07: Niobe

Titolo dell’opera: Pietrificazione di Niobe

Autore: Pittore di Ganimede

Datazione: 330 a.C.

Collocazione: Zurigo, Universität

Committenza:

Tipologia: vaso apulo (idria)

Tecnica: pittura a figure rosse

Soggetto principale: pietrificazione di Niobe entro il naiskos

Soggetto secondario: i familiari di Niobe le fanno visita, mentre Apollo, Artemide e due giovani (Niobidi ?) assistono alla scena

Personaggi: Niobe, Ippodamia, Pelope, Tantalo, anziana donna, Apollo, Artemide, due giovani Niobidi (?)

Attributi: pietrificazione, gesto dolente, tomba, capo velato (Niobe); berretto frigio (Pelope); bastone (Tantalo)

Contesto: presso un tempietto funerario

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Trendall A.D., Red Figure Vases of South Italy and Sicily, Thames and Hudson, Londra 1989, p. 96; Schmidt M., ad vocem “Niobe”, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Verlag, Zurigo-Monaco, 1992, vol. VI, 1, p. 912; De Cesare M., Le statue in immagine: studi sulle raffigurazioni di statue nella pittura vascolare greca, L'Erma di Bretschneider, Roma 1997, pp. 156-157

Annotazioni redazionali: la scena dipinta sull’idria di Zurigo costituisce un raro esempio in cui viene rappresentata una versione del mito di Niobe che si discosta parzialmente dalle fonti di Omero (Niofc01) e di Eschilo (Niofc04). Rispetto ai vasi coevi (Cfr. scheda opera 05, scheda opera 06, scheda opera 08, scheda opera 09) che mostrano la pietrificazione di Niobe, nell’idria del pittore di Ganimede troviamo interessanti novità. Innanzitutto la sconsolata madre, colta nel tipico schema della lamentazione, non è collocata da sola all’interno della tomba, ma accanto ad essa vi è la figura di una giovane fanciulla totalmente dipinta di bianco. Questo colore, utilizzato solitamente per la rappresentazione della pietra, come testimoniano sia la struttura del naiskos, che la parziale trasformazione di Niobe, indica la natura lapidea del personaggio. La statua della fanciulla potrebbe dunque raffigurare una delle figlie di Niobe, individuando il monumento come la tomba dei Niobidi, mentre l’opposizione cromatica tra i due personaggi al suo interno sottolineerebbe il contrasto tra la vita e la morte e il successivo passaggio tra le due realtà prefigurato dalla pietrificazione (De Cesare 1997). La coppia di personaggi sulla sinistra mostra Pelope, nell’atto di offrire una libagione, e la sua sposa Ippodamia. Nessuna fonte ci dà testimonianza della presenza di Pelope presso la tomba dove Niobe piange i suoi figli, ed è probabile che il pittore abbia voluto conferire alla scena un’ambientazione più familiare e intima, raffigurando, oltre al padre, anche il fratello e la sua giovane sposa, giunti per consolare l’infelice madre. Le figure dei due anziani a destra sono invece riprese dalla tragedia eschilea. Il vecchio dai capelli bianchi, colto in un atteggiamento di disperazione mentre tocca con il suo bastone la parte pietrificata di Niobe, è identificato con Tantalo, anche se Margot Schmidt (1992) propone vi scorge la figura  del pedagogo dei Niobidi. Sulla spalla del vaso Apollo e Artemide assistono alla scena contrapposti ad un’altra coppia formata da un giovane ragazzo e da una fanciulla con alle spalle un cesto di lana. Queste  due figure sono i figli, che secondo una diversa tradizione del mito, furono risparmiati dalle divinità e il cesto di lana vicino la ragazza è un chiaro riferimento alla strage delle figlie, uccise da Artemide mentre filavano. La testimonianza di questa versione della storia è stata tramandata da autori tardi come  Pausania (Niofc43) e Apollodoro (Niofc44), i quali, però, riportano notizie molto più antiche (Apollodoro accenna a Telesilla, poetessa argiva vissuta tra il VI e il V secolo), dimostrando come la variante del mito fosse già attestata prima dell’età classica.

Dario Iacolina