce amato,

per simil caso el cor sì me martira:

per nulla io non voria che per mio amore

ciò riavesti fatto che fia poco honore”.

 

Rispose Meleagro:  “Di novo hora

farebbi a chi me fesse simel atto:

tu meriti l'onor, dolce signora,

e lor te volean dare scacco matto.

Questi altri homeni dabèn che son qui ancora

sono stati contenti a quel ch’i'ò fatto,

e lor che son mei cei sì bello honore

m'han fatto. Or chi non curresse a furia?”.

 

La gentil giovenetta innamorata,

con lachrime, con pianti, con sospiri,

vedendo che la caccia è conturbata,

disse ch’al tutto si voleva partire,

e fosse da l’amante acomiatata

con tanta doglia che noi potria dire;

e ben che fusse turbata la festa,

pur se portò del porco la gran testa.

 

Poi che Athalanta partita se fu,

e Meleagro al tempio fé’ portare

quei baroni degni ch'el porco amalo,

e feceli seppelire et honorare

e gli suoi cei lì morti lassò,

che per nulla po’ l’ira mitigare;

ma, come l'autor qui parla e latina,

furon portati inanti la regina.

 

E come li fo noto che el figliolo

havea morti i suoi cari fratelli,

a stridar cominciò con grave duolo;

furiemente de cor piangeva quelli,

gettando voce fina a l’alto polo,

stracciandosi el bel viso et soi capelli.

E così il re piangeva con dolore,

chè pensa che gli è danno e dissonore.

 

[75] Faceva la regina el più gran pianto

che mai facesse al mondo creatura,

el capo se straciò tutto quanto

e similmente la bella figura.

Furon portati costor nel tempio santo

e datoli honorevol seppoltura,

e tutti quei baron preseno comiate

e al suo regno ognun fu ritornato.

 

Forte piangea la regina Altea

e del suo figlio se lamenta e plora

dicendo: “Crudel figlio, io non credea

che del cervel tu fosti uscito fora

ch’a li tuoi cei a’ data la morte rea”.

E ‘1 re ancor piange et di doglia fa cora,

e chiamò Meleagro da un canto

e cosi disse con dolor e con pianto:

 

“Figlio, tu hai commesso sì grande errore

havendo a li tuoi cei data la morte,

a mia corona hai fatto poco honore

et è gran vituperio a nostra corte.

Tu non dovevi currere a furore,

né fare che l’ira tanto te trasporte:

se potea riparar a simil atto

senza far tanto male quanto tu hai fatto.

 

Io ho la vita in dispecto e in fastidio,

car me seria di morir in veritade:

eran venuti per darci subsidio

con tanto amore e tanta caritade

e tu, fìgliuol crudel, fatto hai homicidio

del sangue proprio tuo con crudeitade.

Io moro de vergogna et vituperio,

bramo la morte con gran desiderio”.

 

“Patre sereno, le parole mei”,

rispose Meleagro, state a udire:

s’io dèi l'onor de la cada a colei,

era lusto, che’ fo prima a ferire,

e non dovean per nulla i mei cei

per forz.a a quella la testa rapire.

Or sì son morti, mo’ giacin in terra,

che vol ragion che sia errato chi erra.

 

[80] Per tutto el mondo, non pure intra noi,

l'usanza de la cacci’, a non mentire,

e questo so ben che sapete voi,

la testa merita chi è primo a ferire

e non c'è stato ignun se non lor doi

ch’abia voluto a questo contradire;

el me rencresce sol per la mia matre,

ma pur la cosa è fatta, dolce patre”.

 

Or ritorniamo ad Altea dolente,

la qual messa s'havea la veste nera:

tor non se puol dal pianto per niente,

la povera meschina se despera

e suspirando li venne alla mente

del tizon affilato e dove l'era;

accendere fece un fuoco con gran fretta

in una ascosa, occulta cameretta.

 

E quel tizone affatato ritrovò,

deliberò al tutto de far la vendetta

fra sédicendo: “Io me vendicarò”.

Seróse sola in quella cameretta

e trovò el fuoco come comandò,

fermòse a sé dicendo: “Ah, poveretta,

che voi tu fare? Refrena el tuo furore:

voi tu agionger doler sopra dolore?”

 

Mo’ li vien voglia brusciar el tizone

perché la stringe el fraternal amore,

mo’ li vien del figluol compassione

perché la matre ama el figluol di core;

quand’el vole abrusciare et quando none,

mo’ piange per pietà, mo’ per dolore

di suoi fratelli, et non sa che si fare

de far vendetta o pur de perdonare.

 

Ad ora ad ora li cresceva el duolo

e straciavasi el viso e’ suoi capelli:

“Maledetto sie tu, crudel figluolo,

che m’hai privata di mie’ car fratelli!”.

I profundi suspir gìvanno al volo,

tutta volta li giunge al cor flagelli,

pietà con crudeltà combattea forte

de dar o no al suo figluol morte.

 

[85] “Non sia nisun che più mi chiami Altea,

ma dicani e ciascun la tribulata:

non son più alta come esser solea,

ma son de l'alta rota trabucata.

Cari fratelli, la vostra morte rea

me fa contro al mio figlio dispietata:

vo’ che mora po’ che v’à messo al fondo,

sì ruvinasse l’abisso, e ‘l' ciel e '1 mondo.

 

Non se po’ vendicar mai ben la morte

se non con morte de giusta vendetta.

Qual fortuna, destino o fato o sorte

a tal disperation m’ha si costretta?

Sento l’ira ch’el cor mi rode forte,

e’l dolor grave tanto me saetta

che la mia vita ancor durerà poco”.

E gettò quel tizone in mezo el fuoco.

 

Come el tizone incominciò a brusciare

e Meleagro consumar si sente,

va in là e in qua, non po’ loco trovare,

forte piangea dicendo: “Oimé dolente,

oimé, me ch'io mi sento consumare,

che vol dir questo, o Dio omnipotente?”.

El re per molti medici mandò,

remedio che facevan nulla giovò.

 

Meleagro gridava ad alta voce

perché sentivase consumar el core,

pregava Giove colli braccia in croce

che glie levassi cotanto dolore;

et tuttora la fiamma più le noce,

perché il tizone ardeva con furore,

e come che brusciato tutto fo

Meleagro meschin morto cascò.

 

El patre se dispera et piange forte,

vedendo morto el suo figluol magiore;

grande corotto se leva per la corte.

La madre Altea, sentendo el remore,

con un cortel se dette l'aspra morte,

e gionse al re doler sopra dolore,

stracciandosse la faccia con le spoglie,

che vede morto et figluol et la moglie.

 

[90] Tutta la gente de quella citade

cursino alla corte a quel caso terribile,

chè mai si vide magior crudeltade.

Ciascun piangea per pietà veribile,

accesi fuor dupieri in quantitade,

ciascun dicia: “Ma come è possibile

che Meleagro sia così spaciato?”,

che non sapeano del tizone affatato.

 

Piangea el re el figluol Meleagro

e cusì la sua donna simelmente,

e feceli portar al tempio sagro

acompagnato da tutta la gente

e feli sepelir con dolore agro.

Con doi figli restò el re piangente:

Menalippo e Tideo eran chiamati

che di po’ Meleagro erano nati.

 

La novella n'andò per tutto ‘l mondo

de questo caso tanto doloroso.

Quando Athalanta del viso iocondo

seppe che morto e '1 fidel suo amoroso,

con lachrime se stracciò el capo biondo:

del gran dolor non trova reposo

e forte piange, chiàmasse meschina,

maledicendo cotanta ruina.

 

Per nulla cosa non si può dar pace

e sempre stava in camera piangendo,

el cor glie scopia del servo verace,

el viso e ‘1 petto se va percotendo,

d’andar più fora a caccia non li piace,

sempre dolente in camera manendo.

Finaliter e’ gli crepava il core,

come tu poi pensare, o auditore.

 

Or ritorniamo al patre doloroso

ch'avea tutta la corte a brun vestita

per la morte del figluol gratioso

e della moglie sua tanto gradita.

Poiché fon fatte l'osequie pompose,

tornare a corte con doglia infinita;

molti sermon fuor fatti al re dolente

che de tal caso fosse patiente.

 

[95] Cusì Diana fece la vendetta

de la sua ingiuria et seguine homicidio.

io prego ciaschedun che si diletta

de dire in rima che non li sia in fastidio

corregere questa, si fosse scorretta,

perch’è gran tempo ch’io non lessi Ovidio:

ognun metta la scusa al mio fallire,

si fallito ho per non saper ben dire.

 

Pigliàti exempio, ciascun peccatore,

e sempre allo ben far siate parati,

sapiate temperar l’animo e ‘1 core

quando alle volte seti tribulati;

non ve lassate-vincer dal furore,

quando che dal dimon seti tentati:

prima ch’a far cosa tutte inchine,

pensa et ripensa molto ben el fine.

 

Guardative dal sexo feminile,

quantunque in visu sia bella et mirabile,

ma el nome le condanna er dovirile.

Femina non è ferma né stabile,

femina ha el core traditore et vile,

femina è falsa, et questo è ver palpabile;

e chi crede che lial sia la femina,

zappa nell’aqua et nella rena semina.

 

Femina, se l’avesse el ciel e ‘1 mondo

in sua podestà quando è in furore,

mandarebbe ogni cosa nel profundo,

tanto poca fermeza ha nel core;

da lor se guardi chi esser vol giocondo

e chi vol mantenerse in fama e honore,

e sopra a tutte cose io ve veto

che con lor non diciati alcun secreto.

 

Guardiative da lor come da foco,

guardative et pigliate el mio consiglio,

che quando è in furore è si da poco

ch’amazarebe patre, matre et figlio;

non riguardate allor solaio né gioco,

fugite tutti e’ lor vitio e periglio;

pigliale exempio di Altea regina,

che per isdegno fe’ tanta ruina.

 

[100] Giovan del Canton, che se diletta

stampare molto i libri d'amore,

stampato ha questa storia antedetta

per amor di Giovanni, di libri venditore.

Gustate ben questa storia perfetta,

corretta et giusta l’è con bon tenore,

guardate ben con la vostra memoria:

al vostro honor fornita è questa storia.