
Titolo dell’opera: Morte di Procri
Autore: Bernardino Luini (1480 ca.-1532)
Datazione: 1520-22 ca.
Collocazione: Washington, National Gallery of Arts
Committenza: Girolamo Rabia
Tipologia: dipinto
Tecnica: affresco staccato e trasferito su tela (144,1 x 123,2 cm)
Soggetto principale: Procri muore trafitta da una lancia
Soggetto secondario:
Personaggi: Procri
Attributi: lancia (Procri)
Contesto: paesaggio all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.nga.gov/collection/gallery/gg26/gg26-12154.html
Bibliografia: Lavin I., Cephalus and Procris, transformation of an Ovidian myth, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 17, 1954, pp. 366-372; Shapley F.R., Catalogue of the Italian paintings, National Gallery of Art, Washington 1979, vol. 1, pp. 285-288; Lucignano Marchegiani M., Il mito di Cefalo e Procri. Scena e iconografia nel Rinascimento, Coletti, Roma 1993
Annotazioni redazionali: intorno al 1520, Girolamo Rabia commissionò a Bernardino Luini l’esecuzione di un ciclo di affreschi per la decorazione di una delle sue residenze milanesi. I dubbi della critica a proposito della loro collocazione originaria (Villa “La Pellucca” o, più probabilmente, Casa Rabia in Piazza San Sepolcro), nonché del soggetto rappresentato (si va dalla favola ovidiana di Cefalo e Procri, a delle storie sacre incentrate su una santa, tanto che secondo Beltrami potrebbe anche non trattarsi di un unico ciclo, ma di figure eterogenee provenienti da diversi locali e recanti la rappresentazione di storie diverse), sono dovuti alla mancanza di documentazioni univoche e allo stato lacunoso e frammentario con cui ci sono arrivati gli affreschi. Essi, infatti, subirono all’inizio dell’Ottocento un intervento di restauro piuttosto invasivo, durante il quale furono staccati dal supporto originale, rimanendo tuttavia collocati nel contesto originario fino al 1845, quando furono trasferiti nella Pinacoteca di Brera di Milano. In seguito, dopo appena diciotto anni Michele Cavalieri li vendette ad Henri Cernuschi a Parigi; nel 1900 entrano a far parte della collezione di Rodolphe Kann e successivamente in quella dei fratelli Duveen. Infine furono acquistati da Samuel H. Kress che li donò alla National Gallery di Washington nel 1944. Nel 1954, sulla scia di alcune ricerche portate avanti da Erwin Panofsky, Irvin Lavin propose una fonte alternativa alle Metamorfosi di Ovidio, la Fabula di Cefalo, un’opera teatrale di Niccolò da Correggio rappresentata la prima volta a Ferrara nel 1487 in occasione del matrimonio del cavalier Giulio Tassoni e di Ippolita, figlia di Niccolò Contrari. Questa, pur essendo molto vicina al racconto ovidiano, apporta numerosi cambiamenti alla narrazione del mito di Cefalo e Procri, il più evidente dei quali è l’inserimento del lieto fine con la resurrezione della fanciulla ad opera di Diana. La stessa fonte letteraria viene indicata da Fern Rusk Shapley, curatore dell’ordine espositivo dei pezzi nella National Gallery di Washington; tuttavia, l’ordine indicato dai due studiosi, pur basandosi sulla stessa ipotetica fonte, non è lo stesso. Questa differenza, unita ad una serie di incongruenze, quale ad esempio l’identificazione di Cefalo con figure maschili diverse e non assimilabili, o l’assenza negli affreschi dei momenti chiave della vicenda (riappacificazione tra Cefalo e Procri e conseguenti doni, resurrezione di Procri) a favore di momenti assolutamente secondari al racconto, pone un forte dubbio circa l’interpretazione proposta da Lavin; tanto più che, eliminando i tre pannelli in cui il presunto Cefalo è raffigurato in maniera differente, l’ipotesi della rappresentazione in un unico ciclo di favole ovidiane e storie sacre (forse storie tratte dalla vita di S. Giustina da Padova) dovrebbe perlomeno essere riprese in considerazione dalla critica.
In virtù di tutto questo, si è scelto di analizzare qui unicamente la scena meno problematica di tutto il ciclo rispetto all’identificazione con la storia di Cefalo e Procri, quella della morte della fanciulla, rimandando al sito della National Gallery e all’articolo del 1954 di Lavin per le altre scene. Diversamente dall’iconografia tradizionale di questo momento, in cui Procri, nascosta dietro ad un cespuglio, viene colpita dalla lancia scagliata da Cefalo, qui viene raffigurato unicamente il momento in cui la fanciulla viene trafitta nel petto da una lancia. La figura di Procri risulta di scala maggiore rispetto alle altre appartenenti allo stesso ciclo, cosa che fa supporre ad Irvin Lavin che questa scene costituisse il punto focale dello schema figurativo ed occupasse una posizione importante nella stanza originaria. Il fatto però che le dimensioni del pannello risultino più piccole rispetto a quelle degli altri, e che questo sia l’unico caso in cui la figura non venga rappresentata per intero, potrebbe far pensare a una mutilazione subita dall’affresco al momento dello stacco; ipotesi confermata dal fatto che l’intero ciclo ha evidentemente subito alcune perdite, dal momento che nessuno dei nove pannelli presenta le stesse dimensioni e spesso sono presenti figure tagliate. Tale possibilità rimetterebbe in discussione ogni ipotesi, ammettendo l’eventuale esistenza di altri pannelli a completare le parti mancanti della fabula.
Roberta Talone
Chiara Mataloni