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1360 ca.

GIOVANNI BOCCACCIO, Genealogia deorum gentilium, V, 30, 4; 31, 1-3; XII, 2, 1-3

Tratto da: Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, Mondadori, Milano 1998, vol. 7/8.1-2, pp. 853-855; pp. 1159-1161

V, 30, 4

Anfione, re di Tebe, quinto figlio del secondo Giove che generò sette figli e altrettante figlie

Sua moglie inoltre fu Niobe, figlia di Tantalo, dalla quale, secondo Omero nell’Ilias, ebbe dodici figli, ma quattordici secondo i poeti latini, e specialmente Ovidio. Quando li vide uccisi da Apollo e Diana a causa della superbia di Niobe, Anfione si trafisse con la spada.

 

31, 1-3

I quattordici figli di Anfione

Anfione ebbe da Niobe sette figli e altrettante figlie. I loro nomi furono: Archemoro, Antegoro, Tantalo, Fedimo, Sipilo, Xenarco e Epinico. Le figlie furon chiamate Asticrazia, Pelopia, Clori, Cleodoxe, Ogime, Fizia e Neera. Dice Ovidio che i maschi, mentre giocavano, furono uccisi da Apollo a causa della superbia di Niobe che ingiuriava Latona; le femmine da Diana, sotto gli occhi della madre. Ovidio differisce da Lattanzio in alcuni nomi; infatti, invece di Archemoro, Antegoro, Xenarco e Epinico, Ovidio nomina Ismeno, Alfenore, Damasittone e Ilioneo. Di tutti questi poi uno, ma non so quale, Omero chiamava Amalea. Egli dice che, uccisi in quel modo, furono privi di sepolcro per nove anni; finalmente, poiché Giove aveva cambiato quei popoli tebani in pietre, gli dei li seppellirono, sebbene altrove dica lo stesso Omero che essi rimasero sepolti sotto il monte Sipilo. Che poi siano morti così all’improvviso, credo sia stato per la peste, poiché Apollo è sterminatore; e perciò accadde che vennero a mancare gli uomini, e non vi fu chi li seppellisse; i quali uomini, una volta morti e mutati in pietre, cioè in polvere, ricoprirono, o si credette che ricoprissero, i figli di Niobe, anch’essi ormai dissolti. Oppure (e pensa ciò sia detto meglio) i  popoli mutati in pietre cioè induriti dai mali, li seppellirono presso il Sipilo in urne trovate, come dice Omero; talvolta infatti, per eccessiva pietà, non possiamo ciò che dovremmo. Ovvero potè avvenire altrimenti; cioè che essi, morti per l’incalzare della peste, furono seppelliti come gente comune; e, trascurati per nove anni, alla fine furono raccolti in urne di pietra, con onori regali.

 

XII, 2, 1-3

Niobe, figlia di Tantalo

Niobe fu figlia di Tantalo e di Taigete, come essa stessa attesta in Ovidio, dicendo: «Mio padre è Tantalo, il solo cui fu concesso sedere alla mensa degli dei. Madre mi fu una sorella delle Pleiadi» ecc. Ma, salvo il rispetto di Ovidio, suo padre non fu quel Tantalo che fu amico degli dei. Quello fu infatti uomo pio e re di Corinto e precedente nel tempo. Lattanzio poi dice che questa Niobe fu figlia di Tantalo e Penelope. Essa, come pare a Teodonzio, fu sposata ad Anfione, re di Tebe, affinché questi favorisse le parti di Pelope che era in guerra contro Enomao, re di Elide e Pisa. Dal quale Anfione essa generò sette figli e altrettante figlie; ma Omero dice nell’Ilias che i figli furono soltanto dodici. Questa donna di spirito altero, mentre i Tebani sacrificavano per ordine di Manto, figlia di Tiresia, a Latona, cominciò a beffarli e ad anteporsi a Latona. Questa, sdegnata, si lamentò coi suoi figli; e accadde che, mentre i figli e le figlie di Niobe giocavano nei campi, Apollo uccise con le frecce i maschi, e Diana le femmine. Essi furono sepolti nelle vicinanze del monte Sipilo. Niobe poi, privata del marito e dei figli, mutata in sasso, presso il loro sepolcro, rimase irrigidita. La sua trasformazione in pietra crede Tullio nelle Tuscolane sia stata immaginata per il suo eterno silenzio nel pianto. Ma Teodozio aggiunge a questa favola che ancora la sua statua di pietra si vede sul Sipilo, e in atto così triste che sembra venir a mancare per le lagrime, il che non è fuori della natura. Poterono gli antichi, per memoria della grave disgrazia della superba donna, porre sul Sipilo la statua in marmo di una donna che piange; e poiché il marmo è per natura freddo, quando su di esso si alzano dalla terra i vapori umidi, per la freddezza della pietra quei vapori si sciolgono in gocce d’acqua, simili a lacrime; e da ciò forse gli ignoranti credono che Niobe ancora piangendo si consumi.