Niofc01

VIII sec. a. C.

OMERO, Iliade, XXIV, 602-617

Testo tratto da: Omero, Iliade, introduzione e traduzione di M. G. Ciani, Marsilio, Venezia 2002, p. 1029-1031

Ma ora pensiamo a mangiare. Anche Niobe, Niobe dai bei capelli, si ricordò del cibo, lei che perdette dodici figli nella sua casa, sei fanciulle e sei giovani nel fiore degli anni. Adirato con Niobe, Apollo le uccise i figli con il suo arco d’argento, le figlie gliele uccise Artemide, signora dei dardi, perché lei si vantava di essere uguale a Latona, la dea dal bellissimo volto; Latona aveva generato due figli – diceva – , lei invece molti di più; ma furono proprio quei due a uccidere tutti i suoi figli. Per nove giorni giacquero a terra i figli di Niobe, immersi nel sangue, non c’era nessuno che potesse dar loro sepoltura perché il figli di Crono aveva trasformato gli uomini in pietra; gli dèi celesti li seppellirono il decimo giorno. E tuttavia anche Niobe pensò al cibo, dopo essersi saziata di lacrime; e adesso, tra le rocce, nella solitudine dei monti, su Sipilo dove si narra vi siano le dimore delle ninfe divine che danzano in riva all’Acheloo, qui Niobe, mutata in pietra, cova i dolori che le hanno inflitto gli dèi.