Prima metà del V sec. a.C.
ESCHILO, Niobe, vv. 1-21
Testo tratto da: Del Grande C., Hybris. Colpa e castigo nell'espressione poetica e letteraria degli scrittori della Grecia antica: da Omero a Cleonte, Ricciardi, Napoli 1947, pp. 126-127
«Nessuno piangiamo, se non il padre che la concesse e la rese superba, la forza di Tantalo che la spinse a nozze infelici: perché il soffio del male invade le case. Voi vedete il giorno finale e fatale delle nozze in che rovina si sono concluse, essendo morti tutti i Niobidi. Seduta su questa tomba, gemendo su questi morti, ho rovinato miseramente il mio bell’aspetto. Una donna abbattuta non è che l’ombra di sé stessa. Prima o poi verrà qui la forza di Tantalo. Febo, adirato contro Anfione, rovinosamente dalle radici ne ha disperso la stirpe. Ed io vi dico – perché non siete dissennate – : un dio genera negli uomini la colpa quando voglia distruggere completamente una famiglia. Essendo mortale conviene esser pio di parola e non peccare di superbia. Alcuni, felici, non pensavano di poter perdere la felicità che godevano. Questa (o, con altra integrazione, io), orgogliosa pei molti e bellissimi figli (…)».