
Titolo dell’opera: Morte di Procri
Autore: Giulio Romano (1499-1546)
Datazione: 1530 ca.
Collocazione: Francoforte, Städelsches Kunstinstitut
Committenza:
Tipologia: disegno
Tecnica: penna, acquarello e biacca su carta
Soggetto principale:
Soggetto secondario:
Personaggi: Cefalo, Procri, Aurora, fauni, ninfe, Eros
Attributi: lancia, cane (Cefalo); lancia (Procri); carro (Aurora); orecchie, zampe caprine (fauni); ali (Eros)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni: Giorgio Ghisi, Morte di Procri, incisione, 1540, Art Gallery of New South Wales (Australia)
Immagini:
Bibliografia: Harrt F., Giulio Romano, Yale University Press, New Haven 1958, vol. 1, n. 292, pp. 225, 305; AA.VV., Giulio Romano, Milano 1989, p. 425
Annotazioni redazionali: la scena della morte di Procri è ambientata in un vasto paesaggio boschivo popolato da fauni e ninfe che accorrono verso Cefalo; questi disperato tiene sulle ginocchia Procri, morta a causa di una sua lancia che l’ha colpita al petto (nel disegno è visibile la ferita); ai piedi dei due amanti un cane accucciato, probabilmente Lelapo, l’infallibile cane da caccia usato da Cefalo. A destra della coppia, un personaggio alato osserva la lancia che ha compiuto il misfatto; probabilmente si tratta di Eros che, con questo suo gesto, denuncia la tragica fine dell’amore. Come già nella composizione di Baldassarre Peruzzi (Cfr. scheda opera 23), anche in questo caso appare, appena visibile sullo sfondo, il carro di Aurora, dal quale è tuttavia scomparso Titone, mitico sposo della dea. Il fatto che da questo disegno siano state tratte due incisioni eseguite da Giorgio Ghisi e da Bartolomeo Pinelli, ha fatto supporre che il foglio fosse destinato ab origine a fungere da modello per la stampa; tuttavia, l’esecuzione del disegno si fa risalire intorno al 1530, epoca in cui Giulio Romano era oberato dagli incarichi assegnatigli dal Duca di Mantova Federico Gonzaga, e dunque in cui difficilmente si sarebbe potuto impegnare nell’esecuzione di un disegno così meticolosamente rifinito senza altri fini se non la stampa. Un aiuto in questo senso viene da Frederick Hartt (1958), il quale ha collegato una serie di disegni, omogenei per il formato e l’impostazione del foglio, per l’ambientazione boschiva delle scene e per le tematiche affrontate, ipotizzando l’esistenza di un unico ciclo, destinato alla decorazione a pannelli di una stanza a Marmirolo, una palazzina posta nella località boschiva omonima in provincia di Mantova, dove i Gonzaga avevano un parco di caccia in una foresta, oggi ancora in parte esistente. Tra i fogli sopravvissuti parte di questo ipotetico gruppo ricordiamo quelli con la Caccia al Cinghiale Calidonio (Cfr. scheda opera relativa) e Hylas e le ninfe: tutti soggetti in cui l’elemento della caccia è collegato a una morte tragica di amanti in conflitto con dee o donne mortali. Una tesi più recente raggruppa un numero maggiore di quadri e disegni a soggetto mitologico, ipotizzando come destinazione l’appartamento di Troia nel Palazzo Ducale di Mantova. Per quanto riguarda la fonte letteraria usata dall’artista, l’elemento che maggiormente aiuta è proprio la schiera di fauni e ninfe che si muove verso la coppia: solo nel dramma di Niccolò da Correggio si assiste alla presenza di così tante figure (Ceffr03). Alla fine del terzo atto infatti il fauno ha appena teso la sua trappola a Procri e chiama a se i suoi compagni satiri; nel quinto atto poi accanto al corpo di Procri morta accorrono tutte le ninfe chiamate da Diana - forse riconoscibile, in quanto divinità cacciatrice dei boschi, nella donna in alto a destra rappresentata dentro il bosco mentre guarda un cervo. Certo i personaggi non comparivano mai insieme sul palco ma d’altronde Giulio Romano deve aver fatto riferimento al testo, pubblicato l’ultima volta nel 1521, e non certo alla rappresentazione avvenuta circa quarant’anni prima, nel 1487 a Ferrara. E sebbene l’anonima Fabula di Cefalo e Procri, rappresentata nel 1475 a Bologna, “fu facta e recitata [...] sopra a uno palco [...] sopra el qual è una silva e tute le cose necessarie” e metteva in scena Cefalo che andava a caccia accompagnato da “cani, corni, comp(agni), archi, faretre e dardi”, tuttavia non vi si può riconoscere la fonte d’ispirazione per Giulio Romani, sia perché nell’opera l’impostazione mitologica è poco evidente, essendo Aurora l’unico personaggio del mondo divino pagano e non comparendo né fauni né ninfe, sia perché la messa in scena risale ad un tempo troppo distante dall’esecuzione del disegno.
Roberta Talone