28: Cefalo e Procri

Titolo dell’opera: Cefalo e Procri

Autore: Renè Boyvin (tratto da un disegno di Rosso Fiorentino)

Datazione: 1538-40

Collocazione: Vienna, Graphische Sammlung Albertina

Committenza:

Tipologia: incisione

Tecnica: bulino

Soggetto principale:

Soggetto secondario:

Personaggi: Cefalo, Procri

Attributi: freccia, faretra (Cefalo); freccia (Procri)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Carrol E.A., Rosso Fiorentino. Drawings, Prints and decorative arts, Washington 1987, pp. 340-341

Annotazioni redazionali: L’incisione può essere relazionata a un pannello perduto dipinto da Rosso Fiorentino, che si trovava a Fontainbleau alla fine del XVI secolo; tuttavia, il fatto che i due personaggi siano raffigurati in due nicchie separate potrebbe invece indicare che si tratti di un progetto per la decorazione di una parete. Nella nicchia di sinistra è rappresentato un uomo posto di schiena di tre quarti, dall’aspetto possente, curvo su sé stesso, con le mani giunte e gli occhi chiusi: al di sotto le parole “Coniuge transfixa Cephalus cruciatur acerbè” illustrano il suo dolore già perfettamente espresso dalla posizione contrita ed eroica allo stesso tempo. La nicchia di destra mostra invece una donna il cui petto è stato trafitto da una freccia con le braccia abbassate e dall’espressione che denota resa e stupore allo stesso tempo; al di sotto la scritta “Procris sum Cephali coniunx, heu munere figor”. Piuttosto inusuale la scelta di inserire due figure relative ad una stessa narrazione in nicchie diverse; nel caso del mito qui in esame, la morte di Procri era stata finora rappresentata con la fanciulla sdraiata in terra morente. Nel rappresentarla in piedi e, seppur colpita nel petto, ancora viva, l’autore dà un’interpretazione della tragedia di sorprendente attualità: non racconta una storia, ma mostra la tragedia in atto. Le scritte in calce, specie quella al di sotto della nicchia con Procri, presenta un’interpretazione moraleggiante del mito. Nella prima metà del ‘500, la versione più diffusa delle Metamorfosi ovidiane è quella di Niccolò degli Agostini (Ceffr04), che però riporta una moralizzazione solo per la parte del mito relativa alla caccia alla belva di Temi; per trovare una morale del mito riferibile alla gelosia di Procri bisogna tornare indietro nel tempo fino alla produzione basso-medievale francese (Ceffm12) e alle opere di Boccaccio (Ceffm10). A tal proposito, non può essere considerata una coincidenza il fatto che sia una freccia e non una lancia ad uccidere Procri, dettaglio di cui parla proprio il testo di Boccaccio, che a questo punto si può a ragione ipotizzare quale fonte per l’iconografia proposta da Rosso Fiorentino.

Roberta Talone