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VIII sec. a.C.

OMERO, Iliade, libro IX, vv. 529-599

Traduzione da: Omero, Iliade, a cura di Ciani M. G.-Avezzù E., UTET, Torino 1998, pp. 465-471.

Ricordo una vicenda, non di oggi, antica, ricordo come avvenne e a voi tutti voglio narrarla. Combattevano i Cureti e gli intrepidi Etoli e si uccidevano gli uni con gli altri per la città di Calidone. Difendevano gli Etoli la bella città, volevano distruggerla invece i Cureti. Ma Artemide dall’aureo trono provocò una sciagura, irata con Oineo che non le offerse le primizie della sua vigna sul colle; gli altri dèi ebbero parte dell’ecatombe, nulla fu offerto a lei, figlia del grande Zeus. Se ne scordò, Oineo, non ci pensò: e fu tremendo errore. In preda alla collera, la divina signora dei dardi gli scatenò contro un cinghiale dalle bianche zanne che molti danni fece devastando la vigna di Oineo: gettò a terra numerosi, altissimi alberi, divelti con le radici e coi frutti. Lo uccise il figlio di Oineo, Meleagro, con cacciatori e con cani radunati a molte città: con poca gente non l’avrebbero abbattuto poiché era una bestia enorme che mandò molti uomini a morte;  intorno al cinghiale allora la dea suscitò urla e clamore, tra i Cureti e gli intrepidi Etoli, per la testa e l’epido vello dell’animale. Finché combatteva Meleagro, caro ad Ares, avevano la peggio i Cureti che, per quanto numerosi, non riuscivano a resistere fuori dalle mura; ma un giorno l’ira travolse Meleagro, l’ira che gonfia il cuore nel petto anche ai più saggi; adirato con Altea, sua madre, giaceva accanto alla sposa, la bella Cleopatra , figlia di Marpessa dalle caviglie sottili –che era figlia di Eveno- e di Ida, il più forte fra gli uomini che vissero allora. Contro Apollo sovrano, Ida impugnò l’arco per la sposa dalle belle caviglie. In casa, allora, il padre e la madre solevano chiamarla Alcione, perchè come un alcione dolente piangeva sua madre quando la rapì l’onnipotente Apollo. Giaceva accanto alla sposa Meleagro, covando collera amara contro la madre, irato per le maledizioni ch’essa lanciava agli dèi nel suo dolore per  il fratello ucciso, prostrata, col petto inondato di pianto, e con le mani percuoteva la terra feconda invocando Ade e l’odiosa Persefone perchè dessero al figlio la morte . La udì dal profondo dell’aerebo la tenebrosa Erinni dal cuore implacabile. Intanto, intorno alle porte, si levarono urla e clamori, si dava l’assalto alle mura. Lo supplicavano gli anziani di Etolia e gli mandavano sacerdoti eletti, promettevano ricchi doni se fosse uscito a difenderli; là dove la pianura di Calidone è più fertile, lo invitavano a scegliersi un terreno bellissimo, cinquanta campi da dividere e coltivare metà a vite e metà con l’aratro. Molto lo implorava anche Oineo, il vecchio guidatore di carri: sulla soglia dell’alto talamo , scuoteva  battenti serrati supplicando il figlio; lo pregavano la madre, le sorelle –ancor più egli si negava- e i compagni, i più saggi, quelli che aveva più cari: ma non gli mossero il cuore nel petto fino a che il talamo stesso fu con violenza assalto, e i Cureti, scalate le mura, diedero fuoco alla grande città. Allora la sposa bellissima supplicava Meleagro piangendo e tutte gli diceva le pene che toccano a un popolo quando la città è conquistata: gli uomini uccisi, la città divorata dal fuoco, rapiti i figli e le donne dalle ricche vesti... Udendo i tremendi presagi si turbò infine il cuore di Meleagro, ed egli si levò, vestì le armi splendenti. Così, cedendo al suo cuore, allontanò dagli Etoli il giorno fatale; non ricevette i doni numerosi e bellissimi e tuttavia egualmente li salvò dalla rovina.