01: Niobe

Titolo dell’opera: Inseguimento dei Niobidi

Autore: Pittore Castellani (attr. Cahn)

Datazione: 570-560 a.C.

Collocazione: Amburgo, Museum Fur Kunst Und Gewerbe, proveniente dall’Etruria

Committenza:

Tipologia: vaso tirrenico (anfora)

Tecnica: pittura a figure nere

Soggetto principale: Apollo e Artemide inseguono con arco e frecce i Niobidi in fuga

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Artemide, quattro Niobidi (due maschi e due femmine)

Attributi: arco, freccia, faretra (Apollo); arco, freccia, faretra, elmo (Artemide)

Contesto:

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Hoffmann H., The oldest Portrayal of the Niobids, Archaeology, XIII, 1960 pp. 182-185; Geominy W., ad vocem “Niobidai”, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Verlag, Zurigo-Monaco, 1992, vol. VI, 1, p. 916

Annotazioni redazionali: l’anfora, datata alla prima metà del VI secolo a.C., costituisce una delle prime attestazioni del mito dei Niobidi nella pittura vascolare greca e più in generale nell’arte figurativa. L’inseguimento dei figli di Niobe è collocato su una delle due spalle del vaso. Sulla parte sinistra Apollo, con arco e freccia incoccata, sta inseguendo quattro giovani in fuga verso destra, dove, a chiudere simmetricamente la composizione, è posta Artemide, anch’essa colta nell’atto di scoccare un dardo. Apollo è qui presentato con la barba in una rara iconografia attestata però in questo periodo anche da altri esempi vascolari. I Niobidi rappresentati sono in tutto quattro, due maschi nudi con un mantello sulla spalla e due ragazze abbigliate con una lunga veste. Tutti i personaggi sono raffigurati nella tipica posizione della corsa in ginocchio e, ad eccezione delle due divinità, con le braccia contrapposte. Questo schema di origine corinzia è attestato per tutto il VI secolo a.C. per un gruppo di anfore dette “tirreniche”, opera di maestranze greche attive in Etruria. Il momento della fuga dei Niobidi non è raccontato da nessuna fonte pervenutaci, che sia precedente o coeva all’esecuzione dell’anfora. Omero (Niofc01), infatti, si sofferma essenzialmente sugli eventi antecedenti e successivi alla strage, alla quale si accenna brevemente ricordando solo i ruoli assunti dai due gemelli divini nel massacro. Inoltre la perdita quasi totale della lirica arcaica, che aveva trattato la storia di Niobe, non ci permette di istituire un confronto specifico con nessuna fonte letteraria. Ciononostante la scena della vana fuga dei fanciulli era facilmente deducibile dalla conoscenza del mito stesso e modellabile su altri esempi figurativi di analogo soggetto. Per quanto riguarda il numero dei Niobidi, si deve subito tener presente l’estrema variabilità delle fonti più antiche e dunque la riduzione a solo quattro esponenti della numerosa prole di Niobe è una scelta dettata principalmente da motivazioni di spazio e di composizione narrativa. Un’interessante considerazione è stata fatta da Hoffmann (1960) il quale osserva che le faretre di entrambi gli dèi sono vuote e che solo due frecce stanno per essere scoccate contro i quattro Niobidi. Dunque secondo questa lettura la scena raffigurerebbe la fuga degli ultimi figli ancora in vita, ma soprattutto si alluderebbe alla sopravvivenza di un figlio e una figlia di Niobe. Stando a questa interpretazione l’anfora costituirebbe una testimonianza figurativa fondamentale dell’attestazione agli inizi del VI secolo a.C. di una diversa versione del mito, quella narrata dalla poetessa argiva Telesilla (VI-V sec. a.C.) (Niofc44), che si discosta dal modello omerico.

Dario Iacolina