14: Niobe

Titolo dell’opera: Strage dei figli di Niobe

Autore:

Datazione: metà I sec. d.C.

Collocazione: Napoli, Museo Nazionale, proveniente da Pompei, VII 15, 2, “Casa del Marinaio”

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Apollo saetta i figli di Niobe durante la caccia

Soggetto secondario: vari personaggi partecipano o assistono alla scena

Personaggi: cinque Niobidi, servitori, personificazioni del luogo, Pan, Apollo

Attributi:

Contesto: paesaggio boschivo nei pressi di un tempietto

Precedenti: affresco Pompei VII 6, 28

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Della Corte M., Leggende del ciclo tebano in due pitture murali inedite di Pompei, in Rivista indo-greco-italica, 1917, pp. 69-74; Pompei. Pitture e mosaici, vol. VII, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 1991, pp. 749-751

Annotazioni redazionali: l’affresco con la strage dei Niobidi a caccia, conservato ora al Museo Nazionale di Napoli, proviene dalla “Casa del Marinaio” di Pompei (VII 15, 2), nella quale fu rinvenuta anche la tavoletta marmorea con l’uccisione delle sorelle (Cfr. scheda opera 15). La scena ci è giunta quasi nella sua interezza nella parte inferiore, mentre più compromessa è la zona superiore dove era collocato Apollo, del quale si può ancora vedere una gamba appoggiata alle rocce in alto a destra. Il centro del dipinto è occupato da un tempio dedicato alla dea della caccia, Diana, simboleggiata dalla cerva maculata che si erge al suo interno. Intorno al sacro edificio sono disposti i figli di Niobe, i quali, usciti per una battuta di caccia sul monte Citerone, furono colpiti a morte dalle frecce di Apollo (Niofc44). La scena concitata mostra alcuni Niobidi in fuga sui propri cavalli mentre altri giacciono già morti sul campo. Nel fitto del bosco sono visibili due servitori, abbigliati con corta tunica e un largo cappello, intenti a catturare con delle reti un cinghiale e un cervo. Al tragico evento non partecipano le due figure sedute in basso, personificazioni del monte Citerone e della valle Gargafia, al contrario del dio Pan raffigurato vicino al tempio in un gesto di stupore. La pittura, purtroppo mutila, conserva dunque solo cinque Niobidi e difficile risulta stabilire se il loro numero originario fosse di sei, seguendo la fonte omerica, o di sette, secondo la tradizione più diffusa. Oltre alle divinità e ai Niobidi, i personaggi rimanenti sono identificabili con alcuni servitori e con almeno uno degli erastai, ovvero gli amanti dei giovani principi introdotti nella storia dalla tragedia di Sofocle come riferito da Plutarco (Niofc39). Il dipinto della metà del I secolo è una replica di un affresco con il medesimo soggetto trovato nella stessa insula, ma di cui ci rimangono solo scarsi lacerti. Nella parete limitrofa un altro dipinto parzialmente danneggiato presenta in un ampio paesaggio il “supplizio di Dirce”. L’accostamento delle due storie non è affatto casuale, infatti entrambe sono situate presso il monte Citerone, venendo così a costituire un’unità di luogo, e inoltre la punizione inferta a Dirce è opera dei due gemelli tebani, Zeto e Anfione, quest’ultimo il padre degli sventurati figli di cui è mostrata la strage nella parete vicina.

Dario Iacolina