
Titolo dell’opera: Strage dei figli e delle figlie di Niobe
Autore: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto (1518-1594)
Datazione: 1541 ca.
Collocazione: Modena, Galleria Estense
Committenza: Vittore Pisani
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tavola (127 x 123 cm)
Soggetto principale: Apollo e Diana colpiscono con le frecce i figli e le figlie di Niobe
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Diana, Niobe, tre Niobidi
Attributi: arco, frecce (Apollo); arco, frecce (Diana)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Pallucchini R., Rossi P., Tintoretto. Le opere sacre e profane, Electa, Milano 1982, vol. I, p. 132-133, vol II, p. 303; Guthmüller B., Tintoretto e Ovidio. Il problema dei testi mediatori, in Jacopo Tintoretto nel quarto centenario della morte, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Venezia, 24-26 novembre 1994), a cura di Rossi P., Puppi L., Il Poligrafo, Padova 1996, pp. 257-262; Mason S., Intorno al soffitto di San Paternian: gli artisti di Vettore Pisani, in Jacopo Tintoretto nel quarto centenario della morte, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Venezia, 24-26 novembre 1994), a cura di Rossi P., Puppi L., Il Poligrafo, Padova 1996, pp. 71-75; Sovrane passioni: studi sul collezionismo estense, a cura di Bentini J., Motta, Milano 1998, pp. 332-338; Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi, Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, cura redazionale di Nicolette Mandarano, Lithos, Roma 2003, pp. 104-114
Annotazioni redazionali: l’ottagono con la strage dei Niobidi appartiene ad un gruppo di quattordici tavole conservate nella Galleria Estense di Modena. La serie fu realizzata intorno al 1541 dal Tintoretto per la decorazione del soffitto dei Conti Pisani di San Paterniano a Venezia. La probabile occasione della commissione fu il matrimonio di Vittore Pisani che volle così decorare la propria camera da letto del suo palazzo veneziano. Le tavole di soggetto mitologico, il cui numero originario ammontava a sedici, furono vendute nel 1658 al duca Francesco I d’Este. Tutta la serie è caratterizzata da impressionanti scorci dal sottinsù, da un forte chiaroscuro e da un’intensa cromia, fattori che hanno fatto proporre un viaggio di Tintoretto a Mantova, dove Giulio Romano tra gli anni ’20 e glia anni ’30 del secolo aveva dipinto i celeberrimi affreschi della Sala di Psiche e della Sala dei Giganti, impostati proprio su queste invenzioni prospettiche. Questo studio diretto dell’opera mantovana di Giulio Romano, per la prima volta ipotizzato da Anna Pallucchini (Pallucchini, 1945), è stato ulteriormente provato dalla vicinanza della posizione del dio Momo, affrescato nella sala dei Giganti, con quella simile della Niobe del presente ottagono (Mason, 1996). I soggetti dei dipinti mitologici sono tutti narrati nelle Metamorfosi di Ovidio e trattano temi legati ad amori infelici ed esempi di superbia punita. Seppur complessa da un punto di vista della costruzione spaziale, tutta la serie si caratterizza per la presentazione di pochi personaggi principali, una scelta dovuta anche al formato e alla destinazione delle tavole. L’intero dipinto è occupato dalla monumentale figura della madre che, con le braccia alzate al cielo in un gesto di supplica, assiste impotente alla sua tremenda punizione. Le due divinità vendicatrici si stagliano su di un cielo denso di nubi dalle quali colpiscono a morte i Niobidi. Questi sono in tutto tre: a sinistra una fanciulla colpita al braccio si protegge con il proprio mantello, accanto ad essa un altro figlio ferito alla spalla nasconde il viso tra le braccia, mentre sulla destra una figura seminuda di schiena tenta la fuga. L’iconografia del dipinto, ad una lettura attenta delle fonti scritte, si rivela abbastanza distante da queste. Infatti, nel racconto ovidiano, la morte dei figli maschi e quella delle femmine sono separate temporalmente l’una dall’altra, come anche la partecipazione attiva al massacro dei due gemelli divini, e inoltre la presenza della madre è circoscritta alla sola strage delle figlie. Anche nei volgarizzamenti successivi, come ad esempio l’Ovidio Metamorphoseos di Niccolò degli Agostini (Niofr02), che più volte ha avuto un ruolo di mediazione tra il testo latino e le opere del Tintoretto (Guthmüller, 1997), l’esposizione risulta conforme alla struttura narrativa del racconto di Ovidio. La scena, con la raffigurazione di Niobe e di tre soli figli, è ridotta ai minimi termini, ma le figure delle due divinità arciere, con i loro archi puntati verso l’esterno dell’ottagono, suggeriscono all’osservatore uno spazio più ampio nel quale la strage degli altri figli continua idealmente. Tutto questo dimostra l’estrema libertà da parte dell’artista nell’allestimento dell’episodio mitologico.
Dario Iacolina