
Titolo dell’opera: L’Empietà di Niobe
Autore: Philippe Maecht
Datazione: 1610 ca.
Collocazione: Genova, Palazzo Reale
Committenza:
Tipologia: arazzo
Tecnica:
Soggetto principale: Niobe dissuade i tebani dal sacrificare alla Latona
Soggetto secondario: la profetessa Manto esorta il popolo ai sacrifici
Personaggi: Niobe, Manto, sacerdoti, offerenti
Attributi: corona, vesti intessute d’oro (Niobe); sole, luna (statua di Latona)
Contesto: scena all’aperto davanti al tempio di Latona
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Boccardo P., L’Empietà di Niobe e la serie degli arazzi delle “Storie di Diana” in “Palazzo Reale di Genova. Studi e Restauri 1993-1994”, Tormenta, Genova 1997, pp. 115-122
Annotazioni redazionali: l’arazzo con l’Empietà di Niobe appartiene ad una serie di tappezzerie dedicate alle storie della dea Diana. Sempre nel Palazzo Reale di Genova si conservano altri due arazzi raffiguranti Diana con Oto ed Efialte e Diana cacciatrice, perduti invece gli altri panni che completavano il ciclo. Gli arazzi furono tessuti a Parigi nei primi anni del ‘600 presso la cosiddetta boutique d’or sui cartoni del pittore Toussaint Dubreuil, esponente della “seconda scuola di Fontainebleau”. La fortuna del ciclo di arazzi con le Storie di Diana ha inizio nella metà del XVI secolo quando Enrico II di Valois commissionò una serie di opere aventi come soggetto miti legati alla dea cacciatrice in onore della sua favorita Diana di Poitiers. La serie, composta di circa dieci arazzi, annovera tra le imprese di Diana l’uccisione, insieme ad Apollo, dei figli di Niobe, alla quale fa da antefatto l’empietà della regina. Il soggetto illustrato è tratto fedelmente dal VI libro delle Metamorfosi di Ovidio (Niofc26), l’unica fonte a descrivere in maniera approfondita l’offesa recata da Niobe alla dea Latona. Il medesimo tema era stato già rappresentato nelle prime xilografie (Cfr. scheda opera 21, scheda opera 26) del poema latino, ma in maniera più sintetica e disadorna. In primo piano sulla sinistra si trova Niobe, avvolta in preziose vesti intessute d’oro come descritto da Ovidio: “vestibus intexto Phrygiis spectabilis auro” (v. 166). La regina è intenta a dissuadere il popolo tebano dal sacrificare alla dea Latona, esponendo i motivi che la rendono più degna di onori divini. In secondo piano è collocato il tempio della dea, la cui statua la raffigura seduta con nelle mani i simboli dei suoi figli, il Sole e la Luna. Davanti al tempio una donna, che si rivolge verso la folla più vicina a Niobe e che indica con un gesto la statua, sta esortando il popolo a compiere i sacrifici richiesti. È la profetessa Manto che, come scrive Ovidio, “aveva vaticinato per le strade, eccitata dallo spirito divino: «O Ismenedi, andate in massa e offrite a Latona e ai figli di Latona pio incenso insieme alle preghiere e ornate i capelli con l’alloro; per bocca mia lo ordina Latona»”(v. 157-162). Proprio questa è la scena che viene rappresentata: un sacerdote, accanto all’altare su cui brucia l’incenso, sembra dirigere le preghiere di un gruppetto di persone in adorazione, le cui tempie sono cinte di alloro come prescritto dalla profetessa (v. 162-164). Intorno a Niobe, invece, il gruppo di persone che stavano portando gli animali sacrificali al tempio è stato ostacolato dalle parole della regina, che li convincerà ad abbandonare i riti dovuti, scatenando così l’ira della dea.
Dario Iacolina