Titolo dell’opera: Strage dei Niobidi
Autore: Johann König (1586-1642)
Datazione: 1610-1620 ca.
Collocazione: Collezione privata
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (80 x 97 cm)
Soggetto principale: Apollo e Diana saettano i figli e le figlie di Niobe
Soggetto secondario: Niobe supplica Diana di risparmiare la figlia più piccola
Personaggi: Apollo, Diana, Niobe, quattordici Niobidi
Attributi: arco (Apollo); arco (Diana); corona (Niobe)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia:
Annotazioni redazionali: Johann König nasce in Baviera nel penultimo decennio del XVI secolo e si afferma nella prima metà del successivo come pittore di quadri di piccolo formato. Tra questi, la Strage dei Niobidi di collezione privata rappresenta una della sue principali opere. Pur non conoscendo la data esatta della sua esecuzione, la tela è legata alla maturazione artistica del pittore conseguita grazie al soggiorno italiano dei primi decenni del ‘600. In particolar modo il periodo romano (1610-1614) permise al pittore di entrare in contatto con artisti nordici come Adam Elsheimer e Paul Brill, ma anche con le prime opere di Carlo Saraceni, esperienze fondamentali per gli sviluppi della sua maniera. Il soggetto della punizione della superba regina di Tebe da parte di Apollo e Diana è tratto dal racconto di Ovidio nelle Metamorfosi (Niofc26), ma, come già manifestato nell’incisione dei primi anni del XVII secolo di Antonio Tempesta (Cfr. scheda opera 42) l’episodio dell’uccisione dei quattordici figli di Niobe, che nei versi del poeta latino avviene in due momenti differenti, nella tela è stato fuso in un’unica grande scena di massacro. In primo piano giacciono i corpi uccisi di vari fratelli e delle sorelle colpiti dalle frecce mortali che piovono dall’alto. Apollo, sospeso in cielo, ha appena scoccato una freccia che sta per colpire alla schiena un giovane che tenta la fuga sul suo destriero; un altro figlio fugge anch’esso a cavallo, mentre un fratello ne è stato disarcionato ferito mortalmente; a sinistra una delle figlie scappa discinta con le mani alzate nella foga della corsa. Una scena a sé stante è quella costituita dalle figure di Diana e di Niobe con la figlioletta più piccola. Diana, poggiata su di una nube, punta il suo arco contro Niobe, la quale leva le braccia al cielo ad implorare la salvezza della figlia minore. La bambina, come nel dipinto del Camassei (Cfr. scheda opera 45), cinge la vita della madre ed è nascosta sotto il suo mantello dorato. Riferimenti imprescindibili per questo dettaglio sullo sfondo si ritrovano tanto nelle fonti letterarie che in quelle figurative. A chiusura del racconto della morte delle figlie, Ovidio pone la supplica rivolta a Diana della disperata madre la quale “Dopo che sei erano state uccise (…) ricoprendola con tutto il corpo e con tutta la veste: «Una sola, la più piccola – gridava – e una sola»” (vv. 297-300). Invece la statua di Niobe che protegge la figlia (cfr. Scheda n. 12), venuta alla luce nel 1583 a Roma ed ora agli Uffizi e strettamente connessa alla narrazione ovidiana, divenne dal ‘600 in poi un modello sul quale poter creare forti immagini patetiche di derivazione classica. Ma, come ben evidente, l’adesione ad una fonte, letteraria o iconografica che sia, non corrisponde ad una minuziosa trascrizione, ma presuppone sempre un’elaborazione inventiva da parte dell’artista. Dunque il racconto ovidiano costituisce il motivo ispiratore sul quale impostare una rappresentazione più in sintonia con le esigenze più generali e personali dell’autore.
Dario Iacolina