Titolo dell’opera: Strage dei Niobidi
Autore: Andrea Camassei (1602-1649)
Datazione: 1638-1639 ca.
Collocazione: Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini
Committenza: Taddeo Barberini
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (300 x 410 cm)
Soggetto principale: Apollo e Diana saettano i figli e le figlie di Niobe davanti a lei
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Diana, Niobe, quattordici figli
Attributi: arco, freccia, eclittica zodiacale (Apollo); arco, freccia, mezzaluna (Diana); corona (Niobe)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Nessi S., Andrea Camassei. Un pittore del Seicento tra Roma e l’Umbria, Quattroemme, Perugina 2005, pp. 93-94
Annotazioni redazionali: il dipinto fu realizzato alla fine degli anni ’30 del XVII secolo da Andrea Camassei in pendant con il quadro mitologico con “Diana e le ninfe”. Il committente, Taddeo Barberini, nipote del papa Urbano VIII, collocò le opere nel palazzo di famiglia, finito di costruire da Lorenzo Bernini alcuni anni prima. L’episodio tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Met. VI, vv. 218-266; 285-301 cfr. Niofc26) viene inscenato condensando in un unico momento le due stragi, perpetrate come vendetta dai due figli di Latona. Apollo e Diana “con celere volo attraverso “l’aria” e “coperti da nubi” (vv. 216-217) sono colti, l’uno vicino all’altra, mentre tendono i loro archi verso la prole di Niobe. In particolar modo, Apollo, circondato anche dall’eclittica con lo zodiaco, punta l’arco verso due Niobidi che cercano scampo fuggendo verso destra, dove si scorgono le colonne di un tempio; invece Diana è colta nell’atto di scagliare una freccia contro il gruppo formato da Niobe e dalla figlia più piccola. La bambina spaventata cinge la vita della madre, la quale con una mano stringe a sé la testa della figlia mentre solleva l’altra verso la dea a indirizzarle una supplica. Anche con lo sguardo implorante Niobe si rivolge a Diana, quasi rievocando le parole usate da Ovidio (vv. 297-300) nel descrivere la richiesta dell’infelice madre di aver salva almeno la figlia minore. Rispetto al testo latino, però, il Camassei non recupera il gesto con il quale Niobe copre con la propria veste la figlioletta, gesto che aveva la sua traduzione figurativa più elevata nel gruppo della Niobe degli Uffizi (Cfr. scheda opera 12). Inoltre quest’immagine, che in Ovidio appartiene all’ultima sequenza narrativa della storia, è invece collocata dal pittore in una fase intermedia del massacro. Al centro della scena campeggia un cavallo impennato privo di cavaliere, mentre sul fondo uno dei figli tenta la fuga sul proprio destriero. Sulla sinistra sono rappresentati gli altri figli della regina: in primo piano un figlio morente è assistito da una delle sorelle, mentre un’altra fanciulla le si abbandona priva di vita sulla spalla; la figura del figlio in piedi che cerca di estrarre una freccia dal ginocchio è direttamente ripresa dai versi di Ovidio (vv. 254-256), nei quali leggiamo: “Ma Damasictone dai lunghi capelli non fu colpito da una sola ferita; era stato colpito dove comincia la coscia, cioè dove il ginocchio muscoloso forma una molle articolazione. E mentre tenta con la mano di estrarre il dardo mortale (…)”; in secondo piano altri figli si sorreggono l’un l’altro, mentre per terra giace morta una fanciulla. Il numero dei Niobidi, la presenza dei cavalli, come anche gli altri dettagli raffigurati, testimoniano la derivazione dal testo latino che costituisce il modello principale per il soggetto, che però a partire dal ‘600 mostra la tendenza a compendiare le due stragi in un unico momento di elevata tragicità.
Dario Iacolina